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La Prima Guerra Mondiale

La Grande Guerra è la prima esperienza collettiva degli italiani: per la prima volta, combattenti e civili, adulti e bambini, uomini e donne, contadini e operai, gente del Nord e del Sud, tutti sono coinvolti. Senza cancellare le differenze di condizione sociale e culturale, la guerra funziona come un miscelatore di linguaggi, idee, conoscenze, tradizioni e costumi, costituendo così un grande fattore di inclusione. Il bisogno della comunicazione scritta, nella lontananza forzata, si affaccia per la prima volta con inedita urgenza: due miliardi di lettere e cartoline. Un'intricata rete di parole, di immagini, di sentimenti, di racconti attraversa il territorio nazionale per raccontare le esperienze dei soldati al fronte e delle famiglie lontane. La penna si affianca al fucile. Pur nella tragedia, nel lutto e nel dolore, la Grande Guerra è un momento di unificazione nazionale.


 


La scelta dell'intervento


Mentre in Europa la guerra divampa di colpo nell'estate del 1914, in Italia la decisione dell'intervento matura attraverso un lungo dibattito tra «neutralisti» e «interventisti» che negli ultimi mesi (aprile e maggio 1915) prende un andamento convulso e subisce una svolta dopo la conclusione del Patto di Londra (26 aprile) tra le potenze dell'Intesa e l'Italia. Il patto vincola quest'ultima all'entrata in guerra al loro fianco in cambio di significative acquisizioni territoriali, tra le quali il Trentino e il Friuli Venezia Giulia con Trieste. Sotto la spinta di violente manifestazioni di piazza, la monarchia opera una forzatura che vince le ultime resistenze parlamentari e trascina il Paese nel conflitto (24 maggio).


 


Il fronte


Sul fronte italiano i combattimenti hanno come teatro principale l'area alpina del Trentino e l'altopiano carsico. Nell'area trentina il principale episodio è un attacco in forze compiuto nel 1916 dalle truppe austriache, la Strafexpedition (spedizione punitiva) che costa all'Italia un arretramento contenuto. In quella orientale è il ben più consistente sfondamento delle truppe austro-tedesche, nell'ottobre-novembre del 1917 a Caporetto, che costringe le difese italiane ad arretrare fino al Piave e lascia al nemico vasti territori veneti e friulani. Nel corso dei tre anni e mezzo di guerra i combattimenti provocano enormi perdite, circa 600.000 morti e circa 600.000 prigionieri.


 


Il fronte interno


Trascinato forzatamente in guerra da una parte delle istituzioni e della classe dirigente, il Paese deve essere coinvolto, convinto e organizzato in modo tale da reggere la prova tanto sul piano economico quanto su quello militare. Quest'opera di organizzazione, di coinvolgimento, di convincimento (ma anche di repressione del dissenso) è quel che si usa chiamare «fronte interno»: nessuna energia materiale, morale ed emotiva può andare sprecata. Tale messaggio è formulato in un linguaggio semplice, mutuato da quello della nuova pubblicità, affidato alle immagini e alle più elementari associazioni di idee. Esempio tipico di tale forma di comunicazione, espressione della incipiente società di massa, il cartellone del soldato disegnato da Achille Mauzan per il IV prestito di guerra (1917).


 


La conclusione


Travolte nel disastro di Caporetto, le truppe italiane riorganizzano le difese sul Piave, da dove parte la controffensiva nell'estate del 1918. Propiziata dal progressivo cedimento dell'esercito imperiale asburgico, l'iniziativa ha un esito vittorioso nella battaglia di Vittorio Veneto che conduce alla firma dell'armistizio (4 novembre). All'inizio del 1919 si apre la conferenza della pace a Versailles, nel corso della quale i rappresentanti italiani si rivelano incapaci di imporre una soluzione in grado di dare soddisfazione alle pretese nazionalistiche, moltiplicate dalle aspettative del Paese, provato dalla dimensione delle perdite e dei sacrifici. Ne deriva una fase di instabilità e di disillusione destinata a lacerare il Paese per un quadriennio e ad aprire la strada all'eversione fascista.


 


L'eredità


La Grande Guerra lascia, in Italia come nel resto del mondo, un lungo strascico di conseguenze non solo sociali e politiche ma più ampiamente culturali e simboliche, che influiranno potentemente sulla storia successiva. Tra queste acquisterà un particolare significato la politica di assistenza ai mutilati e agli invalidi, che acquisirà un forte valore propagandistico. Dopo una fase di transizione segnata soprattutto dalle celebrazioni del Milite Ignoto (rituale che accomuna l'Italia agli altri maggiori Paesi europei) tale eredità verrà gestita in maniera determinante dal Fascismo, che farà della guerra il fondamento della nuova Italia e della propria stessa affermazione come regime. Il Fascismo imprimerà il suo orientamento in maniera sempre più stringente sulle celebrazioni per la vittoria, e sull'elaborazione del lutto pubblico e collettivo, sotto il segno della dialettica morte-resurrezione, gestendo la campagna monumentale di massa che trasformerà il volto del Paese fino all'edificazione (o alla ristrutturazione) dei grandi monumenti ai caduti come quello di Genova e dei grandi ossari come Redipuglia.