“Sanno le gambe sentire la terra” – Lampedusa e il cammino poetico di Giulio Gasperini

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La stanza chiusa

 

Ti cercherei ma so che non ci sei,

fuggito altrove, via dalle tue stanze

adesso vuote, come sposa che in

silenzio fruscia via con tutta la sua

dote. Vorrei almeno un velo di terra,

un soffio di polvere, che copra il

tuo volto, il tuo corpo da dissolvere.

Vorrei almeno un luogo dove ancora

conoscerti, dove tatuare il tuo nome,

la tua data, la tua età immortale.

Perché qua ho chiuso tutto, di te. Ho

serrato la porta, sbarrato la finestra.

Tutto quello che conservo è qui,

chiuso in un luogo dal buio antico.

Ma vorrei sapere se il mare ti mantiene.

O se hai visto un approdo, la curva di

una spiaggia, la calma di un incontro.

Ignoro le tue rotte. Mi sei nato come

per caso, non richiesto quasi, benché

amato. Ma sei sorto. E adesso, chi

lo sa, forse sei solo stato morto.

 

14 chilometri

 

Spingo lo sguardo, gli occhi affondo

in un chiasso d’azzurro, sopra e sotto:

mi tramortisco. Allungo la mano: le dita

toccano la terra, ne carezzano i profili,

ne palpano la polpa. Solo un braccio

di mare – 14 chilometri – è lontano

l’approdo, il termine ultimo del mio

continuo errare. Errare come vagare,

non come sbagliare. Perché lo sbaglio

non esiste: quello che si cerca è solo

l’ombra d’un giorno che non sia più triste.

 

Sommozzatori

 

Si scandaglia il fondo – il relitto della barca

scivolata lungo l’acqua si esclude alla vista.

Nelle maschere, le lacrime – piene di acqua

che sa di sale – l’ossigeno per respirare –

le stanze vuote da liberare, tra i corpi

districarsi e i corpi recuperare: la pace

spetta anche a loro burattini oramai

schiantati occhi silenziosi orecchie

assordate labbra spalancate ma la voce

ormai è asciutta. Facciamo corde, solleviamo

uomini e donne verso una luce che più

né illumina né scalda. Si schiude il blu

dell’acqua, si gemma un azzurro cielo.

Tra di loro una donna incinta – chiusa

a sé stessa, a proteggersi la pancia. La

solleviamo, la tiriamo su – forse l’acqua,

la pressione della risalita: il suo corpo

secco si schiude, il bambino esce – si

guadagna il suo spazio: e col cordone

rimane alla madre unito, allacciato.

Neanche in morte si sono separate

– due vite rinnegate, affogate nel mare.

3 ottobre 2013

 

Vent’anni

                                                                   A Nabruka Mimuni

 

Da vent’anni parlava italiano. Con

accento romano. Giovane in Tunisia,

adulta in un’Italia che mai l’aveva

accolta. Un marito, un figlio. Un

lavoro normale. Precaria di documenti

quando anno dopo anno rinnovi tutto

– a volte persino il nome altre volte la

faccia che cambia colore. Vent’anni in

Italia, oramai la mia terra scordata – in

coda in questura per l’ennesimo rinnovo

mi hanno presa – sbattuta – sbatacchiata –

e non mi hanno mai perdonata. In un

CIE – orrendo acronimo, senza vergogna

né pudore – lasciata con un foglio che

mi condannava. A un ritorno, ma dove?

La mia terra l’avevo ormai trovata.

Non posso scordare ogni dettaglio –

ogni ansia dell’ultimo giorno, quel sei

maggio troppo vicino, per cui è troppo

inesorabile l’atterraggio. Ma io non

so dove andare, né chi ritrovare. E allora

c’è una sola cosa da fare. Domani ti

troveranno, Nabruka, appesa in bagno.

Domani ti deporranno, Nabruka, forse ti

seppelliranno in terra d’occidente, tu che

sei colpevole di niente.

