Non è il mondan romore altro ch'un fiato / di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi, / e muta nome perchè muta lato. (D.Alighieri)


Indice


Visioni


Hai visto le bestie combattere per il pollaio? Anche tu fosti un giorno tra quelle. Fuggile!
Troppi pollai esistono, e tu devi saperlo. Lascia chi non sa, custodire il proprio e non riderne, poichè non sanno. Ma fuggili.
Ti sia chiaro questo: gli uomini sono posti affiancati per contaminarsi in silenzio.
Diffida di predicatori e verità, ma allunga lo sguardo nell'osservare i mondi. Nel silenzio dovrai perseguire la conoscenza, per farti più grande.
Della tua grandezza non farai partecipe alcuno, poichè ognuno possiede la propria, e tutto è guerra dei polli al pollaio.
Più ti farai grande, tanto più diverrai piccolo, poichè nel misurare si conosce l'incommensurabile.
Solo due cose saranno per te eterne in quest'esistenza. Lascia ai porci il resto, ciò di cui vorranno cibarsi quando nella rimessa sarà divenuto marcio.
Esse sono i segni in corpo e la memoria.
Non è memoria il ricordare, ma l'esperienza dell'intelletto. Tanto più essa pare esser dimentica, più nel divenire grande muta.
Quale scopo è più eterno della conoscenza dei mondi?
Quale virtù più alta?

Sensibilmente e spiritualmente saprai di essere un eterno nulla.

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Oblò di via perduta

Escluso ebbi

l'eventual martirio
'sì il postumo delirio,
reverbrai d'un sol getto
d'osservazion punto diletto;
mancando d'opposto sentore
ne'occhi fissai il torturatore.

Contemplai di carnefice e vittima compresenza
il dì che giunser giudizio e coscienza.

il dì, quel tristo ch'io crebbi.

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Entroterra

Vortici melodici percezione innalzano ai cieli
vette e dirupi a trangugiar la passione
nel sorbir l'energia,

soltanto bramati in istanti pallidi.

La scimmia attraccata al petto
sodomizza l'aria quieta.

"Finirà. Allora solo saprai sentire,
e la memoria del provar ti sarà lontana".

Così il cuore soffoco nell'oppio
di tutto ciò che dal voler può distoglierlo,
pregando le ore di unirsi nello scorrere
e il silenzio accorrere a sedarmi.

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Margini

Quel che scivola via lento
al primo lume
sempre è altrove,
da ciò che mano abbisogna
nel penzolar al fianco.
A volte par esser

solo una sigaretta.

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Carmen (Ode all' Arte)

Non privarmi del dolce fiato,
tu splendida,
finchè l'occhio sanguinerà
dal volerti amare;
per quanto il tuo dire in me germogli
"Non creder che nulla sia
dietro questo cielo".

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Ai lettori

Per voi che morrete esanimi
offesi di sete
cupidigia sferzante e possente

Nè accurate congetture
nè volgo indolente
avrà forza di placare.

Dalla boccia levate, per sempre tolte
in opere appassite bramate ammirare
realtà cancellate, per l'eterno sepolte

Godete ne' canti
d'anime smarrite, dacchè rare,
in intelletti erranti

infinite angolature.

Doviziose virtù
e indicibili torture
dischiudete cautamente.

O, voi che sapete
che i mondi son celati negl'animi
e gl'animi son celati dei più.

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Il fanciullo alato

Non pensar
che domani è certo tardi;
Non pensar
ché domani certo è tardi.

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La moral solitudine

Il tempo, volle arridere
al passo lento dell'ardire
e fè non sentire
l'incedere senza cagione
per lidi un poco ancor altrove
ove istinto o ragione
è sol ciò che move.

L'evo, per bontà d'animo,
che ancor tiene
per quei ch'amino
non pose catene.

Or dopo ora
nè anima nè aspetto
muta per data che passi
quel che sfiora;
come'l ruscello carezza i suoi sassi
l'eremo ch'é sol nel petto.

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Ornami il capo di fango reciso

A te m'inchino e impetro
che possa giunger congiunzione
di solido osso e soffice spettro
in quell'antica prigione
che fu d'esser la ragione.

vergando lode
per colei ch'ode.

In quell'oscuro è la tua luce
che per vie poco battute
nell'avanzar conduce
quell'anime che non son perdute.

Se di Natura fu sorte
d'esser grato
possa dunque marciare;
privar di fiato e'l cammin di morte
se nacque ingrato
convien mostrare.

Rinvenga infine il vero
più avvelenato da mortal siero
ch'ora possa perire
l'ego che soffocò il mio sentire.

Per nessuna gloria
in sentieri silenti
scortami tra i dolenti
di gioia abbonderà la memoria
foss'anche pur donare intenti

'ché il marcio, per maniera che spirito'l rinneghi
in motti di luce e pace par ch'anneghi.

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Momentum

La vita è l'amor in la virtude
ch'in lietezza o dolor occlude,
la vita è'l pensier contemplato
in estasi o nirvana creato;

l'un con l'altro tempo men'a tortura
quel ch'é mirra doman l'é sozzura,
verità che in vita è racchiusa
dir non vorrà nell'esser inconclusa.

Oblio dir o far cela col manto
ciò che dura pur una vita soltanto:
quale via più utile e retta
di quel ch'animo respira, diletta?

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Il declino del mortal volante

Com'il volo del gabbian ferito
candido e greve, ché l'uno è il pio
acerbo infante, l'altro è il più rio
canuto, dal viver or già battuto;
così è il tuo errar raffinato
d'aver sogno, pur in esser provato.

