GIORGIO MADEDDU. La prigionia austroungarica in Italia 1915-1918 L’Asinara

  

 

L’Isola dell’Asinara, situata a nord ovest della Sardegna dista da questa circa 22 km, raggiungibile solo per mare, l’isola ha una superfice di circa 50 km2, lunghezza massima di 17,5 km e larghezza di circa 7 km. Amministrativamente appartiene al comune di Porto Torres (SS).

Da metà dell’800 l’isola è trasformata in stazione sanitaria di quarantena per i viaggiatori in arrivo in Sardegna ed è istituita anche una colonia penale agricola. Successivamente, intorno al 1885, vengono realizzati i caseggiati che ospiteranno i tre periodi contumaciali destinati ad ospitare le persone sbarcate nell’isola. I così detti “Periodi” saranno di fondamentale importanza per lo smistamento dei prigionieri di guerra austro ungarici che giunsero sull’isola nel dicembre 1915 provenienti da Valona.

L’Asinara si presenta come un’isola montuosa e brulla, scarse le risorse idriche naturali per cui si dovete far ricorso allo scavo di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana e per gli approvvigionamenti via mare.

Con l’arrivo del piroscafo “Tolemaide”, avvenuto nel mese di agosto del 1915, la pace e la routine degli ergastolani della colonia penale veniva turbata profondamente, dal piroscafo sbarcarono poco più di un migliaio di prigionieri di guerra austro ungarici catturati nelle fronti italiane nei primi mesi di guerra.

Nel successivo mese di dicembre le Forze Armate italiane sono chiamate a svolgere la loro prima “missione umanitaria” all’estero. La Marina e l’Esercito in coordinamento con le forze armate inglesi e francesi sbarcarono a Valona in Albania con il duplice intento di portare in salvo quel che restava dell’esercito serbo in ritirata e accogliere i prigionieri di guerra austro ungarici trascinati dai serbi in quella che è ricordata come la “marcia della morte nei Balcani”. Iniziata a Niš nell’ottobre del 1915, la marcia si concludeva a metà dicembre nel porto di Valona dove giungevano circa 25.000 ombre d’uomini, logori nelle vesti e distrutti nel corpo e nella mente, unici sopravvissuti di quei 70.000 / 100.000 che iniziarono la marcia.

Originariamente diretti in Francia per essere impiegati in attività lavorative, il diffondersi di primi casi di colera e tifo esantematico, indusse gli alleati a chiedere all’Italia di farsi carico dei prigionieri di guerra austro ungarici. Esaminate le diverse opportunità di collocazione nei nuovi campi realizzati sul territorio italiano, la scelta cade sul campo dell’Asinara, unico in grado di preservare la terra ferma dall’eventuale diffusione delle malattie di cui prigionieri erano affetti.

Il 18 dicembre giunsero al largo dell’Asinara i piroscafi Dante Alighieri e America, gli sbarchi successivi sono indicati nella tabella estratta dal “Diario” del generale Carmine Ferrari comandante del campo di concentramento.

L’arrivo dei prigionieri è descritto dai militari italiani presenti sull’isola, con parole di pietà, “… soltanto chi li vide imbarcare a Valona o, soprattutto, sbarcare all’Asinara, ne conobbe lo stato miserando!”[1] e ancora, “Nessuna parola potrà mai descrivere lo spettacolo offerto dallo sbarco di quei disgraziati. Lacere le uniformi militari o gli abiti borghesi, che coprivano malamente quei corpi affranti dalle sofferenze; alcuni seminudi, altri avvolti in tela da sacco od in sdrucite coperte; per la maggior parte scalzi, altri con scarpe a brandelli o con sandali o con le caratteristiche calze serbe, altri infine coi piedi doloranti, avvolti in pochi cenci, scesero sulla spiaggia, mal reggentisi in piedi, e pur trascinando il povero fardello di quanto avevano potuto salvare dopo così lungo e così doloroso viaggio.”[2]

Gli autori contemporanei, quindi lontani dagli accadimenti del tempo, al contrario, spesso si concentrano su aspetti specifici, utilizzando per descrivere i fatti, termini come ecatombe, disperati, dannati, estrapolando singoli episodi dal contesto storico generale.

