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L’altra metà di Vasco

di Giacomo Palombino

Nessuno è stupito del fatto che l’album primo in classifica di questo mese, la “new entry” che di nuovo non ha assolutamente nulla, porti la firma di Vasco Rossi. D’altra parte, quando il rocker annunciò il suo ritiro, specificò anche di non voler porre fine alla sua carriera: è stata solo una rassegnazione all’età che avanza e si porta via quella carica esplosiva che ti ha fatto cantare per anni con l’accompagnamento di chitarre assordanti.
“L’altra metà del cielo”, titolo del progetto intrapreso dal Blasco con Martha Clarke per “La Scala” di Milano, ha subito fatto notizia. Bisogna ammetterlo: vedere il nome del rocker emiliano accanto a quello di uno dei luoghi simbolo della cultura teatrale e musicale italiana, fa un certo effetto. Il programma ideato riguarda la reinterpretazione di alcuni brani celebri del cantante, estratti da album appartenenti a periodi differenti della sua carriera, ispirati alla bellezza dell’universo femminile: non assoli assordanti e batterie coinvolgenti, ma è una grande orchestra ad accompagnare questa volta Vasco.
Progetto insomma interessante, ma nulla di sorprendente. Nulla di nuovo, perché non è la prima volta che si tentano reinterpretazioni di questo genere e non sarà neanche l’ultima. Prima di lui lo ha già fatto il suo collega, talvolta rivale, Luciano Ligabue, con il suo “Sette notti in Arena”; e prima di lui lo hanno fatto tante altre band e artisti internazionali come Deep Purple e Metallica, esempi forse ancora più interessanti in quanto in questi casi, a farsi accompagnare da archi e clarinetti, sono band musicalmente molto più spinte. A questi si aggiungono i Blind Guardian, con un progetto per ora solo annunciato (anche se da diverso tempo ormai). In più, le scelte dei brani non sono così “improbabili”: tutte le canzoni, infatti, appartengono al Vasco più pacato, a quello più dolce, al Vasco che alla fine del concerto, per augurarti la buonanotte, ti canta “Albachiara” o “Gabri”. Non per sminuire il tutto, ma la rilettura orchestrale viene quasi da sè, non sconvolgendo praticamente nulla dell’originaria struttura dei brani. È anche vero, d’altra parte, che le scelte sono state in qualche modo obbligate dal tema dell’esibizione e di conseguenza le possibilità non erano così numerose.
Allora? Lo compriamo il cd o non ne vale la pena? Dalle considerazioni appena fatte si capisce che non vi è grande entusiasmo da parte di chi scrive: il progetto è bello, affascinante, ma il Vasco che piace, quello che i fan vogliono ascoltare, è il tipo con il solito cappello verde che si presenta su enormi palchi in stadi pieni di gente.
Vasco Rossi deve essere sostenuto perché è e continuerà ad essere storia della musica italiana. Purché però non sostituisca le sue giacche di pelle con lunghi e seriosi frac.