Libera Nos, il trionfo sul Male. Docufilm

“Libera Nos. Il trionfo sul male” prodotto dalla Sine Sole Cinema. Si tratta di un documentario film e porta il patrocinio della Associazione Internazionale Esorcisti. I contenuti, lontano da scoop o effetti cinematografici, descrive in modo fedele al Magistero e prassi della Chiesa Cattolica, il sacramentale dell’esorcismo nella sua realtà luminosa di consolazione e liberazione della tenebre del Male. Nel 2012 fu proprio don Amorth ad essere il primo intervistato di “Libera Nos”, la cui preparazione ha richiesto molti anni. A inspirare la giovane coppia di registi è stato il loro coinvolgimento diretto nel ruolo di ausiliari: attraverso questa ed altre esperienze, hanno così potuto conoscere approfonditamente la realtà del delicato ministero dei sacerdoti esorcisti e della verità dell’esorcismo. Il film intreccia le interviste ad esorcisti, teologi e medici con anni di esperienza alle spalle, con scene di fiction in cui viene rappresentato il rito dell’esorcismo, girato in modo fedele alla prassi della Chiesa Cattolica e alla verità del sacramentale. L’opera non punta sugli “effetti speciali” ma, attraverso una visione coinvolgente, mira a far conoscere e comprendere allo spettatore il ministero dell’esorcistato rispondendo alle domande che questo argomento può suscitare. A partire dal mese di ottobre, la pellicola sarà disponibile in molte sale cinematografiche di tutta Italia. Sul sito della casa di produzione è possibile vedere l’anteprima, le date e le sale cinematografiche e poter richiedere la visione nella propria città.

https://www.sinesolecinema.com/portfolio-item/libera-nos/

 

Midnight mass: serie horror tv o messa nera?

Midnight mass: serie horror tv o messa nera?

di Alberto Castaldini

giornalista e docente nella Facoltà di Teologia Greco-Cattolica dell’Università di Cluj (Romania)

 

Mentre stavo scrivendo questa analisi della miniserie TV statunitense Midnight Mass, diffusa da settembre sulla piattaforma Netflix, ho letto una breve recensione di Aldo Grasso, critico televisivo del “Corriere della Sera” e docente all’Università Cattolica. La recensione è apparsa su un inserto del Corriere il 7 novembre scorso.

Ne riporto alcuni passi: “In sette episodi di un’ora circa, ciascuno con un titolo che rimanda alla Bibbia e ai Vangeli, la serie affronta temi come l’accettazione o il rifiuto, entrambi faticosi, della fede, i suoi limiti e le sue strumentalizzazioni; Midnight Mass punta a sgretolare certezze, a scorticare il senso di colpa, tipico dell’educazione cattolica, ma anche a restituire il mistero attraverso canzoni di chiesa che popolano le scene come una colonna sonora. […] In fondo, è sulla paura della morte che il regista Flanagan insiste, uno dei rimossi della nostra contemporaneità, qui portato violentemente al centro del racconto”. E così Grasso conclude: “Per chi ama lasciarsi sedurre dal dubbio attraverso l’espediente esorcizzante dell’orrore”.

Personalmente, avendo visto con attenzione, e non senza difficoltà, l’intera serie TV che non temo di definire in alcuni dei suoi passaggi un abominio, non riesco davvero a comprendere le impressioni e le parole di Grasso, se non alcuni verbi da lui utilizzati, come “sgretolare, scorticare”… sì, certo, ma la fede cristiana e la Rivelazione. Sulla funzione “esorcizzante” dell’orrore, da lui evocata, legata alla seduzione del dubbio nello spettatore, mi soffermerò alla fine del mio intervento.

La miniserie è stata creata a diretta da Mike Flanagan, regista horror anche di Ouija – L’origine del male (2016) e si basa sul romanzo omonimo di F. Paul Wilson, scrittore americano esperto nei generi horror e fantascientifico. La trama di Midnight Mass si inserisce appieno nella sua produzione narrativa. Un film con lo stesso titolo uscì nel 2003, ma i contenuti erano diversi, con minime analogie.

Questa la trama. Il giovane Riley Flynn dopo aver vissuto sul continente, dove ha ucciso una ragazza per aver guidato in stato di ebbrezza, finendo poi in carcere, torna nella natia Crockett Island, una piccola isola su cui vivono solo 127 persone, lontana dalla civiltà e immersa in un contesto socialmente e spiritualmente deprimente. L’economia principale dell’isola è la pesca, non più florida, e un traghetto garantisce gli unici contatti con la costa. La chiesa di rito cattolico è officiata da un vecchio sacerdote, mons. Pruitt, che si è recato in pellegrinaggio in Terra Santa. Mentre Riley, tormentato dal rimorso, cerca di riannodare in famiglia i fili della sua esistenza fallimentare, arriva inatteso sull’isola un sacerdote quarantenne, padre Paul, che afferma di essere il sostituto temporaneo del parroco ammalatosi dopo il viaggio a Gerusalemme. La novità di questo arrivo non solo spezza la monotonia della comunità, ma suscita un sorprendente e insperato fervore religioso che coinvolge persino Riley, divenuto ateo e in terapia per l’alcolismo.

Durante una celebrazione si verifica un primo miracolo: una ragazzina, Leeza, recupera l’uso delle gambe su invocazione del celebrante e si alza davanti ai presenti. Di fronte all’evento la frequenza religiosa aumenta, così come la pratica sacramentale, e la chiesa si riempie di fedeli. A fianco del prete ritenuto carismatico c’è una zelante collaboratrice, Bev, donna nubile, scontrosa e intransigente che richiama nei modi e nello stile i membri di certe sette. Altre figure rilevanti della comunità sono il medico, la dottoressa Gunning (la cui madre, affetta da Alzheimer, guarisce ringiovanendo progressivamente), l’insegnante Erin Greene (affettivamente legata a Riley, alla quale “scomparirà” una gravidanza) e lo sceriffo musulmano Hassan (unico non cristiano sull’isola, uomo d’ordine abbastanza inviso): questi tre personaggi avranno alla fine un ruolo positivo, in quanto razionale, giacché è la religione il principale obiettivo critico della serie. Nel frattempo, dopo una strana moria di gatti, fa la sua comparsa nell’isola un’oscura presenza notturna. Naturalmente ciò non fa che aumentare il clima di attesa (e di congeniata suspense) verso un colpo di scena che lo spettatore più attento inizia a scorgere nell’ambigua figura pseudo-messianica di padre Paul (il nome non è per nulla casuale). Gli episodi sono infatti scanditi sul crescente disvelamento/rivelazione di un “mistero”, tanto che ciascuno di essi ha per titolo un libro o una parte della Bibbia, più o meno coerenti con la trama rispettiva: Genesi, Salmi, Proverbi, Lamentazioni, Vangelo, Atti degli Apostoli, Apocalisse. Gli episodi, peraltro, sono significativamente sette.

Per farla breve padre Paul altri non è che l’anziano vecchio parroco, rigenerato (non solo ringiovanito) dopo un incontro straordinario avuto in una grotta nei pressi di Gerusalemme, in cui si era rifugiato nel corso di una tempesta di sabbia, e dove conosce quello che lui definisce un “angelo” che gli restituisce vita e salute facendogli bere il proprio sangue (il copione, si noti bene, prevede in quella scena parole evocanti la formula della consacrazione nel Messale). L’“angelo” che ha un aspetto repellente, in tutto e per tutto demoniaco, segue il prete sull’isola, e, dopo un crescendo di ritualità blasfeme, si manifesterà alla comunità rivestito dei paramenti sacerdotali durante la veglia di Pasqua.

Egli viene descritto dalla critica come un vampiro (ma la parola non viene mai usata nel film). Il regista ha infatti spiegato che la “creatura” rappresenta il fanatismo e il fondamentalismo. Eppure vampirizza i fedeli donando loro immortalità e causando sete di sangue. Prima però è necessario che essi muoiano dopo aver ingerito del veleno per topi preparato per la Pasqua dalla collaboratrice del parroco, sua fedele seguace e nemica del dubbio, per poi rinascere (o risorgere come il prete nella grotta: richiamo al Santo Sepolcro) grazie al sangue dell’“angelo”, ritenuto salvifico e somministrato in precedenza nel calice dell’altare, mescolato al vino della messa. Solo poche persone – tra cui la dottoressa, l’insegnante e lo sceriffo – avranno il coraggio di opporsi, scatenando l’ira della comunità ormai guidata dall’invasata “perpetua” convinta dell’imminente seconda venuta di Cristo. Dopo un vortice di sanguinario parossismo, tutti gli abitanti dell’isola periranno all’alba (in quanto “vampirizzati” vengono bruciati dalla luce solare) tranne due adolescenti preservati e fuggiti con una barca: Warren, il fratello di Riley (morto in precedenza per libera scelta) e la giovane Leeza che tornerà ad essere inferma. Il demone/vampiro, lacerato nelle ali dall’insegnante Erin, che prima di morire eleva una sorta di lode panteistica, non riesce (forse) a sottrarsi in volo all’arrivo del giorno. Tutto si conclude con un grande incendio sulle note del celebre inno “Nearer, My God, to Thee”.

Lo sfondo anti-religioso e occultistico della serie è palese tanto che alcuni siti di critica cinematografica sottolineano compiaciuti come Midnight Mass metta in evidenza l’orrore (e implicitamente l’errore) della religione (cattolica). Evidente poi l’intento di indicare nel sacerdote un nemico dell’umanità e per nulla un esempio (per inciso: il prete protagonista si scoprirà essere il padre naturale della dottoressa e per amore di sua madre vecchia e malata aveva portato con sé l’“angelo” sull’isola). Le scene sono scioccanti non solo per le immagini crude e violente ma per il carico di blasfemia che colpisce e confonde, affermando la forza dissacrante e – si badi bene – rigenerante del maligno su di un anziano sacerdote e, per esso, sulle anime a lui affidate. La scena che si svolge nella caverna, che evoca non solo il sepolcro di Cristo ma l’annunciazione (giacché il demone è, nonostante il suo orribile aspetto, inteso dal vecchio prete come un angelo che dapprima lo intimorisce ma poi effonde il suo sangue ringiovanendolo) è tanto disgustosa quanto pericolosa per l’impatto visivo e anti-sacramentale. Persino un topolino, in una scena, viene utilizzato in chiave anagogica per spiegare il mistero della Risurrezione e l’inganno a fin di bene. Ma questi sono solo alcuni dei messaggi, nemmeno tanto subliminali, della serie, dove il nucleo horror ispiratore non è certo quello – in apparenza – vampiresco bensì l’esaltazione del male nell’aberrante prospettiva di una redenzione alternativa ottenuta dall’uomo assumendo delle “specie diaboliche”. Insomma, esplicito occultismo televisivo, un rito collettivo che trova il suo vertice di morte nella veglia pasquale: la Midnight Mass che sembra essere una vera e propria messa nera.

Concludendo, per tornare alla funzione “esorcizzante” dell’orrore, richiamata da Aldo Grasso nella sua recensione a Midnight Mass (meritevole – egli scrive – di una “menzione di riguardo”), viene da chiedersi se invece non prevalga, oscura e devastante, quella seduzione del dubbio, da lui parimenti evocata, in una narrazione filmica che non restituisce affatto il mistero, ma lo nega e lo calpesta in modo sacrilego, veicolando un messaggio privo di speranza, rinnegando quella Grazia di cui il sacerdote è tramite e ministro sacramentale, esaltando infine la morte e celebrando soprattutto colui, il diavolo, che per invidia l’ha introdotta nel mondo (Sap 2,24).

Quando il protagonista dello spettacolo è Satana

Quando il protagonista dello spettacolo è Satana

di Valter Cascioli[1]

 

Torna alla ribalta la famigerata compagnia iberica, nota al pubblico col nome, alquanto emblematico, di “Circo degli orrori” (Circo de los Horrores), che quest’anno debutta con un nuovo spettacolo, intitolato Baccanale (Baccanal).

La tournée, iniziata ad agosto 2021, ha interessato due importanti città della Spagna, Alicante e Madrid. Questa volta la compagnia teatrale, volendo evitare i pericolosi flop delle precedenti edizioni, giocherà in casa.

Il Circo degli Orrori, che della tradizione circense ha soltanto il nome, nasce infatti in Spagna nel 2006 sotto l’egida dell’emblematica compagnia denominata “Finché la morte ci separi, SL”, che in quindici anni di attività ha realizzato, pur con alterne vicende, sei spettacoli, dai titoli non poco inquietanti: Psicosi (2009), Manicomio (2012), Inferno (2014), Circo degli Orrori (2015), Cabaret maledetto (2015) e Apocalisse (2018).

Si calcola che più di 3.500.000 spettatori abbiano assistito agli spettacoli nei cinque paesi visitati dalla tournée.

I produttori esecutivi sono Manuel e Rafael Gonzáles Villanueva. L’ideatore, regista ed attore protagonista, è Suso Silva (al secolo, Jesús Cesar Silva Gonzáles), classe 1962. Dalle note biografiche apprendiamo che nel 2003 ha ricevuto in Spagna il Premio nazionale del Circo dal Ministero dell’Educazione, della Cultura e dello Sport.

Ha studiato arti acrobatiche e circensi a Bemposta, in Portogallo. Si è diplomato in mimo e pantomima all’Istituto del Teatro di Barcellona. Inizia la sua carriera artistica come comico ed interprete di pantomime.

Ma veniamo allo spettacolo messo in scena quest’anno dalla compagnia teatrale, nato dalla mente del suo ecclettico ideatore. Il titolo è già tutto un programma: Baccanale.

Al di là del riferimento pseudoculturale all’antichissimo rito orgiastico del culto orfico-dionisiaco, lo spettacolo che viene presentato si preannuncia come un’esperienza immersiva, che va molto al di là di una semplice rappresentazione teatrale. Nell’ammiccante ed altrettanto esplicito sottotitolo, che accompagna la locandina dell’evento, troviamo la risposta: “il più selvaggio cabaret dei sensi”.

Nella pubblicità dello spettacolo scopriamo gli ingredienti che hanno reso il Circo degli Orrori tristemente famoso, fin dalle sue origini: volgarità, esaltazione del macabro e del grottesco, erotismo, lussuria, trasgressione, umorismo acido, atmosfere spettrali e gothic horror, luci ed effetti speciali inquietanti che descrivono ed evocano l’inferno, atteggiamenti beceri, irriverenti e offensivi del pudore, oltreché della fede cristiana (croci rovesciate, attori travestiti da sacerdoti e da monache, votati al male, che invitano gli spettatori a peccare, confessionali dove si consumano atti di libidine, ecc.). Il tutto accompagnato da musica dark rock e creepy.

L’ispirazione, a detta degli stessi produttori, nasce dai classici film horror, dalle opere di Edgar Allan Poe e di Howard Phillips Lovecraft, scrittore e saggista statunitense, dedito all’occultismo ed al satanismo (!).

Non è di certo un caso che in ogni rappresentazione si ritrovino simbologie e ritualità chiaramente sataniche e luciferine, accompagnate da messaggi che hanno lo scopo non soltanto di familiarizzare con mentalità occulte e magiche, ma anche di fare proselitismo, invitando lo spettatore a consegnarsi al principe delle tenebre: “Se vuoi vendere la tua anima, non ti resta che avvicinarti a questa tenda nera, con donne seminude e caproni umani, chiamando Lucifero. Il Circo degli Orrori ti offre questa esclusiva opportunità”.

Andando sul sito dell’evento, ci viene incontro, dulcis in fundo –si fa per dire- la figura di Lucifero, nella persona di Suso Silva, che si accredita al suo pubblico come personificazione del male e, da perfetto cerimoniere, introduce lo spettatore in una fantasmatica bolgia “che vuole ravvivare gli istinti più primitivi dell’essere umano, i suoi desideri più nascosti e dare briglia sciolta ai piaceri carnali”.

Anche nella locandina online che pubblicizza lo spettacolo, il mefistofelico protagonista promette al pubblico una notte di sfrenata lussuria, rivolgendo in modo retorico la domanda: “Sei pronto a peccare di nuovo?” E, in ultimo, sentenzia, come monito: “…la tua anima non sarà al sicuro!”.

Al di là del tenebroso personaggio e delle esigenze dettate dal marketing pubblicitario, sembrerebbe, almeno sulla base di talune sue inquietanti affermazioni rilasciate alla stampa, che si tratti di un caso di soggezione diabolica. Dichiara, infatti, l’attore: “Con Lucifero sono felice, sono felice di offrire vizio e corruzione, sesso, lussuria, gioco d’azzardo. Non mi è difficile interpretarlo, perché io mi sento unito a lui, egli è parte di me stesso” (!).

