La stanza chiusa
Ti cercherei ma so che non ci sei,
fuggito altrove, via dalle tue stanze
adesso vuote, come sposa che in
silenzio fruscia via con tutta la sua
dote. Vorrei almeno un velo di terra,
un soffio di polvere, che copra il
tuo volto, il tuo corpo da dissolvere.
Vorrei almeno un luogo dove ancora
conoscerti, dove tatuare il tuo nome,
la tua data, la tua età immortale.
Perché qua ho chiuso tutto, di te. Ho
serrato la porta, sbarrato la finestra.
Tutto quello che conservo è qui,
chiuso in un luogo dal buio antico.
Ma vorrei sapere se il mare ti mantiene.
O se hai visto un approdo, la curva di
una spiaggia, la calma di un incontro.
Ignoro le tue rotte. Mi sei nato come
per caso, non richiesto quasi, benché
amato. Ma sei sorto. E adesso, chi
lo sa, forse sei solo stato morto.
14 chilometri
Spingo lo sguardo, gli occhi affondo
in un chiasso d’azzurro, sopra e sotto:
mi tramortisco. Allungo la mano: le dita
toccano la terra, ne carezzano i profili,
ne palpano la polpa. Solo un braccio
di mare – 14 chilometri – è lontano
l’approdo, il termine ultimo del mio
continuo errare. Errare come vagare,
non come sbagliare. Perché lo sbaglio
non esiste: quello che si cerca è solo
l’ombra d’un giorno che non sia più triste.
Sommozzatori
Si scandaglia il fondo – il relitto della barca
scivolata lungo l’acqua si esclude alla vista.
Nelle maschere, le lacrime – piene di acqua
che sa di sale – l’ossigeno per respirare –
le stanze vuote da liberare, tra i corpi
districarsi e i corpi recuperare: la pace
spetta anche a loro burattini oramai
schiantati occhi silenziosi orecchie
assordate labbra spalancate ma la voce
ormai è asciutta. Facciamo corde, solleviamo
uomini e donne verso una luce che più
né illumina né scalda. Si schiude il blu
dell’acqua, si gemma un azzurro cielo.
Tra di loro una donna incinta – chiusa
a sé stessa, a proteggersi la pancia. La
solleviamo, la tiriamo su – forse l’acqua,
la pressione della risalita: il suo corpo
secco si schiude, il bambino esce – si
guadagna il suo spazio: e col cordone
rimane alla madre unito, allacciato.
Neanche in morte si sono separate
– due vite rinnegate, affogate nel mare.
3 ottobre 2013
Vent’anni
A Nabruka Mimuni
Da vent’anni parlava italiano. Con
accento romano. Giovane in Tunisia,
adulta in un’Italia che mai l’aveva
accolta. Un marito, un figlio. Un
lavoro normale. Precaria di documenti
quando anno dopo anno rinnovi tutto
– a volte persino il nome altre volte la
faccia che cambia colore. Vent’anni in
Italia, oramai la mia terra scordata – in
coda in questura per l’ennesimo rinnovo
mi hanno presa – sbattuta – sbatacchiata –
e non mi hanno mai perdonata. In un
CIE – orrendo acronimo, senza vergogna
né pudore – lasciata con un foglio che
mi condannava. A un ritorno, ma dove?
La mia terra l’avevo ormai trovata.
Non posso scordare ogni dettaglio –
ogni ansia dell’ultimo giorno, quel sei
maggio troppo vicino, per cui è troppo
inesorabile l’atterraggio. Ma io non
so dove andare, né chi ritrovare. E allora
c’è una sola cosa da fare. Domani ti
troveranno, Nabruka, appesa in bagno.
Domani ti deporranno, Nabruka, forse ti
seppelliranno in terra d’occidente, tu che
sei colpevole di niente.
