Ass. Compagnia teatrale Il Canovaccio


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Il malato immaginario

Stagione Prosa 2011-2012

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IL MALATO IMMAGINARIO

Argan è il grande malato. Delle sue manie approfittano la seconda moglie Beline, a caccia di eredità, e gli illustri medici Pourgon e Purghetta Diafoirus (due nomi, un destino!) i quali, insieme al farmacista Fleurant, inventano senza tregua pozioni e clisteri per la gioia del malato. Se non ci fossero Toinette, la cameriera, e la saggia Béralda, sorella di Argan,non ci sarebbe soluzione a questo inferno che porta Argan persino a immaginarsi un genero-medico, per quanto la povera figlia Angélique spasimi d'amore sincero solo per Cléante. L'idea che propongono Toinette e Béralda è uno degli stratagemmi più classici. Argan; avrà tempo per smascherare la cupidigia, la finzione e, al tempo stesso, l'affetto della dolce Angélique. Finisce tutto bene, così come si vuole in una commedia: la figlia sposerà Cléante e Argan, malato vero e insieme immaginario, abbandonerà i dottori che pontificano per eleggersi egli stesso medico delle proprie malattie. Dunque, una soluzione in chiaro, del tutto positiva. Ma è davvero così?
La commedia a cui lo spettatore sta per assistere è un opera profonda, definitiva, ai confini stessi del teatro e della cristallinità della scrittura molieriana. Il malato immaginario svuota il sarcasmo di cui si nutre. Nella sua partitura viene neutralizzata qualsiasi strumentazione moralistica tesa alla polemica, che pure altrove ha reso grandissimo Molière. Ora la vera posta in gioco (l'enjeu)non è altro che il male, il bieco male dell'esistenza. Ecco: l'unità tragica di una commedia che resta perdutamente comica — l'identità di Argan e dei suoi medici, mai gli uni contro l'altro quanto, invece, identici, fraterni, tutti nella stessa muta ossessione - dichiara che la verità comune degli uomini è l'errore cieco che gli uomini sempre sanno portare dentro: quell'insensatezza del male che sanno abitare.
Molière, in questo suo meraviglioso, serissimo congedo, non cerca più la lucidità per decriptare le sorti del mondo. Possiede, piuttosto, una nudità suprema, diciamo una luce inservibile: quella che consente di illuminare non la cocienza del nostro vivere ma l'essere proprio, la piccola ombra del nostro esistere. La malattia più grande di ogni uomo, sembra dirci con voce strozzata Argan nell'ultima scena, è il male chiuso e fatale che ognuno si porta dentro - quel male indelebile, incancellabile: un male tanto banale da apparire immaginario.Alla fine, mentre scricchiolano le immagini del più grande umorismo europeo, mentre la comédie e il ballet del grande Argan-Molière sfilano come sogni dei morti, ciò che resta fisso nella mente dello spettatore sono il dubbio, una specie di antico recitativo che sembra appartenere alla più profonda saggezza morale: la dignità ha sempre un rapporto diretto con lo stile e con la morte.

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