Grasso è bello?

Valeria Palumbo

Da sinistra a destra in senso orario: Ashley Graham, Paloma Elsesser, Precious Lee e Nadia Aboulhosn Da sinistra a destra in senso orario: Ashley Graham, Paloma Elsesser, Precious Lee e Nadia Aboulhosn

Ci piace «grasso»? Dipende. La prendo da lontano. Già l’aggettivo, «curvy», usato anche in Italia, dà l’idea della difficoltà che ha avuto il mondo della moda ad accettare le modelle grasse (eviterei giri di parole proprio per rispetto al tema e alle persone). Certo non per ragioni salutistiche: l’obesità, che è una nozione scientifica e si calcola, è stata classificata dall’Organizzazione mondiale della sanità come uno dei maggiori problemi di salute al mondo. Soprattutto perché chi è sovrappeso, in genere, più ancora che mangiare troppo, mangia male e ha uno stile di vita poco salutare. Ovvero, in molte parti del mondo, è povero. Ma, all’opposto, i disturbi alimentari legati al culto delle modelle scheletriche hanno fatto molti danni. E le case di moda, per non parlare delle testate giornalistiche, non si sono mai fatte troppi scrupoli. Va magra? E la mettiamo in passerella o in pagina magra, anzi magrissima. Va grassa? E grassa sia. Come se, appunto, non di persone si trattasse, ma di format estetici universali.

Universali? In realtà, dettati dal mercato: finché il modello commerciabile, anche se non per libera scelta (che non è esistita nella storia, neanche nella moda), era legato a figure femminili giovani, bianche e magre, le modelle sono state così. Le nuove protagoniste over-size e di colore di passerelle e copertine, come, fra le altre, Ashley Graham, Precious Lee e Paloma Elsesser, riflettono i nuovi mercati. A guardare bene, riprendono anche un modello femminile che, nella storia, è stato in genere il più apprezzato: dalle Veneri preistoriche alle dee obese di Pieter Paul Rubens (per inciso, da non perdere una mostra di suoi ritratti al Palazzo ducale di Genova dal 6 ottobre al 22 gennaio), le donne nell’arte sono state sovrappeso.

Segno di una «sensualità» basata sull’abbondanza. Ma soprattutto, segno che a stabilire come debbano essere le donne è lo sguardo altrui. Maschile, ed è questo il paradosso, anche se serve a vendere abiti a loro. E anche se, a coltivare questo sguardo, sono agguerrite «padrone» del fashion system, da Anna Wintour a Donatella Versace. Benché, quest’ultima, si sia ora convertita alla «body positivity», alla accettazione del corpo quale che sia.

Qualcosa, dunque, non torna. L’impressione è che questa svolta cultural-estetica tollerante segua il mercato più che precederlo. Lo conferma un tema sollevato, con grande intelligenza, dal periodico tedesco Die Zeit, nell’articolo Kurvenkönig, «Il re curvy». Ovvero: perché non esistono modelli maschi curvy e perché i modelli continuano a rispondere a due ideali di maschio, l’efebo allampanato che strizza l’occhio al mercato omosessuale, e il virilone tutto muscoli, che strizza l’occhio a tutti? Non è che dietro si nasconda la difficoltà di rimodellare il concetto di maschio? E non è che questa difficoltà derivi dal fatto che le modelle (come pure le attrici, le influencer e le protagoniste della tv) esprimano ancora, in gran parte, una visione di ciò che deve piacere agli uomini e non alle donne stesse (etero, omosessuali o qualsiasi altra inclinazione abbiano)? Viceversa, la riflessione su come debba cambiare l’immagine del maschio dipende ancora solo dagli uomini?