D'umiltà e d'esser saldo è il tuo manto
la tua veste di certezza è priva
m'adorna di lucida coscienza.
Giustizia e bontà non imparasti
ma elle, discepole ben devote,
miraron il passo senz'osar fiato.

Esser perduto ch'in questa scialba era
annegato fosti ancor giovine
in sozza fonte, per poi soffocato
esser domani in culla innocente
dal turpe dissoluto che t'assedia
vanesio, quant'è il peggior demonio.

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Maschera di carta

Implodi freddamente, ordigno inesploso
nuovamente soffocherai il dolore
in un sonno placido o in un mar di passione

la consolazione del bello
ti dissangua ad ore.

E dunque di nuovo nel silenzio urlando
nella grazia di movimenti lievi
celando il dilaniarsi che il petto t'incendia

puntando al cranio,
maldestro guerriero.

Implodi freddamente, ordigno inesploso
e ancora domandando al tuo cielo crudele
cos'è quel sentore di profondo volere.

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L'oltrepasso

Ho percorso la mia terra
e l'ho veduta nella quiete
di un intenso muovere
ella era viva;

brulicante di nobili spiriti
accesi, dalle più pure passioni.
Fremeva nell'incedere
di passi svelti
verso un nuovo orizzonte.

Rideva di perfidie
incatenate a uno stuolo di cenere;
erano arse
da sè stesse vinte

e il suolo,
finalmente epurato,
gioiva estasiato
di saperi sconosciuti
emozioni mai decantate.

Gridava,
oh, dolce il suono suo
bisbigliava come vento
e come mille venti
s'innalzava al cielo perduto:

"Ancor vivo e osservami dunque ora
che in questo amore
tritulo le mie vesti,
denudato della mia stessa carne
Narciso amo il mio riflesso:
animo non più soverchio!"

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Tra pietre e bugie

In traccia distante erra perduto
l'amaro sentir mio muto
in scena è il gioco di figure
sui palchi risibili sepolture.

Parole e menzogne
turpi vergogne,
nel mutar dell'atto
tramuta l'attor, ratto.

Dispersa in ogni dove
la verità ch'è sempre altrove;
nemmeno il nulla si può concepire
ciechi, non vedete ch'altro è il mio dire?

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La Fedele

Esclusa ti fu la cieca noia
maledetto castigo
il voler vedere.

Nella rassegna in cui struggert'ami,
raspando terra come una bestia irata,
l'agognar quell'obito
sotterri;

e certo i fantasmi
in ascolto pazientan'ora
mentre chi alita vomita bugie.

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Dolenti quote

Del viandante il sogno disilluso,
è'l profilo ch'alto si staglia
in linda, savia spuma v'è confuso
nubeggiar ch'occhio abbaglia

di nostri voler pii trascendentali
nell'unir ancora passo ai passi;
gl'aborti storpi in manca d'ali
è aria sottil ch'abbatte, lassi.

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Il soldato

S'accascia, in cor par che taccia
benedicendo la terra indegna
e la ventura più da conseguire,
scivola a basso l'arma ch'imbraccia
che sangue e stille presto impregna;

fingendosi vinto, per poter morire.
Sospesa sul nulla la sola speranza
viva la gloria per farne mostranza.

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Oner pr'un pruno

Perdurando andar a cercar manna
purchè il lume di fioco bagliore
sole divenga dall'alto splendore;
ciò che si crede, tutto è ch'inganna.

In una sola trascorrer mille vite
illudendosi d'esser mutanti
scissi tempi, umori ed istanti;
com'il peggior folle, a voi mentite

quand'è quanto a voi s'addice
ch'or appaga, or respinge
a tinger la tela e la cornice:

or è il cor ch'al disio attinge,
or al core un saldo cappio stringe.

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Il grido di Dio

Meraviglia di spirti inquieti
vita silente dallo spirar fioco
il grido divino ch'ampio riposa,
il caldo suon che rende lieti;
in mondan frastuono par sì roco,
d'Essenza Natura si fè la sposa.

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Plastica dissoluzione

Poeta per peculiar diletto
di sè espose tempra ed aspetto
e'l nov'udir dell'uno ea prestigio;

in vetusto tempo ch'or par grigio.

Artista e'l vagar strambo che'l conduce,
plasmar ch'in particulare riluce,
ei fu realtà zecchina, novo ire.

Rotto, mutò giurì il divenire:
quel che meditar sua vita volle
pria fu uman'attento, poi fu folle.

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Everett

Spietata indomita serva
di un Dio corrotto
tra le tue fauci arditi
cuori perirono gioiosi
d'amor ch'imprudenza perdona.

Nei tuoi gorghi vitali soffi turbati
del numero del più avvenente spirito celeste
e muli furon quanti
una coppia di opposti per esser richiede:
la perduta via battuta
tra immemori pensieri esagitati
tal bandiera innalza e mai calpesta;

dell'esistenza fugar l'affanno
in sommi istanti che traboccar fan l'animo.

Placò forse il tuo ventre
quel pasto infausto
o insaziabile manducar ancor sarai veduta
sì le speranze, sì le follie?

Chi si smarrì nella foresta
invano s'immolò
eppur uno sguardo all' Eden
valse una vana vita.

