Frame

Nessuno se lo aspettava. Mi prendevano in braccio. Ero di piombo. Una bambina pesante ma minuta.
Che contraddizione.
Il mio accampamento, un mobile della cucina. Imbrogli e fantasia i compagni di gioco preferiti.
Vivevo al terzo piano di un palazzo blu.
L’ascensore era una toilette per ragazzini e cani. Si bloccava ogni giorno. Il quotidiano brivido del previsto.
Nelle giornate di sole, il terrazzo era il mio regno.
Un innocente gioco. Un tentativo di mira. E divenni l’incubo del vicinato.
Vidi una testa pelata splendente. Specchio lucido con riflessi luminosi.
Il girotondo della mia immaginazione creò un nuovo sport olimpico: il lancio della moka sul capo del signore del piano inferiore.
Un capo o un melone? Non mi curavo di certe differenze. Mi incantavano le forme.
Operazione fallita. L’uomo era sconvolto. Parole senza senso. Il suo sguardo di terrore.
Imprecò per anni, così come si impreca contro i pensieri di morte.
Ma per le formiche, ero gentile e generosa. Solo questo aveva importanza.
Spargevo zucchero sul balcone, costruivo per loro capanne con le foglie delle piante.
Se promettevo un ponte, coglievo subito dei fili d’erba. Nessuna falsa campagna elettorale.

Ogni tanto qualcuno mi posava sulla realtà. Una sedia sgangherata e triste.
Ma non potevo saperlo.
In equilibrio tattico, ricercavo la bellezza ovunque e accarezzavo soltanto petali profumati di poesia.
.io

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