VILLANOVA CANAVESE

Provincia di Torino
Abitanti 992
Superficie kmq 3,95
Altitudine m 380 slm
Un borgofranco lungo la Stura.
Il paese è situato nella pianura allo sbocco della Stura, sulla sua riva sinistra, in un paesaggio caratterizzato da una fitta rete di canali irrigui alimentari dalla bealera di Nole e fiancheggiati da pioppi. Il nome rivela chiaramente l'origine del borgo, legata alla fondazione nell'XI e XII secolo di centri abitati (borgofranchi, villefranche, villenove) che fruivano di particolari privilegi. Le prime notizie del paese risalgono al 1269, e sono presenti in un atto di vendita tra i visconti di Baratonia e i conti di Biandrate. Nel 1329 il borgo passò ai principi di Acaia, che nel 1342 accordarono importanti privilegi; nel 1347 il borgo insieme a Balangero e Mathi, fu dato in feudo a Manfredo dei marchesi di Saluzzo. Ancora nel 1378 e nel 1391 Villanova ebbe riconfermati i suoi spazi di autonomia.
Sempre insieme a Mathi e Balangero, nel 1584 passò ai Provana di Leynì. Andrea, membro di questa famiglia, concesse ulteriori e particolari franchigie, nonché la separazione da Mathi e Balangero, anche se il borgo continuò a far parte della castellania di quest'ultimo.
Nel 1705-1706 il paese ebbe a soffrire momenti drammatici poiché i francesi, durante l'assedio di Torino, ne saccheggiarono e devastarono il territorio. Nel 1885 la denominazione cambiò da Villanova di Mathi a Villanova Canavese. Nel 1927 il paese perse la propria autonomia e fu aggregato a Nole; ritornò comune autonomo nel 1947. Poco rilevanti le testimonianze artistiche. I ruderi di una torre medioevale, danneggiata pesantemente nel secolo scorso, costituiscono probabilmente l'ultima testimonianza dell'antico ricetto. La Parrocchiale di San Massimo, sulla piazza principale, si presenta priva di rilevanti peculiarità di stile; l'edificio è di ridotte dimensioni, a una sola navata, dotato di organo.
Alla tradizionale economia agricola, basata sulla coltivazione di cereali e sulla viticultura, si è aggiunta una certa presenza industriale soprattutto nel settore meccanico. Lungo la Stura si registra l'attività di alcune cave che forniscono sabbia e ghiaia all'industria edilizia.
 
Denominazione abitanti Villanovesi
Distanza da Torino km 26
Festa patronale San Massimo
Comuni limitrofi Mathi, Grosso, Note, Fiano, Cafasse.