Il cast di personaggi che salgono insieme a lui sono, sul palcoscenico realizzato a forma di pentacolo, “la figlia di Lucifero”, “lo scriba di Lucifero”, ecc. Ciascuno di loro rappresenta un peccato capitale.

Dunque, eccesso e trasgressione sono la cifra caratteristica di Baccanale, come, del resto, lo sono stati degli altri spettacoli prodotti dal Circo degli Orrori. Tra i quali ricordo, in modo particolare, quello con il quale la compagnia debuttò a Roma nel febbraio 2014 e che ebbi modo di recensire per l’AIE.

Anche quello fu uno spettacolo volgare e dissacrante, dove la ricerca esasperata dell’orrore, attraverso il ricorso a personaggi malefici (vampiro Nosferatu), andava a braccetto con il mostruoso ed il grottesco (il pagliaccio assassino, il matto). Il tutto condito da becere gags cabarettistiche di pessimo gusto, nelle quali, per la ricerca del consenso a tutti i costi, veniva coinvolto anche il pubblico.

Anche nel 2014, in un bailamme di forti suggestioni, la presenza di alcuni numeri circensi (acrobati, contorsionisti, siparietti clownistici) si perdeva in un contesto dove i riferimenti costanti – ed inquietanti, come in un incubo-  erano il macabro (antiche lapidi cimiteriali, anime perse, il guardiano del cimitero degli orrori, la mummia, la sposa morta, ecc.) ed il demoniaco (Beelzebub, creature degli inferi che danzando catturavano gli uomini, il personaggio delle bambine possedute, ecc.) fino ad arrivare a toni decisamente morbosi e sensuali (almeno per alcune performances, che arrivavano quasi allo streap-tease).

Nel 2014, già prima dell’inizio dello spettacolo vero e proprio, peraltro, si veniva circondati da fumi, come nebbia fitta, suoni agghiaccianti, personaggi da brivido, che si aggiravano tra il pubblico, in platea. Tra questi, un folle assassino che correva dietro agli spettatori che entravano in sala, brandendo una sega a nastro, e dei personaggi che gridavano come ossessi.

Tutto lo spettacolo era costantemente avvolto in un’atmosfera tenebrosa fino al gran finale dove, in una sorta di danza macabra, si ritrovavano tutti i personaggi, con in testa il vampiro Nosferatu, che ringraziava e salutava il pubblico.

Aspetti deprecabili dello show del 2014 e di Baccanale, sono a mio avviso, i riferimenti, oltraggiosamente irriverenti verso la religione e la fede. Così, ad esempio, un’inquietante donna, travestita da suora, con il volto da indemoniata, che si mette in ginocchio davanti ai singoli spettatori, imponendogli il crocifisso; comparse travestite da frati, si aggirano, come anime perdute, fuori e dentro il circo; una suora macellaia, ecc.

Al di là del giudizio di valore, si rimane basiti nel sapere che la compagnia teatrale ha ricevuto, dal ministero della Cultura spagnolo, decine di migliaia di euro di sovvenzioni per mettere in scena gli spettacoli del Circo degli Orrori (!).

Dunque, uno spettacolo volgare e dissacrante. In ragione della ricerca esasperata dell’orrido e del tenebroso, attraverso il ricorso a personaggi malefici e demoniaci, con i quali si vuole irretire lo spettatore, facendo leva su aspetti inquietanti ed ansiogeni, sicuramente pericolosi per i giovanissimi e per i soggetti con fragilità psichiche.

A tale riguardo, va tenuto presente che la visione da parte di persone con particolari problemi di personalità o di soggetti psicolabili potrebbe provocare/slatentizzare gravissimi disturbi psichici o, quantomeno, creare uno stato di soggezione psicologica.

Tra i quadri clinici di più frequente riscontro, che giungono all’attenzione di noi specialisti, in soggetti appartenenti alla seconda-terza decade, ci sono i disturbi d’ansia (free floating anxiety), i disturbi del sonno, quelli del tono dell’umore (depressione), ed il DAP (disturbo da attacchi di panico). Non sono, peraltro, da escludere, anche se meno frequenti, quei disturbi psichici indicati come demonopatie, che comunque richiedono un adeguato trattamento psicofarmacologico, oltre che psicoterapico.

Infine, non è affatto da scartare l’ipotesi che talune eclatanti provocazioni, intenzionalmente volute a fini spettacolari, possano nascondere, dietro una parvenza di humor macabro, ben altri intendimenti e/o propensioni di natura preternaturale.

Le possibili conseguenze ipotizzate, possono investire, pertanto, sia l’ambito morale-spirituale, che quello psicofisico.

Anche per questo ritengo opportuno sensibilizzare genitori, educatori, insegnanti e presbiteri, a tutelare i minori e le categorie a rischio sopra menzionate, dato che la visione dello spettacolo è sconsigliata soltanto ai minori di 12 anni.

Minimizzare, comunque, rappresenterebbe un grave errore di valutazione, oltre che un pericolosissimo inganno diabolico, in grado di mietere molte vittime, soprattutto tra i giovani. Ne è una triste riprova il tono celebrativo/trionfalistico col quale leggiamo, sulla pagina Facebook del “Circo de Los Horrores”, il seguente messaggio, datato 15 settembre 2021, che abbiamo qui tradotto dallo spagnolo:

«Oggi ci alziamo con i postumi di una sbornia… Alicante (la città spagnola nella quale è iniziata la famigerata tournée; NdT) è stata fenomenale! Temevamo il debutto ma, 3 settimane dopo, possiamo dire che tutti gli spettacoli sono stati un successone. Grazie a tutti gli insensati (nel senso di “sciocchi/incoscienti”; NdT) che hanno consegnato la loro anima a Lucifero in persona! Siete una figata! Il grande Baccanale è già pronto per far peccare coloro che verranno dopo… (sottinteso, “allo spettacolo”; NdT)».

Non vi è alcun dubbio. Dietro l’ingannevole messa in scena di uno spettacolo teatrale ludico-ricreativo, si cela un’oscura e terribile realtà: l’esaltazione dell’orrido, così come l’invito alla perversione, che trova la sua cifra caratteristica nel peccato capitale della lussuria, potente esca usata dai satanisti per fare adepti, come sanno bene gli esorcisti.

Lo spettacolo ideato e rappresentato dal Circo degli Orrori, oltre ad essere profondamente diseducativo ed oltraggioso della dignità umana e della fede cristiana, rappresenta subdolamente un momento collettivo di iniziazione alla realtà orgiastica del satanismo, ottenuta attraverso una vera e propria suggestione scenica ed una fascinazione psicologica, che coinvolge il pubblico dei presenti in una diabolica full immersion. Ne è un’evidente riprova il personaggio luciferino del protagonista, che esalta, dentro e fuori la scena, ciò che interpreta ed incarna (“…io mi sento unito a lui, egli è parte di me stesso”).

Il tutto trova il suo apice nell’invito a “dare briglia sciolta ai piaceri carnali” e nel patto satanico, tramite il quale viene consegnata, in modo più o meno esplicito, l’anima al diavolo. Lo ripete al pubblico anche il personaggio di Lucifero, il quale si presenta con fattezze massimamente mostruose e raccapriccianti.

Se è vero quanto ebbe ad affermare papa San Paolo VI, durante il Congresso mariologico del 1975 riprendendo, mutatis mutandis, la frase che il grande scrittore e filosofo russo, Fëodor Dostoevskij, fa dire al principe Miškin ne L’idiota, “La bellezza salverà il mondo”, possiamo aggiungere che la bruttezza, di cui satana è il prototipo –stando alla sua antropomorfizzazione presente nell’iconografia sacra- ci allontana drammaticamente non solo dal “bello”, ma anche dal “buono” e dal “vero”, che sono una cosa sola in Dio.

Nell’auspicare una chiara ed altrettanto decisa presa di posizione da parte dell’autorità ecclesiastica ispanica competente per territorio, si mette in guardia il pubblico dai pericoli conseguenti all’attività demoniaca ordinaria e straordinaria, come già ribadito, con sollecitudine pastorale, dai sacerdoti in cura di anime e, in modo precipuo, dai sacerdoti esorcisti.

[1] Medico, Specialista in Psicologia Clinica, Psichiatra e Psicoterapeuta

IL CRISTIANESIMO CONTEMPORANEO A CONFRONTO CON ESOTERISMO, OCCULTISMO E SATANISMO

FRANCESCO BAMONTE

«IL CRISTIANESIMO CONTEMPORANEO A CONFRONTO CON ESOTERISMO, OCCULTISMO E SATANISMO».

EDIZIONI MESSAGGERO, PADOVA 2020, 419 PP., 50 ILL. N.T.

Recensione di Alberto Castaldini

Questo documentato volume di Padre Francesco Bamonte, religioso dei Servi del Cuore Immacolato di Maria, esorcista nella Diocesi di Roma e presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti (AIE) dal 2012, si aggiunge con profitto a una serie di suoi testi in cui la dottrina si fonde e si completa con una lunga esperienza pastorale. Infatti, la sensibilità umana e spirituale che gli deriva dal ministero dell’esorcismo raffina quello che è il discorso demonologico, giacché la conoscenza teologica viene perfezionata da quel discernimento che diventa ogni giorno aiuto e consolazione ai fratelli nella sequela di Gesù, Divino Maestro di ogni esorcista.

Il libro in esame lo possiamo a giusto titolo definire un trattato, giacché della trattatistica possiede l’articolato e serrato impianto, distribuito in ben 22 capitoli a loro volta ripartiti in decine di paragrafi e sottoparagrafi. In tal modo, assieme alla tradizionale lettura progressiva, consigliabile per cogliere lo sviluppo dell’argomentazione nella complessità dei fenomeni esaminati, è parimenti agevolata la lettura e la consultazione delle singole sezioni del volume, allorché l’interesse del lettore si focalizza su tematiche specifiche. Ciò risulta proficuo per una consultazione mirata, essendo il vasto fenomeno dell’esoterismo, colto nel suo passaggio all’occultismo e al satanismo, al centro dell’analisi dell’Autore, il cui intento è offrire a sacerdoti, religiosi e laici conoscenze e criteri che consentano di riconoscere e comprendere quei movimenti e quelle correnti di pensiero il cui “obiettivo finale”, è “la realizzazione di un mondo in cui Dio sia sostituito dall’uomo”. Questo scopo, talora recondito, altre volte esplicito, sembra alimentare un vero e proprio mainstream, cioè un movimento d’opinione sociale e culturale sempre più diffuso e radicato nella società. Padre Francesco Bamonte ci aiuta con questo libro a capirne le cause e a riconoscerne i preoccupanti segnali, da cui non sono immuni molteplici aspetti della nostra vita quotidiana.

Il volume si apre molto significativamente con una serie di testimonianze. In questo modo l’opera, da subito, secondo l’intento espresso dall’Autore nell’introduzione, vuole costituire “un’occasione di attenta riflessione per coloro che, nel mondo dell’esoterismo, sono alla ricerca sincera della Verità”. Questo passaggio iniziale è di grande importanza, giacché spesso quanti si avvicinano al mondo dell’occulto vi sono indotti da necessità interiori o bisogni personali, comprese ricerche di senso ritenute gratificanti dopo esperienze esistenziali deludenti e financo dolorose. Ciò che Padre Bamonte invece auspica è che le persone “possano, con immensa gioia, fare la sorprendente scoperta – accogliendo il Cristo, Figlio di Dio fatto uomo e del cristianesimo, libero da ogni forma di esoterismo – di un percorso nuovo, bellissimo, affascinante e molto più solido, certo e gratificante di quello esoterico; un percorso che non ostacolerà la realizzazione delle loro più nobili e alte aspirazioni, ma al contrario la faciliterà”. Ecco, perciò, in apertura, il racconto dettagliato di una donna incantata dalla “promessa rivoluzionaria” di una setta rivelatasi poi satanica, nella quale aspirava ad autodeterminarsi al punto da sviluppare poteri straordinari della mente da esercitare prima su di sé e poi sugli altri. Un’adesione che le ha comportato pesantissimi fenomeni di vessazione diabolica coinvolgenti l’intera sua famiglia, culminanti in terrorizzanti visioni. Non meno significativa ed emblematica un’altra testimonianza, stavolta relativa alle pratiche spiritiche, ai cui pericoli Padre Bamonte dedicò anni fa un meditato testo (I danni dello spiritismo, 2003), intraprese spesso quasi per celia da persone sprovvedute e desiderose di interrogare entità spirituali, esponendo sé e i propri congiunti a enormi rischi. Nel primo capitolo si segnala anche il racconto di un giovane, cresciuto in una famiglia trascurante. Ciò lo indusse nella delicata fase dell’adolescenza ad avvicinarsi all’esoterismo, aderendo infine a una setta di satanisti che lo espose sul piano sia spirituale che fisico a dipendenze gravissime, rendendolo a sua volta strumento di corruzione morale, anche di sacerdoti.

Le storie di vita che aprono il volume presentano un tratto comune: quello di essere percorsi esistenziali molto differenti ma accomunati da un drammatico esito – l’asservimento all’iniquità – come dalla condivisione di profonde sofferenze che ne fanno testimonianze uniche ed esemplari. In ogni storia i gesti e le scelte non esprimono però solamente un destino individuale, ma descrivono un pericolo reale, incombente per ogni persona che non sia in grado di esercitare un corretto discernimento di fronte a determinati fenomeni. In queste situazioni, quotidiane e diffusissime, il sacerdote esorcista, ma ancor prima il parroco o il direttore spirituale, sono chiamati a offrire un supporto e una consolazione determinanti. La lettura del volume di Padre Bamonte dovrebbe perciò sollecitare gli operatori pastorali e i loro responsabili diocesani a predisporre sul territorio una strategia adeguata per far fronte ai circa 160 mila operatori dell’occulto oggi attivi in Italia, cui – secondo dati recenti –  quotidianamente si rivolgono 30 mila persone di tutte le età.

Il testo di Francesco Bamonte offre soprattutto un quadro aggiornato e documentato su un’articolata panoramica di tematiche sensibili, costituendo per questo un vademecum assai utile per una vasta gamma di operatori nonché per quei lettori interessati ad approfondire la conoscenza di fenomeni religiosi e correnti culturali da una prospettiva autenticamente cristiana. I capitoli affrontano pertanto in un’ottica esaustiva, che coniuga sintesi espositiva e approfondimento mirato, temi di grande interesse come: esoterismo, occultismo, gli imprevedibili sviluppi dell’ermetismo e della gnosi, la teosofia, il crescente revival del neo-paganesimo, la neo-stregoneria, il diffuso fenomeno di ordini cavallereschi di oscura fondazione, la ritualità collettiva di “Halloween” e, non da ultimi, magia e satanismo (con le sue due correnti: occultista e razionalista), nei quali molte delle considerazioni e delle diagnosi dell’Autore si riannodano, trovando una loro cornice eziologica. Mondo complesso quello in cui viviamo, invasivo quanto distorsivo sul piano della comunicazione, dove la globalizzazione di una “società liquida” (con una morale in rapida ‘liquidazione’) favorisce la veicolazione di messaggi esoterici e occulti, sovente subliminali, in ogni ambito: dallo spettacolo alle arti figurative, dalla politica al mondo economico. Ciò che sconcerta è come una certa narrazione, ormai dominante nei media e nell’opinione pubblica, pur professandosi relativista abbia imposto, nel volgere di pochi anni, un sistema dogmatico di principi e valori apertamente contrapposti alla tradizione cristiana. Essa non solo è così uscita allo scoperto, ma si è imposta socialmente e culturalmente tanto da risultare lacerante e divisiva, da un lato inducendo in modo più efficace le anime all’inganno, dall’altro ermarginando chi è saldo sulle proprie convinzioni etiche, stigmatizzandone la posizione e le resistenze.

Il volume di Padre Bamonte ci aiuta a conoscere i fondamenti di questo impianto ideologico, a riconoscerne i segni e i simboli, talvolta mascherati dall’uso di codici comunicativi. In tal senso, il ricco apparato iconografico al centro del libro si rivela non una mera appendice, ma una parte integrante del trattato, diretta a discernere sul piano visivo l’ambiguo insieme di simboli rivelatori di rappresentazioni oscene, blasfeme e occulte, cui non si sottraggono la pubblicità, gli eventi sociali, anche all’interno di cornici ufficiali, trasmissioni televisive o pellicole cinematografiche, festival canori e nemmeno i giocattoli o i fumetti per l’infanzia. Questa campagna di messaggi visivi e sonori, che incide in profondità sull’immaginario, soprattutto dei più giovani, sembra assumere una valenza iniziatica collettiva.