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D'echi attese

Sfocato margine, lungimiranze ignote
scorga il nuovo cielo
nel loro palpito scombinato
un più malvagio demone;
tra alte grida si spenga il domani
per più esser confortati
d'estinte utopie, da putride visioni

dimentiche del flusso ch'innanzi le volge
nel fango dimenano argenti
nel caos rimangono quiete.

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Ombreggiature

Faticando m'arrovello
nel novero delle genti mai sazie
che fogliame calpestano
ancor prima che si degradi.

Le porte d'Eden mai furono aperte
a coloro che non sepper bramare
altro che posar lo sguardo
ai cangianti ori

del suo cancello;

l’occhio ch’in essi s’è illuminato
sanguinante è ruzzolato nello Stige,
là quell’anima dimena le carni
che le son segregazione.

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Un Saturnale

Se ferrei feroci
volgeremo innanzi,
perduto il passo

avran le danzanti
dal piè goffo;

che lo sfinimento
c'abbandoni lassi
a rimirar le stelle fisse.

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Miraggio

Per un soffio di vento greve e assai roco
il Demone allora espose il suo gioco
"Ti mostro il cammin degli spiriti degni
spalanca le porte, t'abbandonin gl'ingegni
della pace condanna ha il nome di morte."

Disperdi il tuo occhio in più verdi vallate
il sogno è qui il frutto per gioie assetate
la gioia l'ambrosia per voi ch'inventate.

"Che'l sangue in mio sguardo
possa infine placarti
e in agonia poi mostrarti
un riso beffardo."

Muto e dimentico divenne l'intento
trucidando nel gozzo anche il primo lamento
"Vano è sperar che dolor ti disseti
ti mostro il cammin degli spiriti inquieti."

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Valicando erose

Carche d'attese o stremate d'ardore
le spalle contratte il fardello han scortato
s'el fiato ch'inspiri è ormai marcio di spema
e le Parche distratte cesura han scordato
il Fato ch'ammiri non sai s'ancor trema;
recidi il tuo ventre e cresca la vita
decidi il tuo sempre e n'esca sopita.
Ch'el mai cui non miri non faccia rumore.

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Consunto eterno

L'incompleta ch'ancor lamenta
onesta sia o pur che menta
l'opera mia ch'udir non posso.
Ogn'ora del Fato un pezzo è mosso
ultimo servo ch'al trono anela
all'eculeo tende l'ennesima tela;
il dì che già s'appressa
fa remoto il gridar che cessa.

Cieco il volto che d'incendio d'ira
fende il ghigno di chi più nol mira.

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Sabba pacato

Serpe, seppur sapiente
sapresti separare
sposalizi e sepolcri?

Ispida d'aspetto
aspide esperto di dispetto
sospiranti di spergiuri
supplicanti gli sperduti;
assopito il rispetto:
ti si spara se soprassiedi.

Spingesti spiriti sopiti
alla spema inaspettata
aspettaron la sorpresa,
riscoperte sepolte speranze
di splendidi sapori.

"Aspettate e sperate,
sempre spento
è il saper supplire
all'aspettare"

agl'ospiti esplicasti.

Insperata consapevolezza
non sapesti spartire
con i disperati.

Serpe, serpeggiante serpente
saprai sopperire ai sospiri
sopportare i sopprusi?

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Del divenire

Obliato è il riposo di venerande spoglie
han spini nel grembo a ferirne le voglie
al di là dei fremiti risiedon tal spettri
strette cinghie a serrar gl'arti costretti
soave armonia fece l'animo imprudente;
dimentichi dell'abisso ch'oltre l'attende
coscienze han rubate dal fluir che l'alletta
incarnan il vinto immaginar dell'esteta
laggiù l'avvinghia tacito tremore
godon d'estasi nutrite da dolore.

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Del parolare e del ratio

Invano vergheremo sentori
in lingua in disuso per chi
varcò cinico il confine:
d'ambre e di spezie
colmo fu il loco,
l'attimo racchiuse;
mutato in verbo vide
avvizzir la sua gioia.

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Hot hell

Respirando in povertà
le troppe parole

zittisca gl'intenti
l'innocente domani
che m'assomigli
quando dalla nebbia
mi vedrà dissepolta.

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Condotte oniriche

Un incavo nel muro che da decenni se ne rimaneva quieto assopito nel suo ironico riposo, sepolto da arcigna mobilia sparsa a caso. Fu l'attenzione, il focalizzarsi di una questione, dubbio alimentato dal desiderio di un compiuto: esercitar forza sulla penzolante catena e svelarne l'arcano. "lascialo al muro, soltanto abomini infuse e costretto fu al suo greto; celato all'infinito possibile" l'ammonimento. Ma quale avviso più potente dell'ignoto se l'ora giunse frettolosa a disvelarne l'eventualità? Disgraziata la mano curiosa e forte, indicibilmente forte nel suo credersi intoccabile da sventura. Dal muro un cranio di demonio rovinò sul piastrellato e alla vista l'occhio rimase incantato, di ribrezzo incontrastato. La maglia che lo legava vincolava altresì lo sguardo e impotente la volontà ormai rubata. "Che si mostri ora, di tormenti risvegliati si possa sentire, si ricreda lo scettico del divario tra ombra e luce; al domani che alle spalle minaccia, spore d'incubi sorseggio incauto." Non proferì alterca resa l'ultimo empirico volere del tratto dado.

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Del desiderare

Il contatto uniformato
allontanerà dall'uomo l'uomo
sogni d'infanti inzuppati d'immote deformità
fradiciose intenzioni disperse nel lume,
secondo permanere che rimosse
le molteplicità volenti;
indisturbati volumi si son amalgamati
corpi molli d'invertebrati.

