Roberto Addeo –”Fuori è un bel giorno di sole” – Ed. La valle del tempo 

Incontrare un segnale di poesia, dal riflesso significativo del comporsi, come una ragnatela colorata ad arcobaleno, in questo mare magnum di tentativi molto spesso deludenti, è come navigare finalmente con le vele spiegate verso una strana melodia che assume significanza nella sua generosità. Il poeta tenta ancora una volta di stemperare la sua meraviglia, traendo emozioni anche dalla quotidianità, che attanaglia nel suo incedere comune, senza artefatti o sfasature, pur sospendendosi nel silenzio del privato.

La scrittura di Addeo non è proteiforme, ma è ben articolata nella sua fattura che cerca di chiudere nel verso quelle emozioni che si schiudono interrogando con sospensione il nostro sub conscio.

Cercando il riscatto dalla quotidianità egli entra nel disincanto della pagina, dove il pensiero diviene forza esplosiva per un segnale esistenziale degno di essere condiviso.

Non è facile incidere simbolo dominante: “ed ecco le sferzate del panico/ delle quali una mente,/ ancor più se sempliciona,/ sotto le zanne delle travi in sviluppo/ si ciba a giorni alternati.” Così che il verso prende mosse dalla sorpresa per aprire un’oasi in cui anche gli affanni finiscano per essere trasfigurati da un velo di serenità soltanto perché lontani nell’alternarsi al soffuso classico nitore. La momentanea evasione dalla realtà cerca di dare una forza fulminante anche perché: “quando invochi la pace e percepisci un dio svegliarsi/ accendi un fanale costoso, l’esperienza/ c’insegna che a vincere la concentrazione dell’occhio/ fu sempre la luna; di solito le dita s’intrecciano/ se abbiamo tirato in barca i remi della perfidia, e il sole/ da lassù le abbrunisce per far sì che abbiano meno paura/ dell’ombra.”

Ricchezza di aggettivazioni che visualizzano con sagacia e con senso sicuro l’avvolgersi voluttuoso della molteplicità dei sogni, per stanare ancora una volta i segreti che il nostro sub conscio trattiene gelosamente, cercando di scampare al naufragio.

Nella solitudine si insinua una luce solare che offre l’euritmica musicalità dei nessi, una combinazione che simboleggia il percorso di una via accidentata verso la ribellione per la sorte o le sorti che ci accompagnano. La rappresentazione del dolore, o dell’angoscia, anche se calati in una precisa realtà contingente, diventa molto efficace con la descrizione di scene esaltative, anche se sfiorando di sorpresa lo sfondo politico.

Il ricorso all’astrattezza filosofica, la fede nell’immaginazione crea le figurazioni al di là dello stesso abbandono, con il sentore di superare ogni agone delle fantasie poetiche ed esser pronto ad abbandonare la bacchetta magica per sprofondare anima e corpo nella elaborazione cosciente di un respiro profondamente avvolto nelle spirali del palabile.

“oggi mi troveranno disponibile/ come il rasoio del barbiere/ sarà una cosa piacevole, altroché/ spalancherò le forze e ridurrò in granelle/ tutti i loro sottopancia/ stirpi di mezzi uomini che hanno fatto bingo/ il giorno in cui vennero al mondo/ mentre a me tocca la sorte del cane in chiesa/ il mio odio per loro è il lenzuolo di Laerto/ (Laerte o come si chiama)”

Un sorta di invettiva che palpita nella frattura dell’io e nella turbolenza riesce a placare il plurale dell’armonia.  Ricca di simboli la partecipazione offre lo spunto alla riflessione, lembi, turbinii, intrecci, colori, effluvi, suoni, rintocchi rendono intensa e plurale la visualizzazione della melodia, proprio come una navigazione che si dirige all’isola dell’immaginario per raggiungere l’intesa che diventa poesia.

 

 

Antonio Spagnuolo