Il campo dell’Asinara, pensato inizialmente per accogliere circa 6.000 prigionieri, dal dicembre 1915 al febbraio 1916, vide lo sbarco di poco più di 24.000 prigionieri austro ungarici provenienti da Valona di cui 15.547 infetti dal colera. L’isola si trova ad affrontare una pesante emergenza sanitaria; gli ufficiali sani verranno man mano trasferiti presso il secondo campo di prigionia della Sardegna, quello di Monte Narba di cui si dirà in seguito, e nei campi di Cittaducale, Portoferraio e Muro Lucano.

Mentre per la truppa, occupati tutti gli alloggiamenti preesistenti, furono allestiti diversi accampamenti utilizzando le tende Roma.

Nell’area di Fornelli furono organizzati quattro reparti ciascuno identificato con il nome del piroscafo di sbarco dei prigionieri, “Duca di Genova”, “Re Vittorio”, “Indiana” e “Dante Alighieri (2° sbarco)”; nell’area degli Stretti i reparti “Sinaj”, “Dante Alighieri (1° sbarco)”, “Regina Elena”, “Armenia”, “Jonio”, “Folkenston”, “Candiano”, “Indiana”, “Città di Cagliari”.

Ulteriori campi furono realizzati a Cala Reale, Campo Perdu, Tumbarino e furono occupati, secondo criteri sanitari specifici, anche le strutture dei tre Periodi contumaciali.

L’Asinara, assolutamente inadeguata per la gestione di una così grande massa di prigionieri, nonostante la grave epidemia falcidiasse ogni giorno circa una cinquantina di vittime, si trasformò in un gigantesco cantiere. In brevissimo tempo, anche grazie alla fattiva collaborazione dei prigionieri di guerra, vennero innalzate le tende ospedale “Sarzotto”, realizzate le latrine e istituito un servizio inumazioni in grado di gestire, nel pieno rispetto delle norme igienico – sanitarie le sepolture dei caduti.  Di pari passo furono realizzate le prime cucine gestite, in parte, dagli stessi prigionieri, i forni per il pane, le lavanderie e persino lo spaccio per generi di conforto a cui si accedeva con la moneta stampata sull’isola. In brevissimo tempo i diversi campi assunsero un aspetto ordinato e man mano che l’epidemia andava scemando, sotto diretta supervisione del Generale Carmine Ferrari, furono allestiti gradevoli giardini e realizzati alcuni monumenti realizzati da importanti artisti provenienti dai paesi dell’Impero. Non fu trascurato l’insegnamento dell’italiano tramite il “sistema Berlitz” né la pratica religiosa.

Al fine di curare al meglio malattie comuni e ferite, molti prigionieri, esenti da malattie contagiose, furono trasferiti negli ospedali militari di Cagliari e Sassari.

Esaurita la fase epidemica, fu redatto un elenco per nazionalità dei prigionieri dell’Impero austro ungarico, tra serbi, croati, boemi, ungheresi, austriaci, rumeni, polacchi, ruteni, slovacchi, bulgari, sloveni, germanici, turchi, greci, russi e italiani gli uomini presenti sull’isola assommavano a 16.730 di cui 300 italiani e 52 germanici, per questi ultimi si dispose il trasferimento presso l’Isola di Ventotene.

La tabella è estratta dal prospetto riportato nel “Diario” del gen. Carmine Ferrari:

 