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Matrimonio: concentramento metrico

Illustrami l'intrattenimento
dell' Illustrissima Imperatrice
al maldestro menestrello,
mostralo, il trafugamento,
massacratrice.

Ricostruiamo elettrochimiche geometrie, retrocediamo.

Simmetrici incontrammo entrambi la matrona metageneratrice
impenetrabile amatrice, tremolante e salmastra
estimatrice di strumenti,
infiammatrice d'intradermici putridumi.
Intrecciammo estremità, penetrammo pietrame,
magistralmente nutrimmo mantra:
registrammo settantaquattresimo semestre,
straordinariamente straparlammo;
imbonitrice d'extratemporali lungometraggi.
Matrimonialisti: mezzocontralto e meretrice.

Tradimento scaltrissimo la stramaledetta tramava,
strappalacrime, mi strumentalizzò con maestria.

Imputriditi indietreggiammo
alle strambe somministrazioni di striminzite stramberie;
latrammo mostruosamente.
Matriosca malfattrice
maltrattò maltrattando il maltrattato,
molestatrice, molluschicoltrice,
fomentatrice di strofinamenti trimembri,
minimizzatrice di minestroni e minestre.
Introducemmo oltremondane microstrutture
mostrando gastronomie:
mestruata mangiatrice di nostromi,
macchinatrice misuratrice
di limitrofi parametri patrimoniali.

Postraumatico rimpatrio trasferendomi trasformato,
stramazzando stramazzai stramazzato.

In extremis
ritrasformati potremmo tranquillamente..
strutturiamo..
quattromila trentesimi prematrimoniali
e riscontriamo rimostranza.

Matrimoni: filantropismi od egocentrismi?

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Postume fazioni

Quando la corte rimase a corto di cortesie si ricercò la causa dal polmone zeppo di soffio.
Lo spazio è che nell'aria non c'era più verità per tutti, qualcuno avrebbe dovuto ampliarsi, o lei andarsene. Si riempì quell'unico trolley con gli affari di nessuno e, levategli le ruote, lo si abbassò dal pianterreno al settimo: lì l'accidia aveva buon prezzo e d'altro non si poteva parlare o degustare; allora s'affollarono col pugno abbassato che cingeva mosche senz'ali.
Da basso la verità s'accomodò in poltrona lavorando ai ferri. Costruiva zanzariere per aria satura e tovaglie per il giorno del digiuno. Fu l'uomo dalla lunga chioma a citofonare in Questura dalla palazzina dicendo: "Senza ombra di dubbio qui non c'era il colpevole, che al tramonto fuggì ed ora cercate" la calvizie lo aveva provato e lui la lasciò fallire.

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Pertiniente

Sul giaciglio del dolore della tua differenza;
se indifferenza fu alla tua dimensione
rendesti grazie al demone tuo;
quando si mutò in terrore.

La distruzione del sublime ordine
segregata
in pupille distrutte
chimici oppi a regger livelle;

ed ora frigni Faustus
senza dubbio nè sofferenza
il tuo canto nel buio s'è fatto muto
la bestemmia taciuta, incerta
piangi e non sai per quelli di farlo
stanchi e ammutoliti, corrotti
in sanità perfetta.

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Vivendo riattraversasse a Nord

Rimesta l'aere l'uragano avverso
remasti, pioniere: 'accadano eventi avversi'
recasti bufere ch'abbrunano, brume e correnti, non serviva;
recanti spume nere abbracciavano i venti. Con umiltà 'servivo?'
Incerta svolta chiedevi, fradiciume e galleggiamenti ricordano preghiere: 'servirò?'
inferta sconfitta sepolta nel fiume, lagrimano le innocenti scogliere; giacevi riverso.
Infesta avvenimenti la difficoltà del volere, a dritta discendevi, schiume ti scortano nel Mondo Diverso.

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In principio fu il verbo

svilita, svuotata, seviziata
la parola
abbellita, giustificata, rettificata
in bocca e nell'ano a lumi
per rischiarar radure
martoriate di sole
le catacombe affrante
dimenticaron preghiere.

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Caduche imprese d'eroi

Perle di sudore versate invano
grondanti di gioie
che non saranno domani,
umide di rancore che vide
feti malformati e mostri bicranici.
Vene ricolme di acriliche tinte.

Paradisiaci mondi creati
derelitti per aste affollate,
lungimiranti visioni
d'archiviate scartoffie.

Donne corrotte da ipnotici profumi
proli afflitte da sfiducia dei sempre

bottiglie di grappa e pugni di terra
a ricordare il tempo dissipato
eternamente invano.

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Il tempo delle cesoie

Boia, che infliggi pene e rammarichi e castighi disumani
possa la tua verga assuefarsi al sadismo e ritorcertisi contro
il tuo stesso dolore squarti le corde che nella tua voce deposero il potere
e un dì nella luce vedesti l'occhio tuo riflesso nel lento spento bagliore
e finalmente guardasti la tua colpa.
Giudice, di compassione sazio
prima del contatto: e lì accadde.
Il torturato non volle implorare pietà,
domandò nuove eterne afflizioni.

Pietà era in quella terra disconosciuta, egli non peccò mai d'immaginazione.

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Europolitica

Apologo.
Polemica polivalente, polifonica e polisemica per apolidi.