Concludendo, se questo testo apparso nella collana di “Studi dell’Associazione Internazionale Esorcisti” delle Edizioni Messaggero è anzitutto un sussidio per gli operatori pastorali allo scopo di conoscere il fenomeno della magia e comprenderne le sottili, inedite quanto ripetitive strategie, esso è nondimeno raccomandabile a tutti coloro che desiderano maturare una reale consapevolezza di fronte a quelle dottrine e concezioni il cui scopo principale è distogliere l’uomo dall’unica parola di Verità: quella di Cristo Gesù, Salvatore del mondo.

Alberto Castaldini

Facoltà di Teologia Greco-Cattolica dell’Università di Cluj (Romania)

 

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE

Si moltiplicano, nella società odierna, associazioni e gruppi che propongono “iniziazioni”, mirate a introdurre in percorsi esoterici che promettono conoscenze di tradizioni sapienziali antichissime, potenziamento e realizzazione di sé (MPU: Movimenti del Potenziale Umano), contatti con “forze occulte” che collaborerebbero alla creazione di un “nuovo futuro” per l’umanità, elevazione spirituale, poteri eccezionali. Questi ultimi, poi, più che come poteri straordinari vengono presentati come capacità latenti in ogni uomo, che si possono far emergere e sviluppare attraverso determinate tecniche, formule e riti periodicamente rinnovati e simbologie ed emblemi continuamente ripresi.

Al tempo odierno un numero crescente di adolescenti e di giovani è affascinato irresistibilmente non solo dalla conoscenza dell’esoterismo, ma dal voler sperimentare quello che esso insegna: essi rimangono abbacinati soprattutto dalla promessa di una facile acquisizione di tali poteri. Si tratta di promesse molto allettanti, ma che nascondono pericoli incalcolabili. Sin dall’inizio della storia umana, infatti, l’«angelo delle tenebre», nel suo incessante tentativo di fuorviare gli uomini, si camuffa purtroppo da «angelo di luce» e provoca abbondantemente danni morali, spirituali e fisici.

Sempre più insistentemente, inoltre, si insinua l’idea di un esoterismo compatibile con la Fede e con i principi cristiani: un esoterismo cristiano. In merito a ciò il presente volume – dall’inizio alla fine – dimostra in maniera inequivocabile l’assoluta contraddittorietà di tale affermazione.

Davanti a tanta confusione e ai pericoli che l’esoterismo comporta per la vita dei fedeli, ho voluto rispondere alla pressante richiesta giuntami da Sacerdoti, Religiosi e Religiose, operatori pastorali, genitori, catechisti, educatori e formatori cristiani, di offrire un testo nel quale vengano individuate le radici profonde del problema e siano esposti chiari criteri di discernimento, per distinguere i principi della Rivelazione e della Fede cristiana da quelli dell’esoterismo, sottolineando con forza come la mentalità e la pratica dell’esoterismo siano totalmente incompatibili con la Fede e con la vita del cristiano.

L’esoterismo non è né un aiuto, né un potenziamento, né un approfondimento del cristianesimo – come alcuni esoteristi, cosiddetti cristiani, sostengono – al contrario rappresenta una vera e propria paganizzazione e dissoluzione della Fede cristiana.

L’esoterismo non si può nemmeno distinguere in buono e benefico (a servizio del bene) e cattivo e malefico (al servizio del male), come affermano altri. L’esoterismo, come è diffusamente comprovato in questo volume, ha infatti un inscindibile legame con l’occultismo e con la magia, pratiche intrinsecamente cattive e aborrite da Dio nella Sacra Scrittura.

La visione di Dio, dell’uomo e del cosmo dell’esoterismo non è cristiana, in quanto è una mescolanza di dottrine pagane e gnostiche, di concezioni quali il monismo, il deismo, il panteismo, il naturalismo e di pratiche magiche o divinatorie come la magia dell’antico Egitto, l’alchimia, la teurgia, lo spiritismo, l’astrologia, le numerologie cabalistiche, la teosofia, l’antroposofia, il sufismo, la stregoneria, ecc.

Oggi l’esoterismo è notoriamente coltivato, praticato e promosso da notabili, collocati ai “punti alti” della società. Essi, mentre ufficialmente si presentano quali garanti di un sano laicismo, in realtà si richiamano a una filosofia di vita che ha le sue radici nei principi sottesi all’esoterismo, che vengono da loro diffusi capillarmente, in modo tale che entrino a far parte della mentalità, dello stile di vita e dell’agire individuale e sociale delle persone, senza che esse ne siano consapevoli. Questo tragico rifiuto – o comunque stravolgimento – del cristianesimo (che sopravvive come pura “facciata”, svuotato della sua fecondità e originalità) viene presentato addirittura come progresso e conquista di civiltà. Eppure l’Occidente deve proprio al cristianesimo i suoi migliori traguardi, umani e trascendenti: il conseguimento delle più alte vette di spiritualità; le più nobili opere di amore e di carità verso i poveri e i sofferenti; le più stupende espressioni della bellezza di Dio nell’arte, nella musica, nell’architettura, nella letteratura; le più strenue difese della dignità della persona umana e della pari dignità tra l’uomo e la donna, secondo la rivelazione biblica; la promozione del vero progresso civile, morale e spirituale dei popoli e delle nazioni.

Uno degli aspetti più significativi e caratteristici dell’esoterismo è poi costituito dal suo modo – ossessivo e rituale nello stesso tempo – di rapportarsi al sesso, che viene visto come il mezzo necessario per eccellenza per impadronirsi di grandi energie, da impiegare per gli scopi che il mago o il caposetta di turno intende raggiungere. Ovviamente il contesto è di una unione sessuale non vissuta nell’ambito del matrimonio, ma in un contesto di peccato (fornicazione, adulterio, con partner occasionali, con i membri di una setta, nel contesto della pedofilia, ecc.). Dal sesso esercitato “esotericamente” derivano tutte le aberrazioni dei sacrifici rituali (anche umani) e del satanismo. In un’epoca come la nostra, dove il sesso è considerato come esclusivo mezzo di piacere e di divertimento, possiamo quindi immaginare quanto successo abbia la pratica della cosiddetta “magia sessuale”, permettendo così al maligno di radicarsi profondamente nella vita di chi lo pratica e anche di chi lo subisce inconsapevolmente – senza sapere, cioè, che il suo partner lo mette in atto quando si congiungono sessualmente -.

L’esoterismo, di per sé, è riservato a pochi “eletti”: come mai, allora, oggi assistiamo a una massiccia proposta di tali pratiche, nei confronti delle nuove generazioni? Il piano è ben concepito. Si tratta di portare i bambini, i ragazzi e i giovani a un primo approccio generico all’esoterismo. Il fine principale di tale progetto non è esclusivamente e principalmente il business, ma è innanzitutto quello di condurre il maggior numero possibile di quei bambini, ragazzi e giovani, diventati adulti, all’interno dei circoli esoterici, chiusi ai “profani”.

In che modo viene realizzato questo piano inquietante?  Partendo da quel che per i bambini, i ragazzi e i giovani è più facilmente accessibile e da cui sono più attratti, cioè fumetti, cartoni animati, videogiochi, libri, romanzi, film, telefilm, mass-media, internet, concerti musicali, ecc. Attraverso questi mezzi la pseudocultura dei “poteri esoterici” bombarda continuamente la mente delle nuove generazioni le quali, abituate così, sin dai primi anni di vita, alla familiarità con le immagini e con il linguaggio esoterico e occultista, in età adulta saranno con estrema facilità indotti a entrare in gruppi, circoli o associazioni che hanno fatto dell’esoterismo la propria spiritualità e dei riti occulti una nuova “liturgia”, sostitutiva alla pratica della genuina Fede cristiana. L’esoterismo e l’occultismo diventeranno, così, l’alternativa al cristianesimo; oppure deformeranno l’atteggiamento interiore di chi prega e partecipa alle celebrazioni liturgiche, svuotando totalmente il cuore della Fede e del sentimento cristiano, per impregnarlo di spirito magico.

L’altro grave fenomeno è quello di proporre l’esoterismo in chiave positiva. La stregoneria, ad esempio, da sempre considerata intrinsecamente malefica, viene oggi presentata sotto un aspetto positivo, affascinante, quasi come una religione della natura e come una promozione della donna, confondendo nelle menti e nei cuori delle nuove generazioni il concetto di bene e di male.

Si moltiplicano anche siti internet che promuovono la magia e la stregoneria e prolificano festival e convegni sull’esoterismo, promossi con grande slancio dai loro cultori.

Tutto ciò inoltre non fa che favorire sempre più, nella società odierna, l’ “industria” della magia. Oggi, come nel passato, molti si affidano a maghi, cartomanti, astrologi, medium, chiromanti, fattucchieri, cercando da essi la facile soluzione ai problemi della vita o persino il male degli altri.

I profondi danni che quotidianamente devono cercare di sanare i Sacerdoti che hanno ricevuto dalla Chiesa il ministero dell’esorcismo – aiutando persone coinvolte nelle diverse forme di occultismo – sono la testimonianza palese che nel mondo della magia non tutto è solo imbroglio e inganno: può esserci talvolta, in tali pratiche, un intervento straordinario del maligno, che può provocare sulle persone fenomeni di vessazione, ossessione o possessione diabolica e sui luoghi fenomeni di infestazione locale.

Tuttavia, anche se vanno distinti gli “autentici maghi” – che sono veri operatori dell’occulto – da altri sedicenti taumaturghi (in realtà truffatori, che investono solo sulla loro abilità manipolatoria delle coscienze, sperando di estorcere denaro) è indubitabile che l’azione di un mago sia in se stessa sempre dannosa sul piano morale: il cliente, che si rivolge a questi sedicenti “ministri dell’occulto”, ritiene, infatti, il loro operato una vera ed efficace “magia”. Chiedendo la loro opera, detti clienti offendono perciò gravemente Dio.

Questo volume vuole pertanto essere un sussidio, offerto agli operatori pastorali, per una attenta riflessione sul fenomeno magico e sui rimedi da mettere in atto.

Qualcuno, scorrendo queste pagine, si renderà probabilmente conto di come l’esoterismo si sia infiltrato nella mentalità di tanta gente, più di quanto non si pensi, e maturerà il sincero desiderio di contribuire personalmente al risanamento di questo male.

A mio parere, per prevenire efficacemente il fenomeno dell’esoterismo, è necessario che nella Chiesa ci si impegni su tre aspetti fondamentali: la vita di preghiera, la formazione cristiana, la carità fattiva. La prima favorendo autentiche scuole di preghiera, nelle quali si insegni di nuovo ai cristiani a pregare; la seconda con scuole di formazione, nelle quali si insegnino ai cristiani i principi della propria fede; la terza con scuole di carità, nelle quali si educhino i fedeli a mettere in pratica il comandamento dell’amore.

Questo volume vuole essere anche un’occasione di attenta riflessione per coloro che, nel mondo dell’esoterismo, sono alla ricerca sincera della Verità. Auspico che essi possano, con immensa gioia, fare la sorprendente scoperta – accogliendo il Cristo, Figlio di Dio fatto uomo e del cristianesimo, libero da ogni forma di esoterismo – di un percorso nuovo, bellissimo, affascinante e molto più solido, certo e gratificante di quello esoterico; un percorso che non ostacolerà la realizzazione delle loro più nobili e alte aspirazioni, ma al contrario la faciliterà. Che la Vergine Maria, loro Madre, possa concedere, con la sua materna intercessione presso Dio, questa grazia a questi suoi figli e nostri fratelli.

Padre Francesco Bamonte, icms

Presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti

TESTIMONIANZA DI UN EX PRATICANTE DELLA MEDITAZIONE TRASCENDENTALE (M.T.).

TESTIMONIANZA DI UN EX PRATICANTE DELLA MEDITAZIONE TRASCENDENTALE (M.T.).

Riportiamo di seguito la testimonianza di un medico cattolico che, dopo otto anni di pratica della cosiddetta Meditazione Trascendentale (M.T.), quando stava per diventare insegnante di questa tecnica, ha rinunciato ad essa perché gli fu chiesto di inginocchiarsi e di inchinarsi davanti all’immagine di un guru indiano.

 

Tra i “movimenti dello sviluppo del potenziale umano” vi è quello della cosiddetta Meditazione Trascendentale (M.T.), una tecnica che anche se definita «di meditazione» non ha però nulla a che fare con il significato che essa ha nel cristianesimo.

La M.T. è stata introdotta in Occidente da Maharishi Maesh Yogi che è stato allievo e segretario per quindici anni di Guru Dev, monaco indiano vissuto nello scorso nonché “shankaracharya” cioè leader spirituale ufficiale per il nord dell’India.

Questa tecnica viene presentata come un esercizio di meditazione che porta a un grande giovamento fisico e psichico e al dispiegamento del potenziale mentale. Si viene invitati a  procurarsi un fazzoletto bianco, dei fiori freschi,  ma non gli dicono che queste cose serviranno per sottoporlo a una cerimonia di iniziazione presentata come semplice memoriale della tradizione da cui viene tramandata la tecnica. La persona infatti viene introdotta in una stanza dove ci sono delle candele accese intorno a un quadro con l’immagine di Guru Dev vestito d’arancione; l’insegnante dice in maniera molto generica, che farà una piccola cerimonia di ringraziamento chiamata “pujja” durante la quale gli comunicherà il mantra. Offre davanti a quel quadro il fazzoletto, i fiori e del riso (quest’ultimo portato dall’insegnante stesso), poi cantando invoca innanzitutto il Guru Dev e quindi tutti i suoi predecessori vissuti nei secoli scorsi. A un certo punto comunica all’iniziato il mantra, una parola che gli dicono essere senza significato, ma “carica di energia”, che deve pronunciare ogni giorno lentamente e mentalmente ad occhi chiusi per venti minuti al mattino e venti minuti al pomeriggio (o alla sera) e che porterà la mente ad uno stato profondo di quiete vigile. In realtà questa parola è il nome di una divinità indù. Viene anche chiesta una quota che varia secondo il proprio reddito. Nel 1983 io pagai 600.000 lire. Tutto questo avviene il primo giorno. Nei quattro giorni successivi, si deve proseguire con l’insegnante la meditazione del mantra almeno una volta al giorno comunicandogli se la “meditazione” riesce bene, gli eventuali problemi o eventuali effetti collaterali. Questi quattro giorni servono a mettere a punto la tecnica. Si sta con l’insegnante circa un’ora: venti minuti per la meditazione e negli altri quaranta minuti si vedono alcuni nastri con gli insegnamenti di Maharishi sulla M.T. e si danno eventuali chiarimenti. Al termine dei quattro giorni viene detto: «Adesso sei autosufficiente, medita regolarmente da solo. Se vuoi puoi venire ogni mese o due mesi per un controllo dell’andamento della meditazione». Il controllo è gratuito. Si viene anche esortati a meditare il mantra il più possibile collettivamente, perché in gruppo, aumenterebbe in modo esponenziale l’effetto neuro-fisiologico, cioè il senso di quiete, di rilassamento profondo e di benessere generale e il potenziale mentale.

In periodi ben precisi dell’anno che corrispondono ai cambi di stagione o durante le nostre feste cristiane più solenni come il periodo delle feste natalizie e di quelle pasquali o i giorni intorno al ferragosto, che per i cattolici coincidono con la solennità dell’Assunta, i meditanti vengono invitati a partecipare a dei ritiri chiamati “assemblee di coerenza” che durano 8 o 15 giorni, organizzati ogni anno in diversi centri di M.T. del mondo.

Chi persevera nella meditazione (molti abbandonano data la grande difficoltà a inserire nel ritmo della vita quotidiana questa pratica), dopo due anni può passare alle tecniche avanzate che vengono veicolate non più da un insegnante, ma da un istruttore indiano preparato personalmente da Maharishi.