Data Piroscafo Prigionieri imbarcati Deceduti Prigionieri sbarcati
    Sani Infetti Nella traversata In rada Infetti Sani Totale
18.12.15 Dante Alighieri 1995 1995 1995
18.12.15 America 1721 10 1711 1711
20.12.15 Cordova 1400 1 1499 1499
24.12.15 Valparaiso 1470 2 10 1458 1468
27.12.15 Duca di Genova 3141 300* 2841 2841
27.12.15 Re Vittorio 3085 53 3032 3032
30.12.15 Natal 776 1 776 776
30.12.15 Indiana 2423 34 2389 2389
01.01.16 Dante Alighieri 2841 1 2840 2840
02.01.16 Sinaj 1500 70 1430 1430
02.01.16 Armenia 764 8 756 756
03.01.16 Regina Elena . 1020 1 1019 . 1019
18.01.16 Jonio 481 27 454 454
28.01.16 Folkenston 370 370 370
13.02.16 Folkenston 257 7 250 250
21.02.16 Città di Cagliari 326 1 325 325
27.02.16 Re d’Italia ** 6 6 6
07.03.16 Konig Albert              
08.03.16 Candiano 178         178 178
             
  Totali 24.039 522 15547 7.970 23.517

*La cifra è approssimativa risulta la dicitura: “Nel costituto è detto circa 300”

**Si tratta di nave ospedale che trasporta 390 soldati italiani e 11 serbi

Con disposizione della Commissione Centrale per i prigionieri di guerra n. 7077 dell’aprile 1916 si ordinava al Presidio Militare dell’Asinara di tenere pronti 5.000 prigionieri per essere inviati in Francia, il 19 maggio ancorava a Cala Reale la nave militare francese Seine, il giorno successivo presero avvio le operazioni di imbarco di un primo scaglione di prigionieri, la nave prese il largo, diretta a Tolone, intorno alle ore 16. Nei giorni seguenti diverse navi francesi fecero spola tra l’Asinara e Tolone.

La Chiesa cattolica più volte intervenne a tutela dei prigionieri di guerra, di fatto, assieme all’ambasciatore di Spagna in Italia, incaricato della cura degli interessi dei sudditi austro ungarici, furono testimoni certi e affidabili del trattamento usato dagli italiani nei confronti dei prigionieri internati all’Asinara. Il 17 maggio 1916 alle ore 10 dalla sede del comando Militare ebbe inizio una solenne processione, il vescovo mons. Cleto Cassani adornato di mitra e pastorale, preceduto dal clero, si recava alla cappella realizzata a Cala Reale per impartire la sua benedizione. Benedetto l’altare fu celebrata la Messa.  Al solenne rito partecipo anche don Noseda, inviato del governo svizzero, a tal proposito si osserva che, il Ministero degli Esteri italiano aveva acconsentito alla proposta elvetica di inviare un sacerdote in Italia e uno in Austria Ungheria al fine di poter visitare i rispettivi prigionieri di guerra.

Nel pomeriggio del 17 il vescovo e don Noseda lasciarono l’Asinara. Il primo luglio il vescovo di Sassari rendeva noti i contenuti di una lettera inviata dal cardinale, segretario di stato, Pietro Gasparri che, a nome del Papa Benedetto XV, oltre esprimere vivo conforto per l’esito della visita del vescovo all’Asinara, tributava al vescovo ben meritato encomio, “Ma anche agli instancabili cappellani ed agli altri superiori dei buoni prigionieri, e nominalmente ai generali Ferrari e Gibelli, Sua Santità vuole giunga, per il tramite della V.S. una parola di lode e di ringraziamento, non solo per la devozione con cui hanno coadiuvato la S.V. nell’adempimento della sua missione, ma specialmente per le amorevoli cure che essi, ispirandosi ai più nobili sentimenti di carità cristiana, hanno per tanti infelici, degenti in captività, confortando, col caldo affetto di un padre attento e pietoso, le sofferenze della prolungata lontananza dei poveri prigionieri dalla famiglia e dalla patria.”[3]

Il 24 luglio lasciava l’Asinara l’ultimo scaglione di prigionieri destinati a Tolone, complessivamente i prigionieri inviati in Francia furono 16.262.