LA CHIESA DI VILLANOVA CANAVESE

Nel 1400 Villanova possedeva ben due chiese: quella parrocchiale, più grande situata accanto al cimitero, era intitolata a San Massimo. L’altra, la cappella del "ricetto", era dedicata a Sant'Anna.
L’origine della parrocchiale era antichissima, probabilmente si confondeva con l'inizio del cristianesimo nelle nostre contrade. Era poco frequentata e serviva soprattutto nelle sepolture per la liturgia funebre. La chiesa di Sant'Anna sorgeva entro il "ricetto", luogo fortificato che serviva da rifugio in occasione di scorrerie e invasioni. Il primo documento che abbiamo riguardante la chiesa risale al 1507. La popolazione era poverissima, abitava per lo più in case di affitto. I proprietari delle case e dei terreni più pregiati abitavano a Mathi o a Nole. La povertà si faceva sentire anche nella scelta dell'olio della lampada che era di noce più a buon prezzo, ma con pessime conseguenze sui dipinti e sui paramentali, sempre più anneriti dal fumo. Solo più tardi e in seguito ai ripetuti interventi dell'Arcivescovo, l'olio di noce potè essere sostituito con quello di oliva.
In questa situazione di grave penuria era difficile alla popolazione provvedere alla manutenzione delle due chiese. Per la chiesa di Sant'Anna, usata abitualmente per le funzioni religiose, si potevano reperire i fondi sebbene in ritardo e in modo insufficiente. Per la chiesa Parrocchiale di San Massimo, frequentata solo occasionalmente, il denaro occorrente per le riparazioni era sempre troppo scarso e quindi il degrado era fatale e inarrestabile.
Nel 1608 le strutture della chiesa accanto al cimitero erano così precarie che si cominciò a parlare di abbatterla e costruirne una nuova. Vinse tuttavia il partito del restauro e vennero eseguiti interventi appena sufficienti per eliminare il pericolo di crollo.
Nel 1700 unisce al titolo di Sant'Anna anche quello di San Massimo e quindi anche la qualifica di Chiesa Parrocchiale. Nel 1705, durante la guerra di successione spagnola, l’edificio subì devastazioni e saccheggi da parte di militari francesi che assediavano Torino. I paramenti e le suppellettili sacre vennero interamente trafugate e la chiesa dovette essere chiusa al pubblico per lungo tempo. Sette anni più tardi i muri perimetrali erano così fatiscenti che l'intera chiesa minacciava di crollare. Insidiavano la stabilità delle fondamenta le acque delle due bealere: quella della piazza e quella di via Villa. Soltanto dopo aver deviato il corso di queste acque, si potè iniziare un serio lavoro di risanamento alle fondamenta e ai muri.

LA "PIANCA"

Non si può parlare della storia della chiesa senza accennare a un grosso problema che tormentò lungo i secoli i villanovesi: come mantenere le comunicazioni con la frazione Prati e con i paesi sulla destra della Stura: Cafasse, Fiano ecc.
Il ponte fu costruito solo recentemente. Prima si passava su una passerella detta "pianca", la quale, per la sua struttura precaria, era destinata ad essere travolta dalle piene del fiume.
Inoltre, attraversare la passerella in caso di cattivo tempo o soffiava il vento, occorreva una buona dose di coraggio perché la pianca oscillava paurosamente.
Per trasportare merci e animali vi era un grosso barcone; il luogo di attracco era detto “porto" e "portolano" l'uomo addetto alla barca. Il pedaggio era, nel 1800, di 15 centesimi per viaggio.
Le piene della Stura non si portavano via solo la pianca, ma sovente anche il terreno che inondava, coltivato a prati, campi e vigne. La piena del 1649 distrusse 212 "giornate" di terreno coltivato, corrispondente a più di 80 ettari. Ma il peggio veniva quando il Comune non aveva i mezzi per ricostruire la passerella, che a causa delle erosioni delle sponde, doveva essere sempre più lunga. E così nel 1711 la pianca è ricostruita nel comune di Nole e nel 1799 addirittura nel territorio di Caselle. Possiamo immaginare il danno e l'angoscia dei frazionisti che dovevano comunicare con il Capoluogo e dei contadini del centro che avevano i beni oltre Stura.
Questa croce durò fino al 1972, anno in cui venne costruito un solido e magnifico ponte e i villanovesi poterono finalmente cantare un TE DEUM di ringraziamento al Signore.

SAN FERREOLO  (GROSSO)