Inoltre esiste la M.T. SIDDHI il cui apprendimento comincia ripetendo la “pujja”, la cerimonia di ringraziamento. Si deve di nuovo portare un fazzoletto, fiori freschi e del riso, si viene di nuovo portati davanti al quadro di Guru Dev che viene invocato nel canto insieme a tutti i guru suoi predecessori. Durante il corso SIDDHI che si svolge per quattro sabati di un mese, più quindici giorni residenziali in un’accademia di Maharishi, al mantra già appreso con la M.T. si aggiungono gli aforismi di Patanjali, un filosofo indiano vissuto circa 2000 anni fa che mise a punto tutta la serie di tecniche chiamate “siddhi” che sono numerose e dalle quali il movimento di Maharishi ne ha selezionato circa una ventina. Per “siddhi” si intendono le virtù e le “capacità”, o meglio i “poteri”, che vanno nominati (si potrebbe dire quasi “chiamati”), dopo aver ripetuto il mantra per 20-25 minuti. Questo però allunga la meditazione da un’ora a un’ora e mezza circa al mattino e altrettanto al pomeriggio.

Lo scopo del corso SIDDHI è non solo un aumento delle “facoltà mentali” e del rendimento fisico come nella M.T., ma appunto l’ottenimento di queste “virtù” particolari (ad es. l’amicizia, la compassione, ecc.) e la manifestazione di poteri particolari considerati come normale sviluppo di potenzialità mentali a cui possono associarsi “esperienze” come la levitazione nei suoi vari stadi, il conseguimento della “luce interiore”, ecc.

Chi è costante e va avanti nella “meditazione” partecipando a tutti i ritiri, corsi e assemblee, facilmente viene invitato a diventare insegnante. Ed è quello che fu proposto a me dopo otto anni di fedeltà assoluta. Il corso per gli insegnanti durava un anno e prevedeva otto mesi di ritiro con isolamento completo dall’esterno (ogni anno si svolgevano in una nazione diversa): si faceva la meditazione di un’ora e mezza due volte al giorno e il resto del tempo era impiegato nello studio che si avvaleva molto di videonastri con insegnamenti di Maharishi.

Durante quegli otto anni mi sentivo avvicinare sempre più al mondo della spiritualità vedica (induismo) e anche se continuavo ad andare in chiesa, partecipare alla Santa Messa e a confessarmi, mi rendevo conto che in me stavano avvenendo delle trasformazioni che mi allontanavano sempre più dalla fede cattolica. Nei primi tempi in cui avevo iniziato la M.T., quando ancora non era evidente per me la matrice induista di questa pratica, avevo chiesto consiglio a un sacerdote descrivendogli quel che stavo facendo, ed egli mi disse: «Se ti fa del bene, se non ti fa male, se ti giova non può essere cattiva». Solo oggi mi rendo conto quanto questa affermazione del sacerdote – evidentemente come me non a conoscenza della vera identità della M.T. -sia stata fuorviante, dal momento che giudicando quella pratica come buona  per i suoi  benefìci psicofisici, non mi rendevo conto di essere stato introdotto inconsapevolmente all’induismo. Iniziando il corso insegnanti cominciai infatti a pormi alcune domande, quali ad esempio come mai, avendo abbracciato la pratica della M.T. per benefici personali e per scopi scientifici, mi sono trovato di fronte a una tecnica che sconfinava nella filosofia, poi nello spirituale e infine nella religione, con insegnamenti in evidente contrasto con la mia fede cattolica. Di conseguenza un forte conflitto interiore cominciò a travagliarmi enormemente. Il conflitto giunse al culmine quando dopo i primi otto mesi di ritiro mi fu detto che durante la cerimonia di ringraziamento alla quale mi sarei dovuto nuovamente sottoporre, avrei dovuto ad un certo punto onorare Guru Dev e tutta la linea dei guru che l’hanno preceduto inginocchiandomi e inchinandomi e che mi sarei dovuto completamente abbandonare a Guru Dev considerandolo il mio maestro.  Questa “novità” era necessaria per mettermi in grado, una volta diventato insegnante, di veicolare ad altri la conoscenza che è la tecnica di M.T., introducendoli ad essa con la “pujja”, durante la quale avrei chiamato a mia volta Guru Dev e tutti i guru precedenti a modo propiziatorio per poter poi comunicare il mantra.

Mi consigliai nuovamente con un altro sacerdote il quale a differenza del precedente mi aiutò finalmente ad aprire gli occhi.

A questo punto io mi chiesi proprio dove ero arrivato. Come cristiano cattolico mi resi conto del pericolo gravissimo che stavo correndo e mi dissi: «Il mio maestro è uno solo, Gesù Cristo e non Guru Dev!». Dover fare delle offerte propiziatorie come i fiori, il riso e il fazzoletto, dover ripetere come le litanie dei santi, tutte le generazioni di guru precedenti, l’aver visto inoltre comportamenti immorali tra gli appartenenti al movimento e l’incapacità di saper distinguere bene e male, mi hanno fatto fare la mia considerazione personale e mi sono detto: «No! Davanti a un atto che io considero religioso, mi fermo. La mia religione è quella cattolica e non l’induismo». Non ho concluso il corso insegnanti e mi sono affidato all’aiuto dei sacerdoti.  Costatavo dei benefici neurofisiologici ottenuti, ma allo stesso tempo mi accorgevo di essere stato ingannato perché a un certo punto mi sono trovato davanti a questa drammatica scelta: «O cristiano o induista!». Questo aspetto per me deve essere chiarito sin dall’inizio a chi abbraccia la M.T. mettendolo al corrente di quale sarà il termine e il fine della M.T., infatti si viene attratti da promesse molto allettanti di benessere fisico e mentale e di potenziamento della memoria, della capacità di attenzione, di lavoro e della creatività, si viene fortemente affascinati dalla promessa di acquisizione di poteri eccezionali e poi ci si ritrova svuotati completamente dal proprio assetto di coscienza cristiana e portati lontano dalle verità rivelate da Dio in Cristo Gesù e insegnate dalla Chiesa. Io ho visto tanti cattolici che hanno abbandonato il cattolicesimo per aderire totalmente a questi insegnamenti: se frequentavano la Messa la domenica hanno cominciato a non farlo più; se si confessavano non lo hanno più fatto; hanno cominciato a fare grandi confusioni dottrinali, a ritenere sbagliati i dogmi della fede cattolica e gli insegnamenti della Chiesa e a mettere in dubbio il valore dei Sacramenti.

Inoltre, poiché non ci veniva detto sul piano morale ciò che è bene e ciò che è male, ma semplicemente di non fare mai ciò che noi ritenevamo male, questa affermazione portava a gravi conseguenze sul piano morale, dal momento che si giungeva a considerare bene, non più ciò che oggettivamente è bene o male, ma bene ciò che sembra portare benessere, appagamento, piacere e male ciò che nega benessere, appagamento, piacere. Con questa mentalità, si arrivava a considerare lecita un’unione sessuale extraconiugale, semplicemente per il piacere che sembra procurare, e, per questo, addirittura ad abbandonare il proprio coniuge. Cristo Gesù invece mi insegna l’indissolubilità del matrimonio. La mia fede cattolica mi dice: «Difendi il bene del tuo matrimonio a qualunque costo». I Comandamenti mi dicono: «Non commettere adulterio, non desiderare la donna d’altri, non commettere atti impuri», e rimanevo veramente impressionato nel vedere invece come era diffuso nel movimento della M.T. – anche se non suggerito o favorito dagli insegnanti o dai direttori del gruppo o dallo stesso Maharishi – non solo l’adulterio, ma anche la separazione dei coniugi. E non si separavano per un motivo di ascesi personale, come ad esempio il non avere rapporti con il proprio coniuge per promuovere la castità, ma per andare a vivere con un’altra donna o un altro uomo sposato. E tutto ciò si verificava durante o dopo i corsi. Per cui io mi chiedevo: «A che serve praticare una tecnica di questo tipo, stare meglio fisicamente e mentalmente per poi distruggere il proprio matrimonio?».

E questa domanda vale in tutti gli aspetti della vita: otto anni di M.T. mi hanno fatto verificare lo svincolamento da ogni riferimento morale precedente.

E allora ecco che anche per la preghiera può accadere quello che ho visto negli Stati Uniti dove un gruppo di cattolici che si erano dati alla M.T. modificarono sia il modo di pregare, sia il Santo Rosario, eliminando da esso i misteri dolorosi.

A questo punto io tiro delle conclusioni: «Non nego i benefici neurofisiologici, ma la trappola sono proprio questi benefici. Da dove provengono? Chi me li dà? Se sono benefici neurofisiologici che coinvolgono solo l’apparato anatomico, il sistema nervoso centrale, gli organi periferici, perché modifica anche la mia coscienza? Perché mai mi provoca dei contrasti con la mia fede cattolica che per me non andava contrastata o messa in dubbio? È evidente che non c’è solo un effetto neurofisiologico, ma anche inquietanti effetti di altro genere, effetti spirituali di cui non si viene preavvisati e che prima o poi si manifestano quando uno pratica la M.T. per un certo tempo.

Una lunga riflessione mi ha portato a ritenere con certezza che i benefici sperimentati non sono da mettere in correlazione con la tecnica pura, ma a qualcos’altro o meglio a qualcun altro che non può essere se non colui che Gesù Cristo chiama nel Vangelo «padre della menzogna» cioè Satana.

In seguito ho saputo che alcuni sacerdoti e monaci cristiani che hanno praticato la M.T., hanno lasciato la loro vocazione oppure, pur continuando il loro sacerdozio o la vita religiosa, non l’hanno più vissuta in maniera autentica.

 

 

LA VERITÀ SULLA MEDITAZIONE TRASCENDENTALE

Associazione Internazionale Esorcisti

 LA VERITÀ SULLA MEDITAZIONE TRASCENDENTALE

Si moltiplicano tecniche mentali diffuse dalla New Age che promettono quasi il paradiso sulla terra e che in realtà possono far sperimentare l’ “inferno” sulla terra, dal momento che sono o causa di turbe psichiche o strade aperte all’intervento occulto e devastante degli spiriti del male. Negli Stati Uniti sono già sorte delle cliniche psichiatriche specializzate nella cura di soggetti che hanno ricevuto danni dopo aver praticato tali tecniche. Una di queste tecniche è la cosiddetta Meditazione Trascendentale (da qui in avanti: M.T.) che nulla ha a che fare con la Meditazione Cristiana. Si tratta infatti di un rito d’iniziazione detto Puja, che è una vera e propria pratica idolatrica, fatta davanti a un quadro con l’immagine di un monaco indiano vissuto nello scorso secolo, un certo Guru Dev. L’iniziatore offre a nome dell’adepto un insieme di oggetti simbolici: un fazzoletto bianco; legno di sandalo; canfora; incenso; frutta; riso; acqua; fiori. Il fazzoletto bianco e i fiori dovranno essere portati dall’iniziato, gli altri oggetti simbolici invece dall’iniziatore. Queste offerte che rappresentano la persona che sta per essere iniziata, vengono fatte alle divinità indù, ad antichi maestri e a Maharishi Maesh Yogi, il famoso guru dei beatles che ha introdotto in Occidente la M.T. Ovviamente ciò non è spiegato inizialmente allo studente.

L’iniziatore si prostra, adora e prega in sanscrito a nome della persona da iniziare. Alzandosi dall’adorazione comunica, all’iniziato, un mantra, che è il nome di una divinità indiana. La persona, ripetendo questo mantra, invoca quella divinità, ma ciò viene nascosto all’iniziato al quale invece viene detto che il “mantra” è una parola, senza significato, però carica di una “energia” che emana se pronunciata ogni giorno lentamente e mentalmente ad occhi chiusi per 20 minuti al mattino e 20 minuti al pomeriggio (o alla sera). Il mantra inserito in mezzo ad altre parole che verranno successivamente comunicate all’iniziato, formerà un’intera frase in sanscrito che consiste in una vera e propria abiura della propria fede cristiana, la frase infatti è un’affermazione di accettazione della signoria a una delle 108 divinità indù, riconosciute dagli indiani come “spiriti potenti”, per cui la persona è inconsapevolmente introdotta all’induismo.

A un certo momento però, in maniera evidente la M.T. tradisce lo stesso induismo che cerca la fusione con la “divinità” e non i poteri, i quali non sono un obiettivo da cercare, mentre la gran maggioranza di coloro che abbracciano la M.T. sono abbagliati dal miraggio dall’acquisizione di benefici psichici e fisici eccezionali. Tali benefici dovrebbero portare al miglioramento dei propri risultati nelle diverse attività e allo sviluppo di “capacità” della mente con il risveglio di presunti “poteri” mentali che la gran parte degli uomini avrebbe, ma in letargo (questo processo viene anche definito con il termine: “illuminazione”), poteri che renderebbero capaci di rendersi invisibili, di levitarsi, di viaggiare fuori dal corpo, ecc. Questi poteri così avidamente ricercati, in ultima analisi sono la tentazione della magia che è l’espressione di una volontà di dominio egocentrico.

È celebre in Francia padre Joseph Marie Verlinde, che nel 1991 entrò nella Fraternità monastica della Famiglia di San Giuseppe. Oggi insegna filosofia all’Università Cattolica di Lione ed è un apprezzato autore di saggi sui temi della fede.

Dopo essersi laureato in scienze atomiche a 24 anni, negli anni della contestazione sessantottina abbandonò la scienza ed anche il cristianesimo mettendosi alla scuola del guru indiano Maharishi Maesh Yogi (nome alla nascita: Mahesh Prasa Varma), che aveva introdotto alla fine degli anni cinquanta in Occidente la “Meditazione Trascendentale”.  Con lui ha percorso tutto il mondo, poi però un giorno dopo un incontro con un sacerdote esorcista francese, padre Mathieu, ha compreso il subdolo inganno con cui il demonio l’aveva portato lontano da Gesù Cristo.

Sottoposto a una serie di esorcismi e giunto alla liberazione dall’azione occulta del demonio, ha sentito successivamente la chiamata di Cristo al sacerdozio e alla vita monastica. Alcune decine di anni fa l’allora Vescovo di Parigi, il Cardinale Lustiger, gli chiese di predicare la Quaresima nella cattedrale di Notre Dame ottenendo un successo strepitoso, la cattedrale infatti si riempì come mai prima di allora.

A riguardo della sua esperienza con il guru Maharishi Mahesh Yogi e la M.T., riportiamo di seguito alcune sue testimonianze presentate durante il Convegno dell’Associazione Internazionale Esorcisti nel luglio del 2002.

«Un giorno una persona facoltosa, il pezzo grosso di una società, in una situazione particolare, si fece iniziare alla M.T. Dopo aver ricevuto il mantra, andò soggetto a dei movimenti del corpo che non riusciva a controllare. Cominciò ad avere dei movimenti ritmici che si amplificavano sempre più. Tutte le membra del corpo vibravano ed emise anche dei suoni strani finché cadde a terra e cominciò a strisciare e a grugnire sempre più forte.  Tutti videro quella scena e cercavano di capire cosa stesse succedendo per aiutarlo. Quella persona, che aveva un importante posto nella società, si calmò solo dopo tre quarti d’ora e quell’esperienza fu la vergogna della sua esistenza. Egli poi confessò che al momento del ricevimento del mantra, vide con i suoi occhi, una forma oscura, uscire dall’immagine del Guru-Dev e piantarsi in volto, in un luogo conosciuto bene dagli indù, il chakra che secondo loro è posto al centro degli occhi. Si piantò lì, come per entrare dentro di lui. E al momento in cui entrò dentro di lui, cominciò ad avere quei movimenti. Questa è un’iniziazione finita male. Normalmente quando c’era una iniziazione non sempre si assisteva a esperienze come questa, spesso però si verificavano movimenti incontrollati, fino a farsi male, senza potersi fermare. Le spiegazioni che i responsabili davano di queste cose, erano sempre le stesse: “Sono le tensioni che vengono fuori. Sta succedendo, dunque, qualcosa di buono”. Ho visto tali movimenti centinaia di volte. La sola risposta che i responsabili continuavano a dare era: “È qualcosa di buono!!!”. Vedete come c’è una perdita di ogni discernimento.  Un vero e proprio oscuramento dell’intelligenza che impedisce di accorgersi che c’è qualcosa di diabolico. Per questo insisto molto sull’atto di liberazione dell’intelligenza e della volontà».

In seguito, un giorno, mi trovai davanti a uno spettacolo allucinante con alcuni lebbrosi a nord dell’India. Maharishi reagì con disprezzo: «Allontanati, lasciali percorrere il cammino del loro karma». È allora che, nel mio cuore iniziarono a emergere le domande più profonde: «Ero pronto ad aderire fino in fondo a un sistema di pensiero e di pratiche che conducevano a un tale atteggiamento esistenziale davanti alla sofferenza e davanti all’altro?».

