Il borgo dove sono nato: Pendino
Panorama del Rione Pendino

Pendino, la parte più antica di Francavilla Angitola, è edificato su costone roccioso con un ampio orizzonte aperto sulla Frischia, il Calvario, San Martino, la Cuttura e poi … Rocca Angitola, Maierato, Vibo Valentia, il mare Tirreno.

È un reticolo di vicoli molto stretti, di scalinate ripide, di casette basse dotate al massimo di due stanze, e spesso senza finestre, appiccicate una sopra all’altra, dominato dal Piano dell’antico castello dell’Infantado, oggi chiesa di San Foca Martire.

Pendino, all'epoca della mia fanciullezza, era il borgo più popoloso e popolare di Francavilla Angitola, abitato prevalentemente da contadini, salariati e piccoli proprietari terrieri.

Nel corso dell’ultimo trentennio del secolo scorso si è completamente svuotato, prima a causa dell’emigrazione dettata dalla necessità di poter avere una condizione di vita migliore, visto che con il salario derivante dal lavoro giornaliero in campagna o con quello derivante dal contratto di affitto per lavorare la terra non si poteva campare, e poi ancora a seguito dell’industrializzazione dell’Italia che richiedeva sempre più manodopera nelle grandi fabbriche del nord.

Oggi moltissime sono le case che sono state abbandonate, intere “rughe” sono diventate luoghi deserti, in cui il rumore e il vociare di un tempo si possono udiresolo se il ricordo corre sul filo della memoria.

Si possono ancora ascoltare gli schiamazzi dei bambini che giocano in quei luoghi che in qualche misura incarnavano l’ identità di Pendino: lo spiazzo antistante la chiesa delle Grazie o quello “arriedi u Campanaru”, il Calvario e a “potìha e Focuzzu Fiumara”.

Si possono inpltre sentire le risate da Sarra e di cummara Francisca; il profumo del pane o dei “viscottini” che proveniva dal forno di cummara Lucia; l’odore del mosto proveniente dal palmento di Pallone, gli strilli di cummara Filomena che si sentiva disturbata dai giochi di noi bambini e le urla dei giocatori di carte provenienti dalla potìha.

Si sente anche il profumo dei fiori, in modo particolare delle rose nel mese di maggio; il canto del Magnificat intonato da mio nonno Giuseppe Teti e da mastru Antonio Ventrice, le note dell’organo suonato da cummara Rina; l’aroma d’incenso che, nel corso delle funzioni religiose officiate dall’arciprete Vincenzo Condello, invadeva la chiesa delle Grazie. Si vede lo stuolo di chierichetti che dall’arciprete veniva istruito su come comportarsi durante la messa e le altre funzioni religiose, si ode la sua voce imprecante rivolta a chi si distraeva: “Le teste di legno fanno sempre rumore”, e si scorge la solennità che dava ad ogni ricorrenza religiosa o circostanza della vita.

Io inoltre sento ancora la musica della chitarra che proviene dalla casa di Michele Ventrice e le urla da stadio prodotte da noi ragazzi in quel ristretto spiazzo di terra, situato dietro la chiesa delle Grazie, quasi di fronte a casa mia, teatro di molte partite di pallone che per noi potevano essere paragonate a quelle dei campionati del mondo tale e tanta era la foga agonistica: era piccolo, ma a tutti noi sembrava più grande dello stadio di San Siro.

E come non sentire il suono delle campane provenienti dalla Chiesa della Madonna delle Grazie? Mio nonno Giuseppe “sbulica u tamburinaru” e mastru Ntuoni Ventrici erano specialisti e come dicevamo un tempo li sapevano far “tringulijara”.

Chiudendo gli occhi vedo ancora alla mattina le persone che cercano, in modo più o meno discreto, di trovare un luogo dove appartarsi per fare i propri bisogni o le donne che, con altrettanta circospezione, nascondendo “u pisciaturi “ cercavano di svuotarlo senza attirare l’attenzione.

Ma stando bene attenti si possono ascoltare i versi degli animali: asini, galli e galline, maiali e anche qualche capra provenienti dai “catoja” situati negli orti a ridosso del Calvario.

Vedere davanti le due fontane pubbliche (oggi non più presenti), quella “davanti ai Fiumara” e quella davanti la chiesa della Madonna delle Grazie, tante persone in attesa e, se pur sparpagliati, in fila, spesso mentre litigano per prendere l’acqua con i “cati”.

Infine, ogni volta che torno a Pendino, sento ancora molto forte l’urlo accorato e pieno d’amore di una madre che chiama il proprio figlio “Peppiniejuuuuu”, è la mia.

Certo ci vuole molta fantasia e molto amore per Francavilla Angitola e, per Pendino in particolare, per rivedere e ricordare e riascoltare tutto questo, perché oggi, nonostante l’importante lavoro di recupero e valorizzazione dell’intera area dell’antico borgo - costituito da portali lavorati, maschere apotropaiche, ruderi di antiche strutture abitative e traccie d’insdiamenti rupestri – Pendino è un borgo praticamente vuoto e silenzioso che si ripopola in parte solo nei mesi estivi per il ritorno di quei ragazzi di cui stando bene attenti si sentono ancora gli strilli insieme alle campane della chiesa della Madonna delle Grazie che non hanno mai smesso di suonare.

Forse sono ancora quegli strilli e quei suoni che cerchiamo di sentire riecheggiare nelle nostre orecchie e nel nostro cuore, che ci riportano ogni anno a Francavilla Angitola e che ci fanno sentire il bisogno di ritrovarci e di esserci.

Pendino ruderi con Calvario

 

 Le Foto

 

 

Madonna delle Grazie

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