7 maggio 2009

 

Herto Bouri

 

Mi sollevo sui piedi, sulla terra

saldi a stento. Ma anche tu adesso

vieni, seguimi nella follia. Vieni con

me, da qui andiamo via, un passo

dietro l’altro, perso nella polvere,

in uno spazio immenso, così vasto.

Tianyuan, Anchorage, Monte Verde:

che luoghi sono? Per quali strade?

Non conosco rotta – non so il cammino.

Ma la strada è aperta, non c’è

un trattino che mi impedisca

di passare, di non dover oltrepassare

ciascun fiume, ciascuna terra

ancora tutta tersa, da battezzare.

 

Herto Bouri, in Etiopia, nella Great Rift Valley, è considerato il «chilometro zero» dell’umanità. In questo sito sono stati trovati i resti umani fossili più antichi del mondo dell’Homo sapiens idaltu, estinto 160.000 anni fa. Da qui si ritiene che i nostri antenati siano partiti alla conquista del resto del mondo, fino alla punta estrema della Terra del Fuoco, in America Latina.

 

Bracconaggio 

 

Più lontano, ancora un po’ di più.

Riprende il viaggio, avanti e indietro,

dalle sabbie del Sahara alle paludi

d’Europa, su coste farinose o rocce

selvagge, passiamo col tempo che

tramuta. Stagione su stagione, fucili

ci attendono a ogni migrazione.

Taglione, rami adesivi, pallottole e

richiami per la prole. Ogni giorno

è un rischio enorme, una scelta

d’istinto, un’attesa che scontorna

questa naturale impresa. Perché

dobbiamo, non ci concediamo alla

resa. Altri sentieri non conosciamo,

né altre rotte né altre impronte

da seguire: quelle sono da sempre

nostre e vostre. Noi cantiamo, con

tanto e tanto spazio avanti. Ci

riconoscono da questa: anche noi

siamo uccelli migranti.

Ogni anni, circa tre miliardi di uccelli, soprattutto «canterini», migrano per andare a riprodursi in Eurasia, tornando poi a svernare sul continente africano. Milioni di questi uccelli sono uccisi, da Cipro all’Egitto, all’Italia, all’Albania. La loro caccia è illegale. Molte specie si stanno estinguendo inesorabilmente.

 

Volantino: se cerchi l’America! 

 

Non potrà esser male, non potrà

esser feroce! Il volantino lo grida

a caratteri squillanti, colorati: ci

sono i tropici, ma non c’è il caldo.

C’è il mare, ma senza tempesta, C’è

la montagna, ma senza crepacci. Ci

sono le vite, ma non c’è certezza.

Ci sono campane che come altrove

anche qua suonano a distesa…Ché

prima di arrivare si muore in ordine

alfabetico, se ne muore in mezzo

all’acqua tutto il sogno di un’impresa.

Per attrarre gli italiani verso i paesi soprattutto del Centro e del Sud America, i procacciatori di emigranti realizzarono dei veri e propri volantini nei quali erano decantate le illusorie bellezze e gli inesistenti benefici di quelle terre. Molti italiani partirono (e pagarono) credendo a queste menzogne, per poi accorgersi troppo tardi dell’imbroglio.

 

da Giulio Gasperini, Migrando, END edizioni, 2014, selezione di Lucia Cupertino.

 

 

gasperini

Giulio Gasperini. Laureatosi nel 2010 in Italianistica, oggi è redattore del settimanale on-line di libri e editoria Chronicalibri.it. Attivo nel comitato della Dante di Grosseto. Autore di poesie, ha pubblicato tre sillogi: Dedicate, Schegge di mandala (2006) e Patologia (2010) prima della sua più reccente Migrando (2014). Ha da sempre la passione dei viaggi, che lo ha portato in varie zone del globo, dalla Bolivia al Kenya, ma è profondamente affezionato alla sua terra natia e al suo paesino, Caldana, nella Maremma toscana. Attualmente vive ad Aosta, dove lavora nel sociale e nell’immigrazione.

Foto in evidenza di Melina Piccolo.

Foto dell’autore a cura di Giulio Gasperini.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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