Dopo aver abbandonato la M.T. e Maharishi, prima di giungere all’autentica fede cristiana, Verlinde incappò però in un gruppo di “esoteristi cristiani” nel quale egli esercitava dei poteri che credeva buoni, in realtà si trattava di partecipazione di poteri demoniaci. Egli narra:

«Quando esercitavo i poteri occulti, nel gruppo esoterico-cristiano, era sempre per il bene. A quell’epoca ero sinceramente convertito. Andavo a Messa tutti i giorni, facevo un’ora d’adorazione e recitavo il Rosario. Però praticavo l’occultismo e con successo! Molto spesso si sente dire: “Quando impongo le mani è sempre dopo aver pregato”. Certo, ma non credo che sia una ragione sufficiente. Non basta pregare per rendere buona, una pratica che in se stessa è malvagia, è cattiva. Elia profeta diceva già, a suo tempo, che non si può zoppicare su due piedi. “Se il Signore è Dio, seguitelo!” (1 Re 18,21), sceglietelo chiaramente. Tutto questo l’ho scoperto a mie spese. Tutte le azioni, tutti i frutti di queste azioni occulte, scaturivano da una “diagnosi per veggenza”, confermata più volte. Si trattava di una pratica di medicina magnetica, una specie di magnetismo energetico che dava grandissimi risultati. Quando ho scoperto la verità, mi sono reso conto che lavoravo con uno spirito che dava suggerimenti interiori sul modo di agire! Tutto questo sembrava molto positivo. Ero però preoccupato perché, nel Vangelo, questi spiriti non erano considerati buoni. Mi sono informato e mi hanno detto: “Certamente c’è uno spirito che ti aiuta, altrimenti non avresti questi risultati. Ma stai tranquillo, è uno spirito buono, è un angelo guaritore”. Per loro, quelli del gruppo esoterico-cristiano, io lavoravo con un “angelo guaritore”. Come ho scoperto la verità?  Un giorno, mentre viaggiavo nella regione di Parigi, partecipai alla Santa Messa, come facevo ogni giorno. Al momento dell’elevazione dell’Ostia sentì chiaramente questo famoso “angelo guaritore”, che bestemmiava il nome di Gesù! Può darsi, dunque, che per me faceva cose “buone”, anche atti meravigliosi, ma bestemmiava il Cristo! Sono andato in sagrestia, per spiegare al sacerdote, ciò che mi succedeva e quel sacerdote mi disse: “Non mi stupisce”. “Perché non la stupisce – gli dissi – tutti i giorni vado a Messa; non è mai successo nulla, e qui, invece oggi…..”. “Non mi stupisce – ribadì quel santo sacerdote – perché sono l’esorcista della Diocesi”. Quindi la semplice presenza dell’esorcista, che ha ricevuto dalla Chiesa questo mandato, ha obbligato lo spirito a svelarsi per la prima volta nella sua vera identità. Bisogna riflettere con molta attenzione: andavo tutti i giorni a Messa, facevo solo il bene e per il bene!  Questo era ciò che io pensavo. Allora ho depositato tutti questi poteri (che mi avevano assicurato venire da Dio!) e che esercitavo in “spirito evangelico”. Li ho depositati ai piedi della Croce di Cristo e quando mi sono rialzato dalla preghiera di liberazione, a cui mi sono sottoposto, non avevo più alcun potere. Dobbiamo diventare, sempre di più, degli uomini di discernimento. Il fine, non giustifica i mezzi. Certo la salute è un bene. Ma non tutti i mezzi per ottenere la salute, sono giustificati. Ed i mezzi che io usavo erano cattivi e non mi portavano a raggiungere un buon fine».

«Dopo il mio ritorno all’autentico cristianesimo (mi riferisco al cristianesimo libero dall’esoterismo), Maharishi mi ha cercato. Andai e mentre ero con lui ebbi una forma di veggenza spontanea (che gli esoteristi cristiani hanno sfruttato). Dissi al guru che durante la meditazione, vedevo che i suoi adepti attiravano delle piccole entità oscure che si raggruppavano intorno al chakra. «Tu – mi disse – non puoi certo aver inventato quello che mi dici, perché il modo in cui lo descrivi è esattamente il modo in cui è scritto nei Veda (i libri sacri dell’induismo). Quindi dimmi bene ciò che vedi». Ogni volta che i suoi adepti ripetevano il mantra ed entravano nella meditazione, io vedevo arrivare quelle entità oscure. Gli ho riferito ciò ed egli mi ha detto: «Ebbene, quelle entità sono spiriti cattivi, che vengono attirati». Ma rifiutava di ammettere che fosse la M.T. ad attirarli. Poco dopo esser ripartito mandò a chiamarmi di nuovo e mi disse: «Io non posso credere che questo sia provocato dalla Meditazione. Hai un mezzo per liberare da questi spiriti, coloro che meditano?». Io avendo già fatto l’esperienza della liberazione da parte di Gesù, pieno di gioia per la potenza del Suo Nome, gli ho detto: «Sì, credo che sia il Nome di Gesù che può liberarli». E il guru: «Perché non provi su qualcuno dei miei discepoli?».  Ed io, candidamente risposi: «Sì, certo, perché no!». Andai e trovai una decina di persone, proprio quelle che costituivano lo staff ristretto del guru. Ho discusso a lungo invano con loro fino alle 3,00 di notte, ma visto inutile ogni spiegazione mi rivolsi improvvisamente alla persona che avevo di fronte dicendogli semplicemente: «Gesù, Signore, mostra la tua potenza. Nel Nome di Gesù, ti ordino, chiunque tu sia, di lasciare quest’uomo e di andare via da questa stanza». Non ero esorcista, certo, ma quelle parole che avevo pronunciato con fede mi sembrarono solo una reazione di buon senso. Quella persona tutto d’un colpo fu presa da una fortissima “vibrazione” in tutto il corpo gridando fortemente. Vi un soffio gelido che attraversò tutta l’assemblea. Quella persona, che si trovava tra un “meditante” e la finestra, fu spinta violentemente al suolo da una forza invisibile e poi, più niente. Vi fu silenzio di tomba. Tutti si guardarono negli occhi e capirono che “qualcosa” era successo. Maharishi riconobbe che era avvenuta una liberazione da uno spirito maligno. Ma quando vidi che, nonostante questo, continuavano a non voler credere che quegli spiriti cattivi erano venuti dalla M.T. stessa e che rifiutavano di aderire alla liberazione donata da Cristo, in quella stessa alba li ho lasciati e non sono mai più tornato da loro. Avevo avuto la prova che avevano rifiutato la verità che per pura grazia di Dio si era manifestata loro. La mia, in quell’occasione fu, certo, una presunzione, ma Dio ha permesso che accadesse questo, solo per manifestare dove fosse la verità. In tutti quegli avvenimenti Gesù aveva loro mostrato la verità, ma essi non l’avevano accettata.

Padre Verlinde così sottolinea i pericoli della M.T. di cui per anni fu il numero due al mondo:

– tutte le tecniche finalizzate ad aprire i chakra, rilassarsi o acquisire poteri, ci mettono tutte comunque in uno stato medianico e ci portano in contatto con mondi occulti pericolosissimi;

– con il rituale della Puja della M.T. la persona viene offerta ad entità del Pantheon induista (talvolta espressamente demoni) le quali possono, durante la meditazione, facilmente entrare nell’ignaro evocatore;

– non esiste l’acquisizione di alcun potere occulto senza l’aiuto o l’intervento di spiriti, infatti tutte le tecniche finalizzate ad aprire i chakra, mettono in contatto con il mondo nel quale vivono ed agiscono queste entità malefiche che altro non sono che i demoni descritti nella Bibbia.

Sempre durante il Convegno dell’Associazione Internazionale Esorcisti, che si svolse a Collevalenza nel luglio del 2002, fu posta a padre Verlinde la seguente domanda:

«Un sacerdote conduce da oltre 20 anni, corsi di meditazione e di “preghiera” trascendentale e di tutte queste nomenclature orientali. Cosa pensare di questo?».

La sua risposta fu la seguente:

In effetti oggi c’è una recrudescenza di queste cose. Quando seguivo ancora il guru, avevo un amico responsabile per la Francia della M.T. Cito il nome perché ha scritto molte cose: Daniel Maurin. Ho cercato, in seguito, di incontrarmi con lui, dopo la sua conversione, perché anche lui si è convertito al cristianesimo e ha incominciato a scrivere libri, proponendo una meditazione che chiamava “meditazione cristiana” e che si basava sui testi di S. Teresa D’Avila e di S. Giovanni della Croce. Avevo letto la sua opera che era una raccolta di questi testi e ne ero molto felice, convinto che avesse vissuto una vera conversione. Quando l’ho incontrato però, rimasi stupito dal suo modo di parlare della preghiera dei monaci, c’era in lui una specie di disprezzo: “Queste persone pregano da 20 anni e ancora non hanno avuto un’esperienza di Dio”. Ma, pensando alle opere scritte (S. Teresa D’Avila), non avevo ragione di dubitare di lui. Mi ha lasciato due cassette in cui inizia a parlare e poi mostra questa sua famosa meditazione che – dice lui – essere una meditazione carmelitana. Mentre guidavo, ascoltavo e ad un certo punto mi sono fermato perché ero stomacato. Aveva semplicemente ripreso l’iniziazione della M.T., cambiando il mantra indù con un nome, di preferenza in ebraico o in greco o in latino (es. Jeshuà) e proponeva questa come meditazione cristiana! Da due, tre anni sto constatando una recrudescenza di proposte di meditazioni dette cristiane che altro non sono che recuperi di tecniche orientali, più o meno cristianizzate. Rimandandovi al mio libro: “Esperienza proibita”, permettetevi di dirvi che questo è un grandissimo pericolo, perché le tecniche orientali non hanno niente a che vedere con la preghiera e la meditazione cristiana. Noi non abbiamo “tecnica” di preghiera cristiana. Ci sono metodi che preparano all’accoglienza e alla visita dell’Altro, di Dio. Il solo “metodo” cristiano è entrare nello spirito di Maria: “Io sono la serva del Signore”.  Inoltre il modello di questo metodo riconosciuto nella Chiesa sono gli esercizi spirituali di Sant’ Ignazio di Loyola, considerati dalla Chiesa come la traccia della meditazione cristiana, del ritiro cristiano, perché ci portano all’ascolto della Parola, a metterci in presenza di Dio che viene a visitarci e ci rendono così disponibili alle mozioni dello Spirito Santo. Tutto il lavoro di Ignazio di Loyola è un lavoro di discernimento degli spiriti. Posso dire che nei nostri ritiri di guarigione interiore ci basiamo completamente sulla pedagogia degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola che sono, fondamentalmente, una scuola di discernimento degli spiriti. Cercare di scegliere il buono spirito, familiarizzandoci con la Parola di Dio. Questo ci porta al vero discernimento degli spiriti. Questo è l’esempio di metodo di approccio alla preghiera cristiana, ma non è una tecnica. La parola tecnica sottintende una certa manipolazione efficace, che ci permetterebbe di mettere “le mani su Dio”, di disporre addirittura di Lui e di “utilizzarlo” (sic!) per me. Questo è coerente in una mistica naturale (o naturalistica), in cui io sono “dio” e ho l’energia divina per me. Ma questa tecnica è incompatibile con le nostre disposizioni della preghiera in cui ci dirigiamo verso Dio nella speranza che Lui, fedele alla sua Parola, venga a visitarci. Ecco perché sono preoccupato di questa recrudescenza di scuole di preghiera cristiana che utilizzano tecniche orientali più o meno “battezzate”, di nomi di mantra che hanno nomi cristiani, ma in cui la tecnicità orientale, resta sempre la stessa. Per esempio, in una di queste scuole, in Italia, si propone di lasciare d’invocare il nome di Gesù, dimenticando ciò che vuol dire, ma solo ripetendolo tante volte finché non sparisce piano piano e lascia in uno stato di sospensione, in cui non è scomparso. Attenzione: quello stato di sospensione è uno stato medianico, perché avete applicato una tecnica che viene dall’Oriente. Ora in queste tecniche che si usi il nome di Gesù o il nome di una divinità orientale, si mira solo ad indurre una disposizione psicologica che non ha più niente a che vedere con l’accoglienza della Grazia, perchè il soggetto viene messo in un tipo di sospensione delle attività intellettuali e volitive (e sottolineo volitive) in cui la libertà è paralizzata. Il soggetto è nella disposizione di ricevere influenze di questi “mondi paralleli” senza essere capace di discernere chi e che cosa viene ad influenzarlo! Per noi è il nome di Gesù che salva. Il nome è la Persona: esso ci pone in comunione con la Persona di Gesù, ma è necessario invocarlo nel modo giusto. Solo nella Persona del Verbo incarnato abbiamo accesso al Padre. Gesù è l’unica Porta, è l’unico Pastore. È l’unico che può portarmi al Padre e me lo fa conoscere. Le altre tecniche vogliono trascendere il nome di Gesù per una presunta esperienza immediata (N.d.R. = la falsa via inventata dagli uomini, viene messa al posto della Via donata da Dio = N.d.R.). Era già ciò che, al tempo di Sant’ Ignazio e di Santa Teresa d’Avila si rimproverava agli “alumbrados” (= gli illuminati) perché volevano fare “corto circuito” dell’Incarnazione del Verbo, per una presunta “esperienza diretta del divino” che, allora, diventa quell’energia impersonale di cui ho denunciato l’ambiguità.

Nel suo libro Attacco al cristianesimo[1] padre Verlinde specifica ulteriormente:

«Non si sottolineerà mai abbastanza che il valore delle preghiere ripetitive cristiane non scaturisce dalla loro formulazione meccanica, bensì dalla relazione che esse permettono di creare con Colui o Colei alla quale sono rivolte. In altre parole è l’intenzione del cuore, l’amore che mettiamo in ciascuna di queste giaculatorie, che giustifica il suo impiego nel contesto cristiano. Per essere chiari: la preghiera cristiana utilizzata come tecnica, può deviare dalla sua finalità e indurre degli stati secondi, cioè stati di medianità che non hanno più nulla che fare con la meditazione. Per esempio la setta IVI suggerisce ai suoi adepti di porsi in stato di trance ripetendo infinite volte l’Ave Maria in maniera incantatoria. Nel mio libro: Iniziazione alla lectio divina cito un brano in cui Teofane il Recluso sottolinea che la famosa preghiera di Gesù non è un talismano: tutto il suo valore consiste nell’unione profonda del nostro spirito e del nostro cuore con il Signore, unione favorita dalla ripetizione amorosa del suo Santo Nome, invocato con fede totale»[2].

«I metodi di preghiera che s’ispirano a tecniche di meditazione orientale sono di fatto tecniche e niente più. Non basta solo rimpiazzare il mantra indù con un termine del vocabolario cristiano – anche se ripetute in greco o in ebraico per facilitare il rilassamento – perché la tecnica sia “battezzata” e possa essere integrata in un cammino spirituale cristiano. Mi ha colpito leggere le opere che presentano questo approccio, per la similitudine dei dialoghi con quelli che gli iniziatori della M.T. devono imparare a memoria per poter rispondere alle domande di coloro che li hanno iniziati. La finalità di questa pratica è descritta in termine di serenità interiore, senza alcuna allusione a un incontro personale con Cristo. Mi sembra che la presa immediata del divino nel quale siamo immersi corrisponda sempre più a un’esperienza di mistica naturale che a un incontro con il Dio vivente che si rivela in Gesù Cristo. Vorrei citare a questo proposito Santa Teresa d’Avila: “Pretendere di frenare da sole l’intelletto: ecco ciò che chiedo di non fare più, non dobbiamo nemmeno smettere di utilizzarlo, rischiando di non ottenere nulla”[3]».

«Se è Dio che fa tacere l’intelletto, gli dà modo di occuparsi diversamente, e questo avviene mediante una illuminazione così chiara che esso ne rimane assorto, persuaso che per certe cose non può fare proprio nulla, e senza che ne sappia come, si trova meglio istruito che non con impiego di tutti i suoi attenti, accurati apporti, con i quali piuttosto si sarebbe fatto del danno. Siccome Dio ci ha dato le potenze dell’intelletto per aiutarci ad agire, non vedo perché ci si debba privarcene, tanto più che ad ogni loro azione ha da corrispondere un premio. Lasciamole fare il loro ufficio, fino a quando Dio non ce ne dona altre, più grandi». E ancora: «Voi potreste credere che godendo di questi favoritismi così sublimi non si debba più fermare la meditazione sui misteri della Sacratissima Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo, ma occuparsi soltanto di amare. Io ho capito che il demonio ha tentato di ingannarmi; e ne sono rimasta così scottata che penso di ripetere qui ciò che ho detto in altri luoghi, affinché camminate con molta attenzione e non abbiate a credere – guardate che cosa ardisco dire! – a chi afferma il contrario: non dobbiamo separarci dalla Sacratissima Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo, unico nostro bene e rimedio. Quelli che si separano da Essa fanno del male a sé e agli altri. Assicuro che non entreranno mai nel cammino perché, perduta la via, che è il buon Gesù, non ne troveranno la strada”[4]»[5].