Liberati i campi dell’Asinara dalla presenza dei prigionieri provenienti da Valona, la Commissione prigionieri di guerra chiese la disponibilità ad alloggiare sull’isola i prigionieri evasi da altri campi, la risposta fu naturalmente affermativa. Dal luglio 1916  e ben oltre il 4 novembre del 1918 continuarono ad affluire sull’isola i prigionieri fatti dall’esercito italiano nelle diverse fronti di combattimento, ma non solo, finirono all’Asinara i prigionieri delle terre irredente liberati dalla prigionia in Russia per essere sottoposti a periodo di osservazione al fine di evitare la propagazione nel Regno delle “nuove idee” della Russia dei Soviet e gli ormai ex prigionieri russi liberati dai soldati della Ia Armata italiana durante l’avanza nel Trentino e nel Tirolo del novembre 1918.

La detenzione inoperosa di migliaia di prigionieri di guerra sull’Asinara mal si conciliava con la scarsità di manodopera nei diversi settori produttivi della Sardegna e dell’Italia intera; a partire dal mese di marzo del 1916 la Sottoprefettura di Iglesias indirizza una circolare ai direttori delle miniere con la quale si chiede di conoscere lo stato della manodopera nelle miniere e se vi sia la necessità di forza lavoro destinare ai lavori minerari. La necessità di definire precise regole sulla concessione dei prigionieri di guerra da impiegare nel lavoro vedrà i “distaccamenti prigionieri di guerra” pienamente operativi solo nei primi mesi del 1917.

Il campo dell’Asinara dà luogo di semplice internamento si andrà man mano configurando come centro amministrativo per la gestione dei prigionieri di guerra austro ungarici inviati nei paesi della Sardegna per essere impiegati nel lavoro. Dall’Asinara, migliaia di prigionieri di guerra raggiusero le diverse destinazioni di lavoro e all’Asinara rientrarono, nei primi mesi del 1919, per essere riavviati ai rispettivi paesi natali, lasciando, in un centinaio di paesi sardi, circa mille prigionieri – lavoratori nel frattempo deceduti.

Diversa sorte toccò agli ex prigionieri russi, denominati “profughi militarizzati russi”, per essi fu necessaria la stipula della “Convenzione italo – russa” di Copenaghen sullo scambio dei prigionieri ed internati civili. La situazione di questi soldati era atipica rispetto alle altre nazionalità, infatti, sull’Asinara si dovete procedere al “plebiscito di libera scelta” ovvero i prigionieri dovettero, prima della liberazione, comunicare se intendevano aderire all’esercito contro rivoluzionario dell’Ammiraglio Kolčak, a quello bolscevico o a quello ucraino.[4]

L’ingegnere Vodovosov, delegato del governo sovietista di Russia per il rimpatrio, al fine dell’organizzazione delle fasi del ritorno in patria, chiese al governo italiano l’autorizzazione affinché due membri del comitato comunista dell’Asinara potessero raggiungerlo a Roma per meglio coordinare i trasferimenti. A fine di settembre del 1919 rimanevano ancora sull’Asinara 4.500 russi.

Con telegramma del 13 luglio 1920, Vodovosov si congratulava con il ministero dell’Interno italiano perché, con la partenza “… jersera da Messina tutti ex militari russi finora internati Asinara iniziasi praticamente ripresa rapporti Italia Russia Sovietista…” il telegramma concludeva esaltando il “… ristabilimento completo definitivi tutti rapporti tra popoli Italia Russia legati profondi sentimenti affetto amicizia.”[5]

Abbastanza controversa anche la questione dei prigionieri slavi, dure polemiche si svilupparono tra il Regno d’Italia e la neo costituita Jugoslavia (Regno dei Serbi, Croati e Sloveni) a causa della richiesta della Legazione Serba di rimpatrio, via Bari, degli ufficiali austro ungarici per l’arruolamento nell’esercito jugoslavo, non limitandosi alla richiesta dei soli slavi, ma pretendendo la consegna di ufficiali tedeschi e di altre nazionalità. Al diniego italiano e la sospensione del rimpatrio degli ex prigionieri slavi, una vera offensiva diplomatica anti italiana fu scatenata dalla Serbia, dapprima con proteste formali al Congresso della Pace di Versailles e a seguire con campagna di stampa internazionale: la “Gazette de Lausanne” pubblicò un lungo articolo sulle informazioni fornite dai serbi sul trattamento dei prigionieri all’Asinara, l’Obzor di Zagabria del 28 novembre titolava: L’Asinara – sepolcro dei nostri prigionieri in Italia. Tutti gli articoli facevano comunque riferimento a diversi articoli pubblicati, in Italia, dall’ “Avanti”. Ragusa (Dubrovnik) fu tappezzata con un manifesto di violente accuse all’Italia sul trattamento dei prigionieri jugoslavi.[6]