in mezzo ai campi, circondata da pochi arbusti, ai piedi della salita che porta alla regione Pianetto, la chiesa di S. Ferreolo pare una casetta dimenticata per istrada dagli abitanti di Liramo in fuga verso il borgo di Grosso.
Vi si accede attraverso una stradicciuola di campagna, che si innesta sulla destra della provinciale per Corio, all'altezza del pilone del «fondo della ripa», all'inizio esatto della salita per il Pianetto e la Vauda.
La stradicciuola, che viene comunemente chiamata dalla gente del paese «strada di S. Ferreolo», per un buon tratto procede perpendicolarmente alla provinciale, poi, all'altezza della cascina Barutello, volge a destra verso i prati.
L'esterno della chiesa dice poco al visitatore improvvisato o sprovveduto di nozioni architettoniche.
L'interno, sia nell'abside che in tutta la parete Nord, è graziosamente affrescato con dipinti, un tempo coperti da rudimentale imbiancatura ed ora riportati al primitivo splendore dal pittore Cesare Perfetti di Torino, dietro iniziativa del parroco di Grosso Don Giovanni Pugnetti, il quale non si accontentò dei restauri interni, ma volle riportare anche l'esterno della chiesetta alle sue linee originali.
Da un primo sguardo d’insieme si può concludere con certezza che ci troviamo tra i secoli XIV e XV, quando arte e fede sono ancora unite in un abbraccio stretto ed indiscusso e il «gotico internazionale» si impone o si allinea alle correnti regionali, pure esse tanto spirituali e aristocratiche.
Nella volta dell’abside e raffigurato Cristo Re e Maestro, attorniato dagli apostoli Pietro e Paolo, dai simboli dei quattro evangelisti e, all’altezza delle finestre centinate, dai restanti apostoli. Cristo é seduto in trono: un libro aperto, poggiato sul ginocchio sinistro, reca scolpite le parole evangeliche: «Ego sum via, veritas et vita» (Gv. 14. 6).
Il dipinto ripete letteralmente (a distanza di almeno dieci secoli) il «Salvatore tra gli apostoli» del catino absidale della chiesa di S. Pudenziana in Roma, vero capolavoro dell’arte pittorica di Roma tra il finire del III secolo e gli inizi del successivo.
Seguono, sempre sulla parete Nord. le raffigurazioni delle virtù e dei vizi capitali.
I vizi, sono personificati (eccetto la Superbia) da donzelle che cavalcano diversi animali e sono in viaggio, una dietro l’altra, verso una meta a noi sconosciuta, dato che sulla parete di ponente non compare più... Satana sulla porta dell’Inferno o con in mano una grossa rete per «pescare» i viziosi (ipotesi, questa, del chiarissimo prof. Padre Gasca S. I. dell’Università di Torino).

SAN VITO  (NOLE)

Nel secolo sedicesimo sorse questo centro dedicato alla devozione di San Vito. Non sappiamo quando e perché fu edificato il pilone di San Vito, ma esso fu ben presto considerato punto di riferimento religioso per i presunti fatti miracolosi che attorno ad esso si verificarono. Avvennero infatti “strepitose guarigioni…, tra cui si narra di uno storpio guarito istantaneamente che vi lasciò le grucce”.
Il santo martire divenne così presto caro ai Nolesi che fu edificata una piccola cappella la cui parete di fondo inglobò il pilone originario. Intervenne pure la “Comunità” (ossia la “Municipalità”), che fece ampliare a sue spese la piccola cappella. I lavori furono eseguiti tra il 1638 e il 1651. L’uso della cappella e l’affluenza dei fedeli era tale da richiedere la presenza di una persona che si occupasse dell’apertura e delle pulizie. Si fecero allora costruire due stanze per ospitare un “eremita” o “romito” così detto perché viveva in questo luogo lontano dal centro abitato.
I numerosi “miracoli” ottenuti per l’intercessione di San Vito vengono documentati fin dall’origine (1593) con dipinti ex-voto su tavolette di legno. Essi trovarono posto prima nella cappella e più tardi nella piccola sacrestia, costruita nel 1699 a nord-ovest. Vennero innalzati anche il campanile e i due altari laterali (1702 e 1711).
Se durante il secolo XVII si posero le basi di una devozione, nel secolo successivo vi fu un fiorire di iniziative per aumentare la pratica religiosa. Furono ampliati progressivamente sia il Santuario, sia la casa del romito, con l’abbellimento degli arredi e con l’acquisto di apparati per la liturgia.
Nel 1819 si ampliò la cappella dei quadri e si costruirono la nuova sacrestia e la tettoia che doveva servire ai pellegrini per consumare i pasti in caso di pioggia. Così in quell’anno la chiesa di San Vito fu completata così come si vede ancora oggi, nella struttura definitiva.