 

[1] Padre Joseph Marie Verlinde, Attacco al cristianesimo, Edizioni Carismatici Francescani, Città di Castello, 2008.

[2] Ivi, pag.109.

[3] Santa Teresa D’Avila, Autobiografia, XII, 5.

[4] Castello interiore, VI Dimora VII, 5-6.

[5] Padre Joseph Marie Verlinde, Attacco al cristianesimo, Edizioni Carismatici Francescani, Città di Castello, 2008, pag. pag.112-114.

 

6 GIUGNO 2021: Beatificazione di sr. Maria Laura Mainetti

6 GIUGNO 2021: BEATIFICAZIONE DI SUOR MARIA LAURA MAINETTI, UCCISA IN ODIO ALLA FEDE DURANTE UN RITO SATANICO

 Di padre Francesco Bamonte, presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti

2 giugno 2021

Suor Maria Laura Mainetti

Domenica 6 giugno 2021, sarà beatificata Suor Maria Laura Mainetti, vittima sacrificale di un rito satanico realizzato da tre ragazzine. Appena arrestate, esse raccontarono infatti di averla offerta a Satana “per fare qualcosa di diverso dal solito e provare forte emozioni”.

Suor Maria Laura Mainetti, al secolo Teresina Elsa Mainetti, nacque a Colico (Lecco, Italia) il 20 agosto 1939 decima figlia di Stefano Mainetti e Marcellina Gusmeroli. Rimasta orfana di madre, pochi giorni dopo essere nata si prese cura di lei prima la sorella Romilda, aiutata da altre persone della famiglia di Tartano e poi la seconda moglie del padre.

Prese gradualmente coscienza che la mamma era morta per dare la vita a lei, sua decima figlia. E questo, forse, spiega anche perché cresca con una spiccata generosità e con la tendenza a farsi in quattro per le sue compagne, che la chiamano “santa Teresina”.

Un giorno andando a confessarsi, alla domanda del sacerdote su cosa voglia fare della propria vita, rispose: «Penso di fare della mia vita qualcosa di bello per gli altri». Il confessore le disse: «Allora pensaci bene. In che modo? Tu devi fare qualcosa di bello per gli altri».

Tanto bastò per scoprire in quella frase il progetto di Dio su di lei e di sentirsi così chiamata ad una donazione totale. Nel 1957, a diciott’anni entrò nel Postulantado della Congregazione delle Figlie della Croce, a Roma la cui regola di vita è «mettersi alla scuola di Gesù» che si è dato a noi fino alla morte in croce: sorprendente sarà il modo con cui lei incarnerà ciò fino al dono totale.

Concluse il Noviziato il 15 agosto 1959 emettendo la professione temporanea con i primi voti.

Iniziò poco dopo la sua missione di insegnante, passando dall’insegnamento nella scuola elementare a quello di coordinatrice nella materna, per terminare poi come educatrice tra le giovani del pensionato che le suore gestivano a Chiavenna (Sondrio). Il 25 agosto 1964 emise i voti perpetui a La Puye (diocesi di Poitiers in Francia) nella Casa Madre della Congregazione.

Dedicò la sua vita alla missione tra i bambini, i giovani e le famiglie, a Vasto (Chieti), Roma, Parma, fino ad approdare a Chiavenna (Sondrio) nel 1984: qui, nel 1987, divenne anche superiora della comunità. Fu insegnante, educatrice di molti giovani e studentesse e punto di riferimento spirituale per tante persone.

Le sue attenzioni furono rivolte in particolare ai giovani che vedeva così fragili, disorientati, plagiati: non perse occasioni per conoscere il loro mondo, il loro linguaggio, la cultura giovanile; si interessò alle diverse esperienze, non si tirò mai indietro davanti a nessuna proposta in loro favore; partecipò attivamente alle catechesi, all’oratorio, ai campi scuola, alle riunioni di ex alunni, offrendo ascolto e attenzione negli incontri personali.

Nel diario di Suor Maria Laura hanno trovato scritto: «La mia missione: essere segno dell’amore di tenerezza del Padre in comunità, nella scuola, tra le ragazze». E le testimonianze fin qui raccolte sembrano dire che ci sia riuscita. Anzi, affermano che «era persino esagerata nel vedere a ogni costo il lato buono delle persone» e che «faceva il bene in silenzio, senza dare importanza, quasi di sfuggita».

A Chiavenna, tre ragazze minorenni da tempo affascinate dal satanismo, progettarono di sacrificare al demonio una persona consacrata. Secondo quanto esse confessarono, la vittima inizialmente designata fu l’allora il parroco di San Lorenzo, monsignor Ambrogio Balatti, poi però ci ripensarono perché la sua corporatura robusta avrebbe reso difficile l’omicidio. Pensarono allora di immolare al demonio suor Maria Laura Mainetti, più facilmente sopraffabile perché di fisico esile.

All’inizio del giugno 2000 la suora fu contattata da una delle tre amiche. Finse di essere incinta a causa di una violenza sessuale subita e i famigliari volevano che abortisse. Diede per scontato che quella suora diventasse subito sua amica e che, per scongiurare l’aborto, le offrisse il suo incondizionato sostegno e perfino ospitalità nella propria comunità religiosa, almeno fino al termine della gravidanza.

Il 6 giugno la ragazza si fece nuovamente viva al telefono, chiedendo a Suor Maria Laura un appuntamento a Piazza Castello, dove si incontrarono. La ragazza la convinse ad accompagnarla a prendere il suo bagaglio rimasto nella valigia in un luogo isolato del paese raramente frequentato la sera. La suora uscì dal convento, verso le 22.00, da sola, ma le consorelle erano al corrente del suo impegno e chiese al parroco di vigilare sulla zona.

Quando si avviò a prendere i suoi effetti personali, entrarono in scena le due complici, che recitarono bene la loro parte ringraziando la suora e invitandola a seguirle lungo un viottolo poco illuminato. Poco dopo però, l’assalirono con dei sassi, poi la trascinarono ferita fino in un punto più isolato dove ognuna di loro le inflisse sei coltellate. Per rievocare il numero 666 della bestia satanica del libro dell’Apocalisse, avevano stabilito che il rituale di offerta della religiosa al diavolo, doveva essere caratterizzato dal numero dei fendenti, 6 per ciascuna delle tre ragazze in modo da comporre il 666. In tutto dovevano essere quindi 18 coltellate, ma nella foga i colpi furono uno in più. Avevano inoltre scelto proprio quella giornata, il 6 giugno del 2000, perché in quella data del nuovo millennio compariva due volte il numero 6.

La suora morì stando in ginocchio e la ritroveranno il giorno dopo, ormai cadavere. In seguito, nel corso degli interrogatori le giovani assassine confessarono che, mentre la colpivano, Suor Maria Laura disse: «Signore, perdonale!». Le ragazze ammisero di essere state impressionate non dalla vista del sangue e neppure dalla forza bruta che esse stesse non immaginavano di avere, ma piuttosto da quelle parole di perdono che la loro vittima pronunciò in punto di morte, preoccupata unicamente delle ragazze e dei contenuti dei loro quaderni con scritte sataniche. Risultò che, nei mesi precedenti, queste avevano compiuto un giuramento di sangue che le avrebbe legate fra loro indissolubilmente. Le indagini sull’omicidio esclusero la partecipazione diretta o indiretta di una persona adulta, che avrebbe potuto suggestionare le ragazze.

Pochi mesi prima della sua morte suor Maria Laura scrisse: “Dobbiamo essere disponibili a tutto per gli altri, sino a dare la vita come Gesù”. La sua morte violenta fu sulle prime pagine dei giornali italiani per molte settimane. Le tre ragazze furono condannate in via definitiva nel 2003: una, ritenuta la mente del gruppo, a 12 anni e 4 mesi, le due amiche a 8 anni e mezzo. Una volta scontata la pena, le tre ragazze hanno cambiato i loro nomi, si sono trasferite altrove, si sono sposate, hanno avuto figli, lavorano.

Il perdono della suora morente, che tanto colpì le giovani, fu in seguito anche il punto di ripartenza per la loro vita.

Sul luogo della morte di suor Maria Laura è stata posta una croce in granito che reca la scritta evangelica: “Se il chicco di grano muore, porta molto frutto”. Da subito tanti si sono recati lì in preghiera e, nel marzo 2019, la salma della suora è stata traslata dal cimitero a una delle cappelle laterali della Collegiata di San Lorenzo. Sulla balaustra è posto un diario dove si possono lasciare preghiere o riflessioni. In un anno sono state raccolte 1500 frasi, scritte in tutte le lingue del mondo da bambini, nonni, gruppi di ragazzi, genitori, oratori, scuole, cori, comunità.

Il 23 ottobre 2005 l’allora vescovo della diocesi di Como Alessandro Maggiolini aprì il Processo Diocesano per la beatificazione di suor Maria Laura, conclusosi il 6 giugno 2006. Successivamente nel 2008 la Santa Sede ha approvato la richiesta per l’inizio del processo di beatificazione. Nell’estate 2017 è stata consegnata la “Positio super martyrio”. Il 19 giugno 2020 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi alla promulgazione del Decreto che ne riconosce il martirio, in quanto compiuto “In odium fidei” (in odio alla fede), aprendo così la via alla sua beatificazione.

Oltre al luogo dove fu uccisa, meta di pellegrinaggi sono stati sin dall’inizio anche la sua tomba, prima nel cimitero di Chiavenna, poi, dal 2019, nella Collegiata di San Lorenzo a Chiavenna (precisamente nel pavimento della cappella di san Giovanni Nepomuceno, la seconda della navata destra), la casa dove visse.

La cerimonia di beatificazione e la celebrazione della Santa Messa si svolgerà nello stadio comunale di Chiavenna domenica 6 giugno 2021. Sarà presieduta dal Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Marcello Semeraro, e concelebrata dal vescovo della diocesi di Como monsignor Oscar Cantoni e da decine di presuli e sacerdoti. Si potrà seguire la trasmissione della celebrazione su TV 2000 poco prima delle 16.00.

Alcune considerazioni

La beatificazione di Suor Maria Laura Mainetti trucidata da tre ragazze adolescenti, deve farci riflettere seriamente sull’esito drammatico al quale può condurre non solo il vuoto di valori e la noia che caratterizza la vita di tanti giovani, ma anche quel bombardamento mediatico scellerato a cui essi sono sottoposti che si prefigge di suscitare in essi il fascino della trasgressione, dalle “sfide” (challenge) estreme, alla continua ricerca di proposte oltremodo stimolanti, fuori dall’ordinario e oltre ogni limite nelle quali rientra anche il culto al demonio con aberranti rituali di vario genere, che promettono non solo emozioni intense, ma l’appropriazione della sua forza malefica, dei suoi poteri (come se fossero poteri divini e non lo sono), delle sue prestazioni esoteriche.

Un numero crescente di giovani, e non solo, sottoposti a questo martellamento mediatico si ritrovano ad intraprendere dei sentieri che, si rivelano vere e proprie trappole che li conducono allo smarrimento e li inducono alla blasfemia, alla bestemmia, al vandalismo, alla violenza, all’omicidio, al suicidio. In tale propensione, l’occultismo esoterico e il satanismo, tendono sempre più a diventare delle vere e proprie corsie preferenziali. E la comunicazione mediatica costituisce uno dei canali privilegiati per la diffusione di simili percorsi. In particolare, alcuni generi mediatici risultano particolarmente adatti per catturare l’attenzione e adescare potenziali vittime.

Facciamo qualche esempio.

Basta scorrere i testi delle canzoni di gruppi musicali di vario genere (dal rock alla musica leggera diffusa dai festival più noti in Europa), oppure, visitando i siti internet relativi al sempre più variegato mondo dei cartoon per varie fasce di età, per scoprire come il culto della violenza, anche più estrema sino all’autolesionismo siano presi come modello; contenuti che costituiscono un vero e  proprio incitamento verso di essi, il tutto accompagnato da una specifica iconografia esoterica e satanica.

Un fenomeno spesso ritenuto come una sorta di neo-genere culturale, nuovi linguaggi artistici, etc.

Questo fenomeno non solo non va sottovalutato – e peggio ancora valorizzato – ma va guardato nella sua pericolosità e denunciato.

Stiamo assistendo, sempre più ignari, ad una vera e propria escalation di martellanti messaggi esoterici e satanici da parte del marketing. Romanzi, musica, videogiochi, moda, film, telefilm, pubblicità, mettono in moto un giro d’affari a livello planetario in cui il demoniaco viene presentato in chiave positiva: affascinante, accattivante, permissivo, un aspetto che attrae con forza le giovani generazioni, e senza preoccuparsi degli esiti educativi devastanti.

Si moltiplicano, ad esempio, le fiction televisive, cartoon e social forum che presentano Lucifero come un personaggio da imitare, un’icona della libertà contro la schiavitù della religione, della morale, delle regole che invece vengono sempre più percepite come realtà negative. Per esempio, per la Wicca (considerato come un nuovo movimento religioso afferente ai fenomeni cosiddetti di “neopaganesimo) Lucifero è “il principe del bene e della creazione misconosciuto e ingiustamente perseguitato dalla Chiesa cristiana”.

Se a questo si aggiunge una società fondata sempre più sull’avere tutto e subito, l’esoterismo che sfocia nel satanismo risulta essere la risposta più accattivante per il potere, il successo, il denaro, il sesso. In una siffatta prospettiva i valori della fede, della morale, la stessa Rivelazione cristiana, non solo non hanno più spazio ma vengono rifiutate e combattute con sempre più preoccupante disprezzo e odio.

Attraverso il web i ragazzi familiarizzano con sette e movimenti distruttivi tra i quali spicca il satanismo, con la possibilità di trasformare la conoscenza virtuale in quella reale.  Dinamiche che imperversano sui social forum e sulle numerosissime piattaforme dei siti web. Basta dare uno sguardo su Facebook per vedere che esistono una infinità di “pagine” e di “gruppi chiusi” relativi a questi temi.

Molte altre pagine sono presenti anche su Instagram e i “followers”. Se si prova a scrivere satanismo, esoterismo o sinonimi, ecco che si entra in un istante in quel mondo tenebroso che promuove e diffonde il vero e terribile oscurantismo che minaccia l’umanità e in particolare la vita dei giovani, con tutta una serie di immagini, foto di ogni genere, finalizzate a sedurre i visitatori e portarli a condividere queste realtà con tutte le loro proposte, convincendoli a liberarsi da quelli che vengono presentati come pregiudizi culturali, ideologici e religiosi.

Un vero e proprio indottrinamento esoterico e satanico in atto e troppo sottovalutato. Per cui l’informazione equilibrata, attenta e prudente urge soprattutto nell’ambito educativo e formativo delle famiglie e delle Istituzioni.

Come contrastare questo potere?

Bisogna che si ritorni con forza a distinguere chiaramente tra ciò che è moralmente corretto da ciò che non lo è; una mancanza che ha generato progressivamente un misconoscimento dei confini tra il bene e il male generando un sovvertimento di quei valori che sono a fondamento della stessa dignità umana.

Mettere in atto un annuncio integrale della fede, affascinante, credibile e senza compromessi, accompagnata da robuste proposte educative ed informative sui rischi e i pericoli di una vera e propria cultura della morte spesso ammantata dalle maschere di una falsa vitalità e felicità.

Iniziare a denunciare con forza tutte quelle proposte del demoniaco presentato come una realtà positiva. Tali proposte infatti rappresentano una forma di pervertimento talmente devastante, che non può avere diritto di cittadinanza in una società civile se vuole continuare ad essere tale.

