CRISI D’IDENTITA’

Eventskarate 10 ottobre 2005

Ferdinando Balzarro

 Bel problema riuscire a mantenersi sempre sulla cresta dell’onda!

Gli anni ‘70, ‘80, primi ‘90, vedono le palestre (i dojo) traboccare di gente, non si sa come fare, bisogna cominciare alle quattro del pomeriggio e poi via, avanti fino alle 10 di sera, a cena mai prima delle 11, i corsi avanzati sono gli ultimi a terminare, le cinture nere si ammassano con relativo ordine sulla pedana di legno lucido, 95 metri quadrati, troppo piccola per accogliere tanta gente, bisogna sistemarli su più righe oppure farli lavorare a piccoli gruppi, presto, presto, chi aspetta non deve raffreddarsi, poco tempo per le correzioni, il sudore cola copioso, tutti se ne vanno soddisfatti, domenica c’è la gara, speriamo che uno dei nostri porti a casa la coppa, se no fa lo stesso, vincere non è poi così importante, basta combattere bene, controllare l’emozione, la paura di ricevere colpi troppo duri, ma no… no… lo sanno tutti che bisogna controllare e controllarsi, al primo posto c’è il rispetto per l’incolumità dell’avversario, un sano principio, un gran segno di civiltà, un valore assoluto alto e nobile che non vale solo sul campo di gara ma anche nella vita di tutti i giorni, in ufficio con i colleghi di lavoro, nell’aula della scuola, tra le mura della propria casa, sull’autobus quando tutti spingono, dentro l’auto quando tutti suonano, in fila davanti allo sportello delle poste quando tutti aspettano, davanti alla mensa universitaria quando tutti mangiano, bloccati dal traffico quando tutti hanno fretta. Poi c’è il rispetto per i Maestri, quelli che ci hanno preceduto, quelli che seguiranno, quelli che hanno indicato una via, quelli camminano davanti, battono le piste, non smettono di cercare, non finiscono di imparare, basta seguire le loro orme, basta credere che continueranno a procedere sino a che ne avranno la forza, sino a quando troveranno le energie, fintantoché forse un giorno toccherà a noi continuare il percorso con la stessa determinazione, col medesimo entusiasmo, e dobbiamo proseguire, dobbiamo farlo per quelli che ci stanno dietro, per quelli che ci guardano e credono in noi, in quello che facciamo, e sanno che non molleremo mai, mai neanche quando saremo stanchi, il cuore in gola, la vista annebbiata. I keikogi sono bianchi, le cinture sono nere, i piedi sono nudi, le unghie sono corte, al collo non sono appese catenine, i polsi liberi da orologi o braccialetti, le mani prive di anelli e di guantini, le tibie non hanno protezioni, la disco music schiamazza solo nelle discoteche o nelle sale riservate all’aerobica, al fitness, allo spinning, al cardio combact, alla fit- boxe. Però quante persone dentro quelle stanze, quante ragazze, quanti giovani, e come si divertono, non fanno che sorridere ed emettere gridolini, altro che kiai, altro che oss, altro che inchini e reverenze al Sensei, e poi la musica è allegra, il volume è alto, eccitante, viene voglia di muoversi, di saltellare, lanciare calci e pugni sull’onda del suo ritmo, macché tallone a terra, macché kibadaci, macché bassai- dai, e che sudate, che scioltezza, alla faccia del kime, alla faccia dello zanchin.

Siamo entrati nel terzo millennio, non c’è tempo per rimpianti e nostalgie, il mondo corre per la sua strada, i valori di ieri non sono più quelli di oggi, così come gli obiettivi e i metodi per raggiungerli e gli strumenti per realizzarli, e il tempo stringe, se entro pochi anni non sei già diventato un campione tanto vale smettere, anche se hai solo ventitré anni, meglio dedicarsi a qualunque diversa attività, una vale l’altra per tenersi in forma. Il karate… sì quello tradizionale, quello dove si va avanti e indietro al ritmo di secchi comandi scanditi nella dura fonetica giapponese: ich, ni, san… quello è diventato noioso, troppo serio, fossilizzato e irrigidito entro schemi involuti, incapace di emanciparsi, legato al passato, anacronistico reperto archeologico riservato a pochi appassionati in via d’estinzione, anti-formativo, anti-fisiologico, anti-remunerativo, e quelli che un tempo erano grandi Maestri sono invecchiati, soffrono di artrosi, le articolazioni cigolano come arrugginiti catenacci mentre ancora si ostinano in estenuanti allenamenti sorretti da un orgoglio più patetico che ammirevole.