7 maggio 2009
Herto Bouri
Mi sollevo sui piedi, sulla terra
saldi a stento. Ma anche tu adesso
vieni, seguimi nella follia. Vieni con
me, da qui andiamo via, un passo
dietro l’altro, perso nella polvere,
in uno spazio immenso, così vasto.
Tianyuan, Anchorage, Monte Verde:
che luoghi sono? Per quali strade?
Non conosco rotta – non so il cammino.
Ma la strada è aperta, non c’è
un trattino che mi impedisca
di passare, di non dover oltrepassare
ciascun fiume, ciascuna terra
ancora tutta tersa, da battezzare.
Herto Bouri, in Etiopia, nella Great Rift Valley, è considerato il «chilometro zero» dell’umanità. In questo sito sono stati trovati i resti umani fossili più antichi del mondo dell’Homo sapiens idaltu, estinto 160.000 anni fa. Da qui si ritiene che i nostri antenati siano partiti alla conquista del resto del mondo, fino alla punta estrema della Terra del Fuoco, in America Latina.
Bracconaggio
Più lontano, ancora un po’ di più.
Riprende il viaggio, avanti e indietro,
dalle sabbie del Sahara alle paludi
d’Europa, su coste farinose o rocce
selvagge, passiamo col tempo che
tramuta. Stagione su stagione, fucili
ci attendono a ogni migrazione.
Taglione, rami adesivi, pallottole e
richiami per la prole. Ogni giorno
è un rischio enorme, una scelta
d’istinto, un’attesa che scontorna
questa naturale impresa. Perché
dobbiamo, non ci concediamo alla
resa. Altri sentieri non conosciamo,
né altre rotte né altre impronte
da seguire: quelle sono da sempre
nostre e vostre. Noi cantiamo, con
tanto e tanto spazio avanti. Ci
riconoscono da questa: anche noi
siamo uccelli migranti.
Ogni anni, circa tre miliardi di uccelli, soprattutto «canterini», migrano per andare a riprodursi in Eurasia, tornando poi a svernare sul continente africano. Milioni di questi uccelli sono uccisi, da Cipro all’Egitto, all’Italia, all’Albania. La loro caccia è illegale. Molte specie si stanno estinguendo inesorabilmente.
Volantino: se cerchi l’America!
Non potrà esser male, non potrà
esser feroce! Il volantino lo grida
a caratteri squillanti, colorati: ci
sono i tropici, ma non c’è il caldo.
C’è il mare, ma senza tempesta, C’è
la montagna, ma senza crepacci. Ci
sono le vite, ma non c’è certezza.
Ci sono campane che come altrove
anche qua suonano a distesa…Ché
prima di arrivare si muore in ordine
alfabetico, se ne muore in mezzo
all’acqua tutto il sogno di un’impresa.
Per attrarre gli italiani verso i paesi soprattutto del Centro e del Sud America, i procacciatori di emigranti realizzarono dei veri e propri volantini nei quali erano decantate le illusorie bellezze e gli inesistenti benefici di quelle terre. Molti italiani partirono (e pagarono) credendo a queste menzogne, per poi accorgersi troppo tardi dell’imbroglio.
da Giulio Gasperini, Migrando, END edizioni, 2014, selezione di Lucia Cupertino.
Giulio Gasperini. Laureatosi nel 2010 in Italianistica, oggi è redattore del settimanale on-line di libri e editoria Chronicalibri.it. Attivo nel comitato della Dante di Grosseto. Autore di poesie, ha pubblicato tre sillogi: Dedicate, Schegge di mandala (2006) e Patologia (2010) prima della sua più reccente Migrando (2014). Ha da sempre la passione dei viaggi, che lo ha portato in varie zone del globo, dalla Bolivia al Kenya, ma è profondamente affezionato alla sua terra natia e al suo paesino, Caldana, nella Maremma toscana. Attualmente vive ad Aosta, dove lavora nel sociale e nell’immigrazione.
Foto in evidenza di Melina Piccolo.
Foto dell’autore a cura di Giulio Gasperini.