Infine, pregare per i nostri giovani perché accolgano le ispirazioni del bene che Dio sempre cerca di comunicare ai loro cuori e respingano le falsità che il “padre della menzogna” (cfr. Vangelo di Giovanni 8, 44) diffonde nella società attraverso i suoi cultori. Quest’ultimi infatti presentano i comandi di Dio e l’ubbidienza a Lui come una mortificazione, una minaccia alla propria libertà, realizzazione e felicità. In realtà, è esattamente il contrario: è Satana che minaccia la libertà, la felicità, la realizzazione personale e l’eterna salvezza di ogni uomo come anche la pace tra i popoli e le nazioni e il vero progresso dell’umanità. L’adesione incondizionata a Dio e l’obbedienza a Lui ci rendono veramente liberi, perché in Dio è la nostra pace, la nostra gioia, l’autentica e duratura felicità a cui anela il nostro cuore, la realizzazione piena della nostra esistenza in questa vita terrena e nell’eternità.

Luogo dove fu uccisa suor Laura Mainetti

VOLUMI PUBBLICATI DAL PRESIDENTE DELL’ A.I.E.

VOLUMI PUBBLICATI DAL PRESIDENTE DELL’ A.I.E.

Di seguito riportiamo le copertine dei volumi che ha pubblicato p. Francesco Bamonte icms, Presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti, al fine di promuovere la retta conoscenza del ministero degli esorcismi nel popolo di Dio e prevenire i danni dell’occultismo nella società.

Spettacoli e blasfemia

La sera di sabato 13 marzo 2021, dalle 21.00 alle 22.30 padre Francesco Bamonte, Presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti,  ha condotto il programma: “Padre, liberaci dal maligno” sull’emittente Radio Maria. L’argomento della serata è stato: “Spettacolo e blasfemia”. La trasmissione è stata dedicata interamente a una riflessione sulle blasfemie nei confronti di Cristo e di Maria Vergine che si sono verificate nel corso dell’ultimo festival della canzone italiana di Sanremo.

Padre liberaci dal maligno – 13/03/2021

IL GENERALE DELL’ORDINE DEI GESUITI CI RIPENSA: IL DIAVOLO NON È UN SIMBOLO. ESISTE REALMENTE

IL GENERALE DELL’ORDINE DEI GESUITI CI RIPENSA: IL DIAVOLO NON È UN SIMBOLO. ESISTE REALMENTE 

Città del Vaticano, 6 dic 2019 / 12:12 (Catholic News Agency – CNA)

Martedì scorso il Superiore Generale dell’ordine dei Gesuiti ha detto ai giornalisti che il diavolo è reale, dopo aver fatto notizia ad agosto affermando che Satana è un simbolo, non una persona.

Padre Arturo Sosa, SJ, secondo un rapporto di Vida Nueva, in una riunione del 2 dicembre (2019) con i giornalisti, ha dichiarato che Satana “è colui che sta tra il piano di Dio e la sua opera di salvezza compiuta in Cristo, perché ha preso questa decisione irreversibile e libera, e vuole trascinare gli altri per rifiutare il Dio misericordioso, che preferisce dare la sua vita per salvare invece di condannare”.

Sosa ha aggiunto che “il potere del diavolo … ovviamente esiste ancora come una forza che cerca di rovinare i nostri sforzi”.

I commenti di Sosa giungono a seguito delle osservazioni che egli ha offerto riguardo i sei Gesuiti e i due impiegati uccisi nel novembre 1989 dai soldati salvadoregni all’Università dell’America Centrale a San Salvador.

Il 21 agosto (2019), Sosa aveva dichiarato a una rivista italiana che il diavolo “esiste come personificazione del male in diverse forme, ma non nelle persone, perché non è una persona, è un modo di agire malvagio. Non è una persona come una persona umana. È un modo del male di essere presente nella vita umana”.

“Il bene e il male sono in una guerra permanente nella coscienza umana e noi abbiamo modi per identificarli. Riconosciamo Dio come buono, pienamente buono. I simboli fanno parte della realtà e il diavolo esiste come realtà simbolica, non come realtà personale”, aveva aggiunto ad agosto.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che «Satana all’inizio era un angelo buono, creato da Dio: il diavolo e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi» (CCC 391).

Gli angeli, dice il Catechismo, sono «esseri spirituali, non corporei» (CCC 328).

Sosa, 71 anni, è stato eletto Superiore Generale dei Gesuiti nel 2016. Venezuelano, ha una licenza pontificia in filosofia e un dottorato in scienze politiche. È stato Superiore Provinciale Gesuita in Venezuela dal 1996 al 2004. Nel 2014 ha assunto un ruolo amministrativo nella Curia Generale dei Gesuiti a Roma.

Sosa ha offerto commenti controversi su Satana in passato. Nel 2017 aveva dichiarato a El Mundo che “abbiamo formato figure simboliche come il Diavolo per esprimere il male”.

Dopo che la sua osservazione del 2017 ha generato polemiche, un portavoce di Sosa ha detto al giornale cattolico Herald che “come tutti i cattolici, padre Sosa professa e insegna ciò che la Chiesa professa e insegna. Non possiede un insieme di credenze diverse da quelle che sono contenute nella dottrina della Chiesa Cattolica”.

San Giovanni Calabria: “zero e miseria” vince il diavolo

San Giovanni Calabria: “zero e miseria” vince il diavolo

 Relazione del Prof. Alberto Castaldini[1]

Il titolo propostomi per questo intervento da Padre Paolo Carlin sintetizza felicemente l’esperienza umana e sacerdotale di San Giovanni Calabria, giacché la sua vicenda terrena ci conferma che il santo, e potremmo aggiungere: l’uomo e il sacerdote, è colui che fa dell’umiltà il tratto costitutivo della sua vocazione e la cifra principale della sua azione. Questa genuinità dello spirito, accompagnata a un animo sensibile e introspettivo, partecipe dell’altruità, sviluppa una profonda empatia e porta non solo a consolare i sofferenti, ma a farsi concretamente carico del loro dolore, ispirandosi a tal punto a Cristo da completare, giorno dopo giorno, quello che manca ai suoi patimenti “a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). Il santo assume così sulla propria carne e imprime nel proprio animo le sofferenze del mondo, sviluppando uno speciale carisma della riparazione, sorgente di innumerevoli grazie. Così ogni sua giornata diviene infine un atto di preghiera vivente.

Don Giovanni Calabria (Verona 1873-1954), santo della Provvidenza e dell’Umiltà, che amava definirsi “zero e miseria”, beatificato nel 1988 e canonizzato nel 1999 da Papa Giovanni Paolo II, figura significativa nella vita ecclesiale italiana della prima metà del Novecento, sino alla fine della sua esistenza terrena fu consapevole che – come scrive san Paolo – “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno”, tanto che “li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8, 28-29). Proprio in ragione della sua conformità a Cristo, molte furono le prove e le sofferenze da lui sopportate in vita, inizialmente contrastato nella vocazione sacerdotale poiché i superiori non lo ritenevano di sufficiente ingegno (possedendo in realtà un’intelligenza intuitiva che nella maturità si manifestò nel fornire risposte profonde e risolutive ai quesiti anche di intellettuali), e che invece si rivelò non solo zelante e ispirato fondatore della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza (1932), come del suo ramo femminile, ma profetico esempio per la Chiesa italiana e universale (“apostolo dalle vedute sconfinate”, lo definì il gesuita p. Domenico Mondrone[2]), stimato da protagonisti della vita ecclesiale del suo tempo, come il beato cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, o san Padre Pio da Pietrelcina; fu inoltre pioniere nel dialogo ecumenico con i cosiddetti fratelli cristiani separati: come lo scrittore anglicano inglese Clive Staples Lewis, il pastore luterano svedese Sune Wiman, il metropolita ortodosso romeno Visarion Puiu. Don Calabria fu anche in speciale comunione fraterna con gli ebrei, che sempre stimò e amò dopo che da bambino aveva assistito alle loro cerimonie di culto nella sinagoga di Verona. Durante la persecuzione dell’ultima guerra mondiale portò loro concreto conforto e il rabbino di Verona, memore di questa vicinanza, partecipò al suo funerale cui concorse l’intera cittadinanza.

La sua multiforme dedizione apostolica, il primato della carità e l’abbandono alla Provvidenza divina, l’intuizione verace e lo slancio che animavano ogni suo gesto, la purezza della sua testimonianza spirituale non potevano perciò che unirlo nelle sofferenze a Cristo, supremo modello della sua missione sacerdotale, perché la strada di Gesù verso la gloria è la stessa dei suoi figli (Rm 8,17) e passa attraverso una porta stretta che non esclude il sacrificio. Di ciò il santo sacerdote veronese fu sempre consapevole. Scrisse Don Calabria che le nostre sofferenze, in unione a quelle di Gesù, impreziosiscono le nostre anime e vivificano le opere di Dio. Eppure, con la sua innata umiltà[3], assimilata nella modesta abitazione natale di Vicolo Disciplina a Verona, nella centralissima Contrada Santi Apostoli, dove vide la luce l’8 ottobre 1873, battezzato il giorno di Ognissanti, figlio di Luigi, calzolaio, e di Angela Foschio, sarta e stiratrice, Don Giovanni, già anziano, chiedeva ai confratelli di pregare affinché potesse comprendere il “dono della sofferenza” (nel maggio del 1930 proprio lui aveva dato inizio alla sezione italiana dell’“Apostolato infermi”). I suoi furono dolori non solo fisici ma soprattutto spirituali, che, nonostante i frutti copiosi della sua Opera, gli cagionarono angoscia e disperazione, sia in ragione del male così diffuso nella società, culminato nelle due guerre mondiali le cui privazioni egli sperimentò personalmente, sia per una misteriosa prova interiore, un’offerta di sé per la riparazione dei peccati[4] che lo accompagnò fin dalla giovinezza, e si perfezionò in modo esplicito e per un misterioso disegno pochi anni prima della morte.[5]

A undici anni si ammalò gravemente, gettando nello sconforto la madre che aveva perso già quattro figli, ma guarì provvidenzialmente dopo essere stato in pericolo di morte. La sua vocazione sacerdotale fu a lungo osteggiata in modo a tratti incomprensibile, forse perché grande sarebbe stato il bene da essa scaturito per il riscatto degli orfani e dei giovani in difficoltà attraverso la Casa Buoni Fanciulli da lui fondata nel 1907. Ma la volontà di Dio non si ferma agli ostacoli umani o spirituali, col tempo sapientamente li aggira, e Giovanni venne infine ordinato nel 1901 dal cardinal Bartolomeo Bacilieri, vescovo di Verona. In compenso la sua missione non fu mai disgiunta da un personale calvario. Il cardinale Schuster, che con il sacerdote veronese scambiò – come vedremo – un folto epistolario, ebbe a dire: “Mi pare che in queste sofferenze di Don Calabria ci sia la mano di Dio. Quando vuole adoperare un’anima, la stritola”.[6] Ma se il “servo del Signore” (Is 53,10), cui l’arcivescovo di Milano si riferiva, è strumento della volontà dell’Onnipotente, egli non ne è l’ingiustificata e passiva vittima, in quanto è sì destinatario delle tribolazioni permesse da Dio ma non certo da Lui cagionate, poiché il Padre celeste, fonte primaria dell’amore, desidera solo il bene dei propri figli. Don Calabria fu sempre consapevole che questo era il prezzo per accedere al Regno di Dio (Quaerite primum regnum Dei! fu il motto e impegno suo e dell’Opera, di cui era custode, casante, come ancora oggi si definisce il superiore generale della congregazione). Come ricorda Don Gabriele Amorth “deve essere ben chiaro che il male, il dolore, la morte e l’inferno, il diavolo non sono opera di Dio[7], mentre Satana cerca di convincere l’uomo che Dio non lo ama. Se la sofferenza – affermava perciò cosciente Don Calabria – è “moneta di Dio”, ciò significa solamente che essa può essere elargita a garanzia dei percorsi misteriosi del suo provvidente disegno. Resta il fatto che ogni croce genera anche angoscia, abbandono, esclusione, e negli ultimi anni il santo veronese non temette di affermare che l’ora “terribile” da lui vissuta era “l’ora di Satana”, che induceva a tornare urgentemente al Vangelo nella consapevolezza che l’ora del dolore fisico e spirituale “è anche l’ora di Gesù: è l’ora delle grandi decisioni…Gesù non verrà meno alla sua parola”.[8]

Nonostante le promesse divine, molte ore buie segnarono infatti l’esistenza del santo veronese fino al suo tramonto ed egli ne fu anche scosso, impaurito, nel suo animo così profondamente sensibile che conviveva, alimentandolo, con lo zelo apostolico del fondatore.  Fu lunga la sua “notte oscura”, segnata da stati ansiosi, depressivi e ossessivi, ma Don Calabria trovava la forza di affermare: “Accetto tutto in espiazione dei miei peccati, per l’Opera, per il mondo…”. Alla mente del sacerdote, anziano e fragile, si riaffacciavano forse le parole del suo direttore spirituale, il carmelitano Padre Natale di Gesù del convento veronese degli Scalzi: “Si ricordi che il demonio è uno dei più terribili avversari di Lei, e se potesse precipitarla nell’Adige, sarebbe per lui una grande vittoria e trionfo”.[9] Quindi, egli fu sempre pronto a combattere la sua buona battaglia, sopportandone i colpi violentissimi, rivestito “dell’armatura di Dio” (Ef 6,11). Come san Paolo, Don Calabria comprese di essere stato “afferrato” da Gesù, ma in questa sua chiamata che presentava gioie e dolori non fu un alienato bensì un uomo in costante relazione con Dio e i fratelli, sempre in grado di parlare sinceramente “dei suoi sentimenti profondi, delle sue emozioni, delle sofferenze fisiche e spirituali”, come “del suo corpo, del suo cuore, del suo spirito e della sua coscienza”.[10]

L’antico Avversario di Genesi, lo spirito negatore e distruttore – Padre Natale ne era certo – fu sempre il suo “acerrimo nemico”, poiché Don Giovanni era “tanto amato da Gesù” in quanto “istrumento nelle mani di Dio per compiere opere a bene della Chiesa di Dio”. La purezza di Don Calabria, il profumo della sua santità già in vita (Padre Pio ai fedeli veneti che a lui si rivolgevano nel Gargano consigliava di recarsi dal sacerdote veronese[11]), la genuinità della sua testimonianza scatenavano certamente la furia distruttiva del Maligno, a tal punto che la sua azione persecutoria non gli risparmiò le pene interiori più laceranti, angosciandolo per la temuta inutilità dell’intera sua vita. Come il Curato d’Ars egli non fu esorcista, ma con le sue opere e le sue sofferenze strappò molte anime al diavolo, che in ogni momento “come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare” (1Pt 5,8). Come Giobbe, anch’egli levò il suo grido a Dio, soffrendo ingiustamente ma rimanendo fedele nella speranza della consolazione, infine morendo “vecchio e sazio di giorni” (Gb 42,17). Non a caso, il carmelitano p. Cherubino della Vergine del Carmelo, che divenne suo confessore dopo la morte di p. Natale di Gesù, lo paragonò proprio a Giobbe.