Rampolli screpolati polesinano zeppole,Rampolli screpolati polesinano zeppole,
equipollenza dissepolta, geopolitica a grappolo;
poliedrici polipi manipolano condiscepoli cosmopoliti;
s'asserpolano a poltrone e polimelodici monopoli,
monopolizzano poliacrilici popoli.

Telemanipolatori autoimpollinati apologizzano
polverosi nazionalpopolarismi e dopolavori,
napoleonici capolavori, poliziotti per pollami,
cupole impolverate;

da apolinnea acropoli apolitici rimpolpano valpolicella e polka,
antipolitiche polmonari.

Popolazioni popolano necropoli di poliarchia,
fantapolitica di sepolcrale polis.

Spoliticizzo, spolveriamo tipologiche trappole per polifemi poliglotti,
trappoloni per metropolitano popolino mangiapolenta;
si spoltronizzino i baciapolvere.

capolettera, capolinea:
Ciappole e cipolle.

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Adami

"invecchiamo dunque,
non disdegnando
le prossime fatiche
che i sensi ammaliano
e seducono al riposo;
e nel gioire del nostro
profanare il tempo

siamo lieti del nostro
sacro disconoscere
il domani."

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Meteore

Aggiustandosi il colletto del cappotto
e liberando il primo bottone della camicia che ha sostituito con lo smanicato,
insistendo su ciò che mai avrebbe dovuto dire per sottolineare di averlo ripetutamente detto,
ovviamente ha fatto ciò che andava fatto
e poi taciuto;

sorvolando ad alta quota i clichès ma soltanto quelli degli altri,
ribadendo che la vita, sempre degli altri, non vale la pena di essere narrata
nè tantomeno vissuta,
immaginando la colonizzazione globale come un pessimo feedback di un pessimo stagno,
quella spaziale come l'accensione della sterpaglia che dà luce e colore alla stregoneria,
domandandosi dove andrà a pescare i suoi santi il calendario;

grattandosi l'orecchio destro con la mano franca
e gustando sul palato interno la pulizia dell'indice,
ripensando al tritolo abbandonato nell'oceano, alzando il mento per ossigenare il tratto cervicale
e lisciandosi il panciotto gonfiato dal cavolfiore,
degustando la lascivia dell'inquilina del retrobottega,
senza cerimonie appendendola al muro come un Picasso scombinato;

frusciando l'agenda sgangherata per appuntarsi le giornate propizie,
compiacendosi allo specchio a cui ha levato tutti gli aloni,
rievocando il ricordo di Ludmilla fuggita col destriero più sano
ma obliando la visita al maniscalco,
amareggiandosi per il petrolio nascosto sul treno;

marciando un pò attorno al circuito del tavolo per alleggerire la circolazione sanguigna,
serrando l'uscita del gas perchè l'asfissia è un triste dispendio d'energia
e programmando il timer del forno elettrico in cui cuociono abiti a bagnomaria,
telefonando in fretta al pediatra per svelargli l'età
e al gondoliere per disdire l'appuntamento;

la pulizia dei denti non si addice al caffè nero,
come il destriero,
come il cappotto,
come il petrolio,
come lo spazio
e finanche il tempo;

è così che uno su mille esce di scena.

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Placidume stremato

Distribuendo grani d'attenzione
che tregua sublima
frutto acerbo di dissipazione
spore d'ozi ch'affrettar collima
s'affanna il giudizio e la tentazione
fugace venir di tristi affreschi
adunar di sè la meditazione
affollate visioni d'estesi arabeschi.

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Immagini inquiete

Sul luogo del primo peccato
segnate ingenuamente innocenti malefatte
inconfutabili prove estratte
da un nero sacco immondo,
inconsapevoli firme depositate sul fondo
di un senza dolo sgomentato.

Bui e spensierati tornanti
il capo mozzato d'un giovine senza volto
il corpo trucidato e infine sepolto;
l'incombere cauto di una perizia
nell'inceder della fiera in pacata mestizia
tra coscienze beffarde cantilenanti

di un arto il triste ricordo
memoria d'un randagio fuggito illeso
e d'un incauto folle che il nulla ha difeso
mutilato di netto e scordato sul bordo.

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Alla restanza

Dal guardingo girovagar discosto
si seppe d'ornar di seppia
il plumbeo contorno scempio
e l'empio scivolar lercio

il giuoco dei sorrisi codesto, servo
osserva dunque ciò che niente sorse
trasmutatosi in tanto,
e ciò che tanto nacque
si ridusse a parer vano;
dannazione! mai ti fosti accorto
del ludico sgallettare

dell'infausto ghigno
e dei suoi falsi specchi?

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La confessione

non me ne vogliate, Padre

Se un giorno appresi
di non dover comprendere;
così ascolto, ammutolendo
e mentre lo nego io ripeto:

"non comprendo".

Umano ed abominevole
e se agli stessi istanti,
potrei, tale e qual azione
mai saprò

con volontà impura
mi rifuggo costante.
Altrove.

Così appresi, un dì
a non ridere e comprendere;
nel piangerne e nel riderne
nè rido nè piango.

Potete comprendere, Padre
che così appresi
da colui ch'ora mi fissa le spalle
e dagli innumeri fratelli suoi?

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Dispersione

Nel lasciar fugare
un'ora o un secolo mezzo
distratto il palmo
di sfiore turpe e grezzo
che li serbò invano;

l'isolato ricordo d'ammassi.

Silente il salmo
d'ingordo fuoco in sassi
ad intonar sì piano
l'inquieto vociar di passi
in fresc'orrori e notti chiare;

divenne calmo.