Paradossalmente, nel 1930 fu realizzato a Belgrado “Il Monumento alla Gratitudine verso la Francia” quale riconoscimento per il sostegno militare e culturale fornito durante la Grande Guerra.

La storiografia contemporanea non ha ancora raggiunto un giudizio condiviso sugli eventi della prigionia di guerra sull’isola dell’Asinara, se pur usate da altri fronti le polemiche dell’inverno 1919 – 20 continuano a sopravvivere.[7]

[1] Ferrari G.C., Relazione del campo di prigionieri colerosi all’Isola dell’Asinara nel 1915 – 1916, Provveditorato Generale dello Stato, Roma 1929

[2] Carandini N., Il lungo ritorno – a cura di Oddone Longo ed Elisa Majnoni, Gaspari Editore 2005

[3] Ferrari G.C., Relazione del campo di prigionieri colerosi all’Isola dell’Asinara nel 1915 – 1916, Provveditorato Generale dello Stato, Roma 1929

[4] A.C.S., P.C.M. B. 169

[5] Ibidem

[6] A.C.S., P.C.M. B. 169 – Ritornano…….  Dopo innumerevoli patimenti sopportati sull’Isonzo insanguinato e attraverso gli abissi delle Alpi rocciose; ritornano gli schiavi martoriati, ritornano i padri nostri, i fratelli nostri, i figli nostri …..

Ritornano a noi esausti, miseri e cadenti dopo aver sopportato gravi torture sui campi di battaglia sui quali erano stati gettati dal feroce gracidio della nera aquila bicipite. Costretti ad abbandonare le loro case e spandere il sangue per il proprio nemico, son caduti nelle mani di un nemico ancora più sanguinario il cui dominio ha impresso sui loro pallidi volti e sulle stanche membra il marchio della miseria e delle privazioni …..

I loro occhi sono infossati, le loro gambe esauste, le braccia senza forza …. Il loro sguardo torbido addolorato, tutto il loro essere miserando, ci pregano e supplicano: “Aiuto, Aiuto”.

ad abbandonare le loro case e spandere il sangue per il proprio nemico, son caduti nelle mani di un nemico ancora più sanguinario il cui dominio ha impresso sui loro pallidi volti e sulle stanche membra il marchio della miseria e delle privazioni …..

I loro occhi sono infossati, le loro gambe esauste, le braccia senza forza …. Il loro sguardo torbido addolorato, tutto il loro essere miserando, ci pregano e supplicano: “Aiuto, Aiuto”.

Jugoslavi! Aiutateli!

Il manifesto datato in Ragusa il 20 gennaio 1920 prosegue ancora con un lungo elenco di accuse all’Italia ed è firmato da: Il Comitato Centrale per il ricevimento dei prigionieri di guerra dall’Italia.

[7] Bibliografia aggiuntiva. Bibliografia aggiuntiva. Residori S., «Nessuno è rimasto ozioso» La prigionia in Italia durante la Grande Guerra. Franco Angeli, Milano, 2019. Terranova G., Ischia M., Dai Balcani all’Asinara. Il Calvario dei Landstürmer tirolesi nella Prima Guerra Mondiale. Comitato Storico Riccobona, Pergine Valsugana, 2017; Agnelli G., L’ecatombe dell’isola dell’Asinara. L’episodio più atroce e pietoso della guerra europea. Quindicimila vittime del colera. Il regime del bastone tra i prigionieri. Biancardi Editore, Lodi (MI), 1961; Mossa V., I Cabilli. Ilisso Edizioni, Nuoro, 2016: Posse Bràzdovà A., Interludio di Sardegna, Tema Editore, Cagliari, 1998