Il citato scambio epistolare intercorso tra il beato Ildefonso Schuster, cardinale arcivescovo di Milano, e san Giovanni Calabria, ci rivela non solo la comunanza di intenti pastorali fra questi due uomini di Dio (Schuster ebbe a cuore e promosse la presenza calabriana a Milano nel borgo periferico di Cimiano), ma sottolinea la condivisa consapevolezza verso l’azione del Maligno, soprattutto nell’ultima fase della vita del veronese, segnata da profonda, quasi inconsolabile sofferenza. Don Calabria cercò il conforto spirituale dell’arcivescovo, che condivise con lui un senso di smarrimento, di incertezza sullo stesso futuro della Chiesa, consapevole però che la disperazione è generata dall’inganno diabolico, dal verbo di falsità che ferisce e indebolisce l’animo dell’uomo.[12] E Schuster non temeva di confidare al sacerdote veronese le sue timorose fragilità, anche nei confronti dell’azione di Satana e del “suo mondo”[13], nel solco di quella humilitas che gli derivava dalla formazione benedettina (Regula Sancti Benedicti VII) ma che fu anche il motto di un suo illustre predecessore sulla cattedra ambrosiana: San Carlo Borromeo. Non fu solo stima amicale a unirli ma anche partecipazione alla passione del Signore, come esorta l’apostolo Paolo, in anni in cui entrambi vedevano maturare “l’ora di Satana” (complice la complessa situazione geopolitica) e, nel contempo, “l’ora di Gesù” per la divina volontà di purificare il presente e il futuro[14]. Schuster ribadì spesso al suo corrispondente che l’unica arma efficace contro il demonio è la santità[15], che Satana “non potrà essere vinto che con armi soprannaturali. Egli è intangibile a tutto il resto. Ha paura solo della santità della Chiesa”[16]. Soprende la sensibilissima attenzione del porporato al presbitero e alle sue sofferenze, tanto che l’arcivescovo gli consigliò di indossare la medaglia di san Benedetto.[17] Attenzione umana così significata da Don Calabria in un appunto scritto con mano malferma e quasi cieco: “Nella mia croce come sento la predilezione di Gesù per Lei. Per questo Satana freme”.[18] L’anno successivo Don Giovanni confiderà al card. Schuster che dopo avergli spedito una lettera ebbe “grandi prove fisiche e spirituali”, ma a un certo punto gli parve di udire una voce dire “basta per ora”, cui seguirono pace e serenità interiori. Un concomitante dettaglio, il primo, molto significativo per cogliere le eventuali strategie vessatorie del Nemico.[19]

La desolazione morale, la notte oscura dell’anima, una melanconia infinita, rivelarono i tratti della persecuzione spirituale protrattasi fino agli ultimi giorni terreni di Don Calabria, allorché una serenità interiore lo pervase a tal punto da indurlo a offrire la sua vita per la guarigione di Papa Pio XII gravemente ammalato (e ricordiamo per inciso come anche a Schuster stesse a cuore la salute del Pontefice, e che l’arcivescovo precedette nella morte Don Calabria, spirando il 30 agosto del 1954).[20] I medici e i collaboratori di Don Calabria testimoniano come il sacerdote soffrisse nella persuasione di aver commesso gravi peccati, di essere lontano dal pentimento, ritenendosi perciò ancor più colpevole e meritevole di castigo. A ciò si aggiungeva anche la frequente impossibilità a pregare, con la mente deturpata da pensieri avversi al Signore e alla fede, come nel cosiddetto “delirio di colpa”, grave stato di melanconia che tormenta le anime, spesso le più elette, tanto da far supporre l’azione straordinaria di uno spirito infernale. Come scrisse il demonologo mons. Corrado Balducci, questa condizione determina “la persuasione di aver commesso gravi peccati e di non potersene pentire, la certezza di non venire perdonato da Dio e della evidente dannazione eterna, la conseguente impossibilità per l’individuo di pregare, comunicarsi […]”.[21] Non sorprende il fatto che in questi casi la mente della persona (anche del sacerdote) può essere angustiata persino da imprecazioni blasfeme, come avvenne per Don Calabria. Non per caso, Don Gabriele Amorth, chiedendo a Padre Candido Amantini che nome avrebbe dato al demonio, si sentì rispondere: “Il suo nome è bestemmia”.

***

Veniamo dunque a illustrare la vicenda sotto il profilo fenomenologico. Don Giovanni Calabria patì duramente come molti altri santi. Tornano alla mente episodi della vita del Santo Curato d’Ars o di Padre Pio, di Santa Veronica Giuliani o di Santa Mariam Baouardy, ma le esperienze vissute dal sacerdote veronese sono forse assimilabili a quelle di Santa Gemma Galgani (1878-1903), la giovane passionista lucchese che abbracciò la croce assegnando alla propria esistenza un significato reale che mutasse il dolore sofferto nell’amore assoluto e incondizionato per Cristo. Non si trattò in entrambi di una conformazione ideale, ma di un patire concreto, che comprendeva pesantissime vessazioni spirituali e fisiche, culminanti in un’ossessione dello spirito che spingeva al dubbio insanabile, al senso di fallimento, alla disperazione, accompagnando Gesù in un doloroso Getsemani quotidiano al punto di superare persino il confine dell’insanabile smarrimento, sperimentando l’angoscia del non-ritorno, pur rammentando in ogni caso che nella buona battaglia il “principio fondamentale della vittoria su Satana è la croce di Cristo per la potenza dello Spirito e l’intercessione della Madonna”.[22]

Nel corso del processo canonico per il riconoscimento delle virtù di Gemma Galgani, la zia Cecilia Giannini descrisse in modo efficace le vessazioni diaboliche cui fu sottoposta la giovane lucchese, e in esse ravvisiamo forte analogie con quanto ebbe a sopportare Don Calabria. La zia di Gemma raccontò che gli spiriti infernali apparivano alla giovane sotto le sembianze di cani, di gatti, di figure umane dalla pelle scura. Mentre la stessa Gemma si trovava in casa, il diavolo le si manifestò minaccioso sotto l’aspetto di un giovane che aveva lavorato come garzone nella farmacia paterna, ma con il quale lei non aveva mai parlato. Eppure quel ragazzo, affermarono i parenti interpellati da Cecilia, non si era mai recato in casa loro. Una religiosa, con riferimento al periodo in cui Gemma si trovava presso le suore Mantellate, descrisse nella sua deposizione le pesanti vessazioni da lei subìte. La religiosa parlò di “angustie di spirito”, “terrori, apparizioni e colpi”, violente percosse fisiche. I testimoni, in altre deposizioni, affermarono come Gemma fosse spesso dissuasa dal Maligno dall’accostarsi ai sacramenti e indotta a proferire espressioni avverse al sacro.[23]

La testimonianza di Santa Gemma può pertanto essere accostata a quella di San Giovanni Calabria (peraltro si vedrà come un filo passionista unisca le due figure). Ci aiuta a farlo il filosofo e teologo Cornelio Fabro, autore di un denso saggio sulla giovane lucchese. Un realismo costante attraversa la sperimentazione della sofferenza in Gemma. Lo stesso lo possiamo cogliere in Don Calabria. Esso, ha scritto Fabro, è nella sua crudezza tale “da porre problemi gravi di teologia”, ai quali, almeno sotto il profilo “esistenziale”, non è facile dare una risposta.[24] Possiamo in tal senso cogliere una specularità tra le sofferenze di Gemma, quella del sacerdote veronese e la Passione di Cristo, in cui però il soprannaturale, sperimentato da una creatura umana e non da Dio che si è fatto carne, è – scrive Fabro – “ancor più doloroso”.[25] Le vessazioni cui fu sottoposto Don Calabria non furono accompagnate come nel caso della santa lucchese da locuzioni con Gesù, che consolarono la giovane nei momenti di maggiore travaglio. Ma il rapporto di Don Calabria con Cristo non fu meno intenso per il tramite sacramentale dell’Eucarestia, nella sua condizione sacerdotale (tanto che l’azione vessatoria nei suoi confronti era diretta ad impedirgli di celebrare la Messa). Singolare in ambedue fu l’apparizione del Maligno sotto le sembianze di un giovane, di bell’aspetto ma con il viso contratto in un’espressione corrotta (in questo caso – si vedrà – fu testimone dell’evento un fratello coadiutore che dormiva in una stanza accanto al letto del sacerdote), ed esprimente parole di minaccia, sfida, scoraggiamento.[26]

La vessazione in entrambi i casi, allorché intaccava l’esercizio della libertà interiore sul piano psicologico, con un grave riflesso nella prostrazione fisica, preparò il terreno a un’ossessione pesante (altrimenti definibile vessazione demoniaca mentale o interna) che si manifestava come premessa o financo anticamera della possessione, giungendo sulla sua soglia, ma che, ad avviso di Fabro, in Gemma, e per quanto ci consta anche in Don Calabria, non ha mai intaccato la piena e duratura unione della libertà interiore con Dio[27], quantunque culminando in pensieri e gesti di disperazione oltre che in moti verbali di avversione al sacro.[28] Tutto ciò ci conferma come la “presenza tenebrosa del Male”[29] non impedisca una misteriosa cooperazione delle anime al piano di salvezza, pur generando eventuali perplessità sul prezzo di tale sofferenza (come fa intendere Fabro, pur profondo conoscitore della vicenda esistenziale di Kierkegaard). Ma il Dio vivente è ineffabile e la sua trascendenza calata nell’immanenza non ci rivela sempre chiaramente l’economia della sua strategia salvifica. Ogni spiegazione diviene in tal senso impossibile alla mente umana e ci riconduce al tema dell’umiltà creaturale, della semplicità. La semplicità d’animo di Don Calabria, che coesisteva con la progettualità profetica del fondatore, dell’infanticabile costruttore di opere, rappresentava un modello di vita per quanti lo conoscevano, e si accompagnava a un cuore introspettivo che si esprimeva nella relazione col prossimo. Questo atteggiamento, come in altri santi, perfezionava una profonda empatia che sfociava nel comune soffrire, conformandosi a Cristo nell’atto della riparazione, camminando lungo quel percorso che conduce alla gloria futura ma che per tutti passa inevitabilmente dal Golgota.[30] Don Calabria fece proprio un carico di sofferenza intimamente lacerante che giunse nei momenti di maggiore disperazione a offuscare persino quella prospettiva d’eternità che si colloca al centro delle promesse divine per l’uomo.

L’aneddotica calabriana riporta molti episodi in cui il confine tra il mondo spirituale e la dimensione terrena appare labile. Anche la documentazione del processo canonico, che elevò il prete veronese agli altari, ne reca puntuale testimonianza, a conferma di come – pur nella sofferenza – in Don Calabria rimanesse la vigilante responsabilità verso le macchinazioni del Maligno (2Cor 2,11) nella fedele adesione a Gesù Cristo.

Allorché all’avvio del suo ministero fu vicario cooperatore a Santo Stefano, antica chiesa di Verona nei pressi dell’Adige, nella casa in cui viveva con la madre e la nipote, dopo un periodo di iniziale tranquillità, seguirono inspiegabili fenomeni fisici. Oggetti e mobili si muovevano da soli, il campanello della porta non dava tregua senza che nessuno lo toccasse e invano si cercò di fissarne il tirante. Lo si avvolse persino con degli stracci, ma fu inutile. Testimoni oculari di questi eventi furono notabili cittadini come il marchese Da Lisca, il prof. Grancelli e Don Pietro Scapini, professore di matematica al Seminario. Anche mons. Luigi Peloso, vicario generale della diocesi, che abitava nei pressi, udì quegli strani rumori e frastuoni. Il parroco di Santo Stefano cercò di bloccare la corda metallica del campanello, avvolgendosi le mani con delle pezze. Mollò la presa prima che la corda gli ferisse i palmi. Una sera, alla presenza di tue testimoni incuriositi da quei fatti, il tavolo al quale stavano improvvisamente si mosse, e la sveglia sul comodino accanto al letto del sacerdote, si spostò. Si udirono in casa forti rumori come di ghiaia scaricata da un carro, di sassi che rotolano, di sonori colpi di martello sull’incudine. Anche Padre Natale di Gesù volle assistere ai fenomeni nella casa di Vicolo Fontanelle. Essi durarono alcuni mesi per poi cessare del tutto.[31] Sembrò trattarsi di un’infestazione locale, l’evento per cui in un luogo abitato o disabitato che sia, si verificano strani e ripetuti fenomeni come suoni, rumori, odori, telecinesi.[32] Differente è, com’è noto, il caso dei disturbi esterni e della vessazione, condizioni che coinvolsero santi come Caterina da Siena, Padre Pio da Pietrelcina (e lo stesso Don Calabria), da intendersi come molestie, fisiche o interiori, che mai si sostituiscono, pur pregiudicandole, alle capacità intellettive e coscienti della persona, recando però disturbo e sofferenza alle anime. Ogni manifestazione di questo tipo, in realtà correlata nelle distinte fenomenologie, è parimenti diretta a contrastare la bontà delle persone e il loro amore per Dio.[33]

Pochi anni dopo i fatti di Santo Stefano, quando l’Opera dei Buoni Fanciulli, grazie alla generosità del conte Francesco Perez, era già stata avviata e il progetto iniziava a dare i frutti sperati, ecco che l’ansia, lo scoraggiamento, iniziarono a tormentare Don Calabria. Padre Natale di Gesù in una lettera del 21 settembre 1913 gli scrisse: “Per obbedienza poi Le comando e Le impongo di mettersi in pace, quieto e tranquillo e tutta la sua responsabilità, tutti i suoi peccati, lasci tutto a carico della mia coscienza, perché io devo rispondere della Sua anima dinanzi a Dio. Per carità, non la dia vinta al demonio…”. Ma notte e giorno non c’era pace per il giovane prete. Notti lunghissime, disperanti, l’impossibilità di raccogliersi nella preghiera, di lavorare per la Casa dell’Opera. Il 30 gennaio di quello stesso anno il fedele confessore aveva osservato in una lettera: “Si ricordi bene: ogni volta che si assenta da codesta Casa senza una giusta ragione e che non sia conforme alla Divina Volontà, è una vittoria per il nostro nemico Satana, il quale poi se ne ride sgangheratamente”.[34] E in una missiva del 1914 p. Natale significò al presbitero la ragione ultima delle sue sofferenze: “Non dimentichi mai che S. Zeno in Monte [sede dell’Opera, ndr] è il suo Calvario, sopra il quale Gesù lo vuole immolato, a gloria Sua, a salute di tante anime, di milioni di anime, e per la santificazione dell’anima della Reverenza Vostra”.[35] Queste parole si sarebbero rivelate profetiche decenni più tardi. Padre Natale ben svolgeva nel suo ruolo di direttore spirituale uno dei mandati che Cristo stesso aveva ascritto al sacerdozio, e cioè di consentire agli uomini di resistere al male fino a sconfiggerlo.[36]

In una notte del 1934 Don Calabria si rifugiò nel Convento degli Scalzi, presso P. Natale di Gesù, per trovare un po’ di pace dagli attacchi delle tenebre. Ciò si era verificato già agli inizi dell’Opera, ma il suo confessore quella volta lo aveva rimandato a casa. Dopo averlo ospitato in una delle celle, i carmelitani udirono nella quiete notturna rumori e gemiti. Entrati nella stanza trovarono il prete tremante e pieno di lividi, tanto da indurli a benedirlo. L’episodio si ripeté quella stessa notte e la benedizione fu rinnovata. Poi Don Calabria si addormentò.[37]

Le vessazioni fisiche di Don Calabria, così simili a quelle che patì Padre Pio, ci sorprendono, ma nello stesso tempo ci inducono a quella cautela che non è espressione di incredulità, ma di ponderata attenzione verso analoghi episodi straordinari, indizi di una vita intensamente spirituale, di una sensibilità certamente fuori dall’ordinario[38], nella consapevolezza che nulla, nemmeno il più feroce persecutore, “potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 39), giacché – per citare Papa Leone Magno –  “colui che è in noi è più forte di colui che è contro di noi, il nostro vigore è in lui, nel confidare nella sua forza. Per questo infatti il Signore ha voluto subire l’attacco del tentatore: per istruirci con il suo esempio e insieme difenderci con il suo aiuto” (Leo I, Homilia XXXIX, 3, ed. T. Mariucci).[39]

Una testimonianza contenuta nella Positio parrebbe indicare in Don Calabria anche la presenza di uno stato dissociativo grave. Racconta fratel Oliviero Prospero: “Ad un certo punto si divincolava, gesticolava, digrignava i denti, faceva boccacce”. Il fratello coadiutore cercava di portargli conforto, rinfrescando il viso e le mani infiammate dal calore con una pezzuola bagnata. Don Calabria in dialetto e con una voce alterata allora esclamava: “Cópelo (uccidilo, ndr) ‘sto prete, questo saco de carbon, questo assassino che mi ruba tante anime. Quando è che muore? Brucialo!”. Passata qualche ora Don Calabria tornava quieto, e talvolta capitava che predicesse l’ora in cui sarebbero cessati questi fenomeni. Diceva a fr. Prospero: “Non spaventarti, non è mica don Giovanni che parla. È un altro che parla per la mia bocca. Porta pazienza ancora fino alle sei”.[40] E a quell’ora tutto finiva. Questi eventi si verificarono a Villa Ugolini, sulle Torricelle – le colline alle spalle di Verona – dove il sacerdote visse negli anni della Prima guerra mondiale.[41] In un’altra occasione preannunciò un prossimo attacco, ingiungendo al confratello di non interloquire in alcun modo con quella presenza. Verificatosi quanto previsto, quella voce che lo pervadeva chiese perentoria: “Cosa fa Don Calabria? Mi porta via tanti giovani…sarebbero tutti miei”.[42] Consapevole di queste improvvise e pesanti vessazioni, il sacerdote ripeteva spesso giaculatorie e invocazioni.

Nella primavera del 1936, mentre Don Calabria si trovava a Casa Nazareth, sulle Torricelle, permise a un collaboratore, fratel Bisello, di dormire in una stanza attigua alla sua per verificare di persona quali fenomeni straordinari, sonori e visivi, si verificassero nel corso