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A me versato il mio dolor sia tutto (T.Tasso)

Serra l'impulso ch'indur ti scosti
a condur a ritroso la rupe in cui fosti;
scivolio fu empio d'un cranio già guasto
e d'avvinto poema incorretto rimasto

Che la fine anelata potesse sfinire
l'insaziabile dubbio e nel tristo morire
sapesti e ammirasti lo sforzo sublime
epurando follie, conflitti e più rime?

nel silenzio ch'insorse
s'aggruman quei forse,

recondito il vero in veste di giusto
od offeso il creato disprezzato ed angusto?

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Disincanto

Guidati e ammaliati, sconfitti
quasi caduti
d'amor lieti con aridi volti
e il passo malfermo
per beati ad albe venture
giunger incerti, disillusi
nel trovar già gli avulsi desti
in corpi rubati giacendo,
a fissar l'infima quiete.

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Il ritorno

Tornano drappi a celar l'essenza nuda
scomparse reticenze s'attanagliano
alle spalle distese, dimentiche
"Tornate mie tristi catene
dimorate sui miei opachi rottami
sussurrate a chi vedrà lo scempio
d'esser giunte non invocate
irresistibilmente attratte
dal profumo della libera incoscienza".

Vedo chiaramente la distanza tra sè
e il tutto, luminosa coscienza dell'inutilità
del sentire in nucleo circoscritto.

Tornano, intense, pesanti ma silenziose, catene del pensiero condotte dal pensiero stesso che ritorna, lento e pesante; il corpo ridiventa cosa a sè e si indurisce, risponde agli stimoli e si rapprende; ora dopo ora. Non puoi lottare contro all'Io vigliacco che perpetuo ritorna, a dipingere le cose e a renderti qualcuno; così si sfuma l'obiettivo esser chiunque, pacato, benevolo, molle e bendisposto che dal nulla attinge e passivamente vegeta beato. Impermeabilità dell'ego, quando si è parte del tutto, quando tutto scorre e si è serenamente consapevoli dell'inutilità del sentire, dell'illusorio soggettivo oltremisura, non necessario. Vedo che le barriere si pongono tra noi e gli scopi, sono loro a farci agire e sono loro a limitarci nella soggettiva percezione, a dividerci in microunità permanenti che fluttuano nel nulla convinte di nuotare nell'oceano.

Ciò che seguì il primo ritorno fu una vaga sensazione di soddisfazione e compimento, un armistizio tra sè e il proprio dovere ricolmo di certezze, salde, assodate. La beatitudine se n'era andata e rimaneva un sentore di volontà all'agire, al recuperare il tempo in totale tranquillità di calma preparatoria, pacata. Le incomprensioni, e in genere i rapporti con l'esterno sembravano aleggiare in una bolla schiumosa fuori tempo e fuori portata dalle emozioni, dai rancori e dalle frustrazioni; avvertivo ancora una benevolenza e una buona disposizione che non aveva interlocutori ma era priva di qualsiasi accondiscendenza. Mi sentivo immersa nella giustezza di opinioni e reazioni puramente obiettive, che rimanevano però vaghe e confuse con il nulla, quasi non avessero ragione o elementi per esistere e formarsi. Vivevo una generale disillusione dai confini ben definiti che non recava con sè alcuna sensazione, alcun benessere particolare e alcun malessere. Quiete. Priva di attesa, di urgenza.

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La lunga (e) marcia

S'è mosso il centro sfiorando il margine

corteccia arsa e variopinti serpenti, compatti e sinuosi.
lega la lana al fazzoletto bucato, rammenda il nodo.
distese, oppure in ginocchio, dall'odore di caverne.
rintocchi vocali per campane luttuose:
panieri di focacce verminose.

a testa china s'accorciava la visuale, la sinistra,
indolore assenza d'occhi e perenne inclinazione
di tratti come abbozzi.

manca l'intonaco e la bellezza è perduta
raggiunta l'ultima base, la partita,
spaziale.

Calpestare formiche.

"è scorsoio" la pezza, scivolando a lato.



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Macchiette d'alchimisti

Chiari teschi invecchiano mendichi,
mischiando nichilismo e petrarchismo,
di machiavellici loschi giuochi

chierici boccacceschi
chiedono bruchi e chirurghi ciechi,
becchini abbacchiati
e fachiri bocchinari

pittoreschi Pinocchi,
impudichi pidocchi e sporchi sterchi
a cucchiaiate.

Schiere di maschiacci ubriachi
succhiano obelischi,
invischiati lubrifichino zucchine
inchiodando schiave
in tacchi e chiffons:

schiaffeggiate,
schiumanti Valchirie sputacchiate,
chiavate e svecchiate.

Smacchiati specchi, schiusi coperchi psichici.

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In declino veritas

Mi illuse il tempo
che distribuì gloria alle Verità sublimi
il fuoco sacro dissuadeva
la paura degli sconfitti,
lo sconforto degli oppressi.

Serpenti alati ammalati da scorie
là non v'erano ragni
grandi come palmi,
non Sapienza e Virtù alcuna
si spogliò della magia
l'esausta perversione

follia!
l'empia trasmutazione

non si potè veder più oltre
stuoli di ciechi, leggiadri come piume
risero sempre del sacro timore
che perdettero allora;
sbalzati altrove
come foglie alla brezza.

Alla libertà negar sè stessa
fu rancido dolore;
la redenzione non era pietà
ma dannazione.

L'infinito era circoscritto.