E allora? Allora è facile! Come mai non ci abbiamo pensato prima? Se è vero che oggi ai più piace muoversi a tempo di musica qual è il problema?

Usiamola questa musica! Formiamoci e perfezioniamoci sotto la sapiente guida di istruttori di aerobica, esperti danzatori, quotati disc-jockey, estrosi coreografi, e d’ora in poi, calci, pugni, parate e quant’altro prevede il noto e monotono repertorio gestuale del karate, saranno combinati sulle note di gradevoli canzonette, accattivanti ritmi sudamericani, saltellanti passi di funky. Nasce il “karate Sound”. Ci voleva poi tanto a capirlo? I dojo ricominceranno a popolarsi, i corsi traboccheranno di allievi, torneranno i tempi d’oro, tornerà il sorriso sul volto dei gestori di palestre, il karate risorgerà dalle sue stesse ceneri, rappresenterà l’ultima moda in fatto di fitness, diverrà il più temibile concorrente della ginnastica aerobica, del lapdance, del aero-boxe, dello step, del funky, dello spinning, del body pump, i nuovi “Maestri” calzeranno vistose scarpe della Nike, indosseranno sgargianti karategi senza maniche, cingeranno ai fianchi fantasiose cinture variopinte, saranno belli, agili, svolazzanti, pieni di brio.

Non è uno scherzo! Non mi piacciono gli scherzi! Non è una trovata per divertire chi mi sta leggendo. Non ho mai avuto né l’abilità umoristica né sufficiente ironia per far sorridere chi mi ascolta. E poi, parliamoci chiaro, in questo caso c’è poco da ridere.

Il karate sound è una realtà; l’ultima rivoluzionaria proposta federale inserita nei programmi di formazione dei tecnici, istruttori e maestri. Certo! Non come unica alternativa alle consuete e pluricollaudate metodologie di allenamento, ma come attività complementare finalizzata al coinvolgimento di tutti coloro che non sono interessati o portati per l’agonismo e si annoiano a morte durante le obsolete e austere lezioni basate sull’esclusiva pratica di kihon e kata. Attenzione! Non impiegherò le ultime righe di cui dispongo per sollevare una sterile polemica che, data la situazione, trovo anche troppo scontata.

Anzi, posso perfino spingermi a sostenere che la “trovata”, “l’illuminata intuizione” del karate sound, (considerato dal punto di vista organico, funzionale e ricreativo) sia molto meglio del karate classico.

In ogni caso non mi sottrarrò dal manifestare il mio parere e, sebbene con pacatezza, osservare quanto segue: esistono valori in cui le rigidità di pensiero sono necessarie! Il karate nasce come arte marziale e tale identità, se pur mutuata dall’epoca e dalla cultura nella quale è immersa e di cui è parte integrante, non può venire meno e rischiare di scomparire perché sopraffatta da opportunistiche speculazioni di netta impronta mercantile, nonché asservita ai volubili e spesso astrusi regolamenti della competizione.

Sono sicuro che la popolarità del karate, nella sua versione più classica, non è diminuita (lo dimostra il grande numero di partecipanti che ancora caratterizzano i raduni ad esso dedicati). Quella che purtroppo è diminuita, per non dire scomparsa, è la qualità dei Maestri ancora in grado di insegnare, approfondire, rendere vitale, interessante, ricca di emozioni e di spunti intellettuali, proprio quella formidabile e pressoché inesauribile fonte di conoscenza ed auto coscienza rappresentata dallo studio delle arti marziali e, nel caso specifico, dal karatedo.

Mi rendo conto… sì mi rendo conto… non pensate che non vi comprenda… sì, mi sto rivolgendo proprio a voi fieri e orgogliosi “Maestri” blasonati, carichi di dan, di qualifiche, di incarichi prestigiosi, di grosse responsabilità federali, di legittimi interessi personali. Del karate al quale avete immolato buona parte dei vostri anni migliori non ci avete mai capito granché, e quell’allenamento quotidiano che una timida parte della vostra coscienza di insegnanti vi suggeriva di dedicarvi non ha mai goduto del vostro gradimento.

Il famoso “do” è smarrito da tempo; tutto sommato meglio prendere vie più comode e, se possibile, più redditizie. L’identità marziale è perduta e, probabilmente con essa, è andata perduta anche la faccia… ma, come si suol dire, dove c’è pane c’è patria.

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