Certo, oltre un secolo di battaglie femministe ha modificato, e radicalmente, l’idea che le donne hanno di sé, almeno in Occidente, e del controllo che hanno diritto di esercitare su sé stesse. Ma resta che lo sguardo introiettato è ancora in gran parte maschile. Che anche le donne si guardano e si giudicano con occhi di maschio, e con quello sguardo continuano a guardare il mondo, ancora in difficoltà davanti all’idea di poterlo interpretare e leggere, e quindi dominare, a modo loro. Gli uomini, no: sanno come vogliono le donne, grasse, magre, alte, basse, bionde, brune, a seconda dei tempi e dei luoghi, ma soprattutto a disposizione. E sanno come vorrebbero essere loro, e quasi mai sono: come i bronzi di Riace o come Antinoo, l’ombroso ma bellissimo amante dell’imperatore romano Adriano.

Quando mai si sono immaginati grassi e flaccidi, se non per testimoniare il raggiungimento di posizioni di potere di cui l’eccesso di peso diventa il sigillo e non, come a scuola, un marchio infame? Basta guardare la sconsolante fotografia che proprio la newsletter del Corriere, America-Cina, del 16 settembre ha pubblicato e che ritrae gli 11 presidenti delle nazioni presenti alla conferenza di Samarcanda Shanghai cooperation organization e poi alla conclusiva cena di gala. A parte che è stata rilevata la mancanza del leader cinese Xi Jinping, ma non quella di presidenti donne, è evidente che il potere, in Asia, ancora si sposa con un’immagine maschile alla Gengis Khan. Ma soprattutto con l’idea che gli uomini guardano, giudicano e scelgono.

Certo: Vladimir Putin, finché ha potuto, ha coltivato l’immagine del maschio virile che caccia l’orso e va a cavallo a torso nudo. Ovvero che cerca di piacere anche per il proprio fisico. E il suo aspetto levigato, a quasi 70 anni, rivela una certa «ansia da prestazione estetica». Ma è proprio questa sua ansia a rivelare che gli uomini si vedono come non sono, ovvero come guerrieri invincibili, dalla tartaruga addominale scolpita come Greg Paltrinieri e l’altezza alla Charles de Gaulle (1,96 m). Anche se portano la XXXL issata su poco più di un metro e mezzo. Per questo, rivedersi nei modelli grassi crea loro tanta ripulsa: perché in gran parte vivono in corpi che loro stessi e gli altri uomini non giudicano belli. La ripulsa si genera, evidentemente, anche nelle donne. Ma, fino a poco tempo fa, era considerata irrilevante.

Anche perché il modello culturale dominante in quasi tutte le culture stabiliva che la bellezza (quale che fosse il canone estetico) fosse il valore più importante di una donna, in quanto soggetto passivo. Mentre la ricchezza e il potere lo fossero degli uomini, in quanto padroni. Eppure, scherza Die Zeit, a Berlino esiste un Bud Spencer Museum e i suoi 150 chili dovrebbero aiutare molti a identificarsi. Invece neanche Karl Lagerfeld accettò la sua obesità e, negli anni Novanta, si impose una dieta feroce. E d’altra parte, racconta Die Zeit, ben il 61% dei maschi tedeschi risulta sovrappeso. E questo, evidentemente, pesa loro, visto che ricorrono con frequenza crescente alla chirurgia estetica e soffrono sempre più di disturbi alimentari. Le donne sanno quale schiavitù sia dipendere da uno sguardo. E, così com’è inutile negare che i modelli decisamente grassi che Die Zeit ha scelto per illustrare l’articolo sono attrattivi per pochi, non è però ozioso chiedersi: a che punto è la riflessione sulla virilità? E quanto l’aspetto estetico conta in questa riflessione? Il fatto che, per la prima volta nella storia, le donne possano dire la loro, forse, rappresenta l’occasione, ancora una volta, per ribadire che la pluralità di visioni e modelli culturali ci rende più ricchi. E un po’ più belli. Tutti.

Questo articolo è tratto dalla newsletter “Il Punto - Rassegna stampa” del Corriere della Sera. Per riceverla potete iscrivervi qui.

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