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Ottavo (l'ante)

Quando finì il mondo
s'abbracciarono gli amanti
fingendo l'unificarsi
di caldi animi distanti;
o comprando il perdono
per placidi sogni sfumati
di un giorno soltanto

quando finì il mondo
rinacque senza attesa
privo di volere,
disperso all'alba
d'un dolce onirismo

che ore sono

disperato il dubbio
nel meccanico silenzio
udirono occhi timorosi;
essi videro il morire
del pallido nudo corpo
in una coperta chiara;
a lungo piansero

quando finì il mondo
abbandonai sorridendo
l'ultima attesa;
ringraziai allora
le mille stelle schiantate,
e ridivennero sorde.

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Dimensione

il mondo impoverito s'afferma

di tenue irrealtà sconvolta
crepitò la stima annullando se stessa
il tutto eventuale sbiadiva
nell'adombrato grigiore
di condensa disciolta

s'azzuffavan le pelli
tra tregua e vigore sfumando la ressa
non genti, ma ignoti, rapiva
violati inermi nelle loro dimore
tra ossa e cervelli

ricolmo di fresc'odore di sperma

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Notturno di Giostra

Spesso assorto si perdeva tra i rovi, dove genti d'ogni modo confluivano d'ogni dove. Eretti come torri, gli arti cascanti senza moto, sguardi persi nel sonno che li porta; dove i sorrisi e la gioia mai si strinsero la mano, così lacrime e afflizioni si scorgevan da lontano. Eppur beate, la danza misteriosa le trascinava, vite devote al tocco frugale.
Un dì, distratto e un poco sfiancato, si soffermò tacendo per carpirne il segreto. Fuggivano la loro stessa noia osservando d'attorno e girando gli specchi, così s'appressavano cercando tesori ignoti tra le piazze del popolo e i banchi di mercato. Ai commessi venditori promettevan denari, ma le tasche erano vuote e pendenti e la merce non necessaria. Così si spostavano, cercando di piazza in banco l'immediatezza d'un nulla che potesse dar loro vigore.
Fu quel dì che domandò ad uno di loro perchè s'affannasse tanto nel cercar l'oro e il consenso.
Non ebbe mai risposta ma domandar potè bastargli:
"Tu che aneli questo mio cranio rotto
e che tremulo tendi le labbra alla mia viltà,
puoi ignorare, poichè t'appaga, il mio placido ventre di verme?
Così uguale a nessuno da ciondolar gli occhi dietro le palpebre chiuse,
come saprai rinnovare l'odore che mai percepisti?"
E riprese strisciando tra maschere perplesse.

Sull' Eterno

Claudicanti brume
appollaiate ad arazzi di cielo,
lo squilibrio rotto d'una pace irrisolta;

girovaghi,
frastornati e storpi,
compianti

vittime infelici delle vane attese;
mendicanti d'ore stanche
bramosi d'essere

e di partire.

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Notte

Come posso spiegarti, mondo
ciò che esiste nel cuore d'un folle?
E' soltanto il tuo riflesso in un vetro sporco;
una messa in scena in cui giocare
il ruolo ch'ogni istante gli è assegnato.

Non mentiranno i sospiri dell'erba
a dir che c'è gioia in ogni loro tremore,
gli diranno sempre
"Impara. Vacillando a gioire.
Il sogno è un'arma di guerra
e la forza ne è sostegno;

ma non è che una farsa il combattere
e il desiderio una favola storpia."

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L'incoerenza di un (lungo) istante

Pescare a caso parole dal caos che ricuce i suoi fili senza mezzi, e l'oggetto diventa il mezzo e si sa che non importa se il contrario è ciò che avrebbe dovuto essere dichiarato
risvegliatevi, mie ottenebrate meningi, dall'eccesso di zelo
sempre schiave e di nessun governo; così folli a voler rischiarare da rabbuiarsi
ignaro, innocente, eppure.. Innocuo.
Così ardua nella sua semplicità grottesca e così fluida da scivolarvi via
trastulli, d'impotente vigore, di pallidi lasciti del tempo - vocaboli stroppi che si annidano e strisciano e affiorano
la scatola nera non riconduce, ma risucchia e trangugia; emetter fiato è per il pensiero la peggiore delle fatiche, la rassegnazione all'eterna imperfezione di un risultato.

Strumentalizzare uno strumento imperfetto
lo strumento strumentalizzò l'imperfetto
che deteneva il potere su di esso.

Della ricerca sfuggevole del vocabolo corretto che state cercando.

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Punti

se il limite del conoscibile è compresente al bisogno di conoscere dovrebbe essere chiaro che se la questione è irrisolvibile è presente un errore. per quale ragione l'ape esiste? lo scopo primario di un'esistenza è lo scopo o l'errore? nel dubitare dell'ape c'è un muro o una porta? il sapere avvicina o allontana al sergreto dell'universo? se la chiave è nel dubbio, la perfezione non è che il colore del corpo che protegge l'indifeso. e se l'accettazione della perfezione del certo consente l'esistenza, parrebbe che l'inesistenza.. ma l'estremo giudizio è in sè erroneo.

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Il primo istante

Caduchi istanti
s'avvolgono a universi grigi
l'ombre s'attardano
scivolando ai margini,
è luce ch'implora
l'eternità a rimirarla.

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Compressioni

Distolte, distratte: confuse ombre
ammonticchiate ai margini
a sfiorarsi e mai attraversarsi
residui d'un tempo che sfrigola
e si disperde;
numeri caotici d'abitudini sparse,
casualità intermittenti
di palinsesti muti.

Focalizzarsi, arrischiarsi ad arrestare
quell'unico tragico istante che le crea,
distorcendo il conseguente, a distruggerle

gioie di piccole ghiaie
scostate per caso, o per dispetto.



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Nuovi Adami

Sconsacrando i precetti, saldi vincoli che promesse mai ingannarono
abolendo leggi, che sapevano il giudizio tener sott'acqua;
così le ire, i cattivi tormenti e i vani effluvi:
la via maestra fu disseminata di tentazioni e imbrogli.

E quando volle un poco distrarsi
perdette la speranza, di cui l'animo viveva.
A lungo dubitò del fiato ch'inspirava;
della bellezza poichè esausto;
dell'armonioso silenzio
che sapeva condurlo altrove, sin troppo distante;
della luce, così splendente da parer un inganno.

L'Ade così scomparve e il passo si mosse
oltre quel tenero limbo, a cui tanto s'era prostrato.

Come quell'anime erranti,
non nella ricerca, ma sazi e affranti
nella consapevolezza.



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dello Spazio Finito

Ho fissato il cielo, a lungo gemendo,
muto e distratto, tacque ogni fiato;
per lunghi anni.

E quando il gelo riportò
al tacito consenso;
al nulla eventuale
fissai lo sguardo sperso.
Per la libertà, che mi negò misericordioso
lo maledissi a lungo, per lunghi anni.

E quando il sole riportò
al tremito fugace;
alla pace costante
fissai lo sguardo assorto.

Ringrazio oggi,
d'ogni vana attesa
per poter oggi ringraziare
d'ogni vana attesa.



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alla Madre

Eccoti dunque, impalpabile ciarliera
sovrana d'un mondo che t'appartiene e disdegni
conducendoci a caso tra i tormenti del vano nulla
cui avvinghiati stiamo

e per quanto ancora
di virtù fugaci e mendaci promesse
renderai consolazione ai figli tuoi smarriti?
se di compassione non fossi avida
sapresti, in dono d'amor pio
riprenderti gli inganni che dipinsero
la gioia nostra nel vederti destare;

liberarci l'animo dall'ardente speranza
e offrirci la grazia mai spesa
di cui ti ripaghiamo sporcandoti il capo.

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1912

goccia dopo goccia
il mio naviglio colò a picco;
sferzato da onde
crude come tempeste,
avvolto da abissi
fondi come inferi

mi ricordò,
una canna di fucile
il fiato speso per condurlo

gridai -madre!
e gli occhi miei s'annegarono
quando sorrise e mi rivestì.

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domani

e per l'ombre, che s'agitan vane
del silenzio si fan voce
per godere assenti
di labili gioie
e d'incanti artefatti

nei sorrisi immaginati
di chi respira luce.
è qui che il tempo s'arresta
nell'oscurità del non volere
e nel ventre di un'ora
nuovamente sospesa

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Primo Vizio: Roma

Opprimeva stancamente alcuni insetti negli intonaci, e dopo averli rassicurati, nel pugno li stringeva dolcemente.

Su d’essi narrarono incubi incredibili, e moltitudini di leggendari mistici
ne cantarono gesta, viltà e virtù. Non fu mai falso che su di una sterlina
si sentissero dunque più baldi ch’altrove.

E così, tra loro in cerchio, alzarono il pianto al caldo d’un palmo:
“Mai fu nostra la gloria, da sempre intenti a marciar invano il muro.
Di duro lavoro costretti a patire, per subir ingiurie, offese e minacce.
Unico omaggio, di quando in quando,
succhiar il ventre e il fetore d’un tafano che muore.”

Per destino o per diletto, dal palmo cinti furon scortati, su un foglio posati e con zelo incoronati.
E così tra rimpianti e triangolari lamenti, alzarono il canto al fondo d’un gotto:
“Eccoci dunque, finalmente ad udienza,
‘si che tanto pregio possa mutar del cosmo le sorti.
Parlò d’essi il più sfiancato e così dicendo:
“Non poiché miri ad alti clamori,
ma se mai fu veduto un re senza corona,
ora non sia che s’indossi in tre.”
Iniziarono quelli ad elogiarsi l’un l’altro, poi nella lode a confonder le parti,
finiron convulsi ad agitarsi ‘si tanto, che fu notato il fervore e affrettato il processo.

Nel sollevarli, la carampana, sortì un ghigno briccone
e borbottando tra sé e il demonio, scoperchiò il pentolone.
“Siate buoni, siate saggi, mutate il magro condur dei foraggi;
siate giusti, siate lesti, a far la ventura dei prodi e degli onesti”.
I tre regnanti, ancora in disputa, reser giustizia al dio degli stolti,
e nella turbina di cui furon preda, mollaron la presa all’amato festone.

I ragni maldestri, ormai senza corona, colavano a picco nel minestrone.

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La verga d'oro

Ove venturieri e vetturini vivevano vagabondi
tra vampori e vaselina;
dietro vetri incrinati volle vagliare
il vero valore del vetusto vessillo,
in varie varianti.
S'or v'era vendetta, or v'era vanagloria,
pur viveva invariato, vampante e vermiglio.

Vegliò vagliando
e invecchiando vagò,
da elevate visioni a pressanti voleri,
da violente evasioni a penose viltà.
Volendo vessare persino la virtù
vanificò il vizio, e violentò la volontà.

Tra ventagli di volti e variformi ventri
vomitò velocemente
versatili vissuti e vagheggiate visioni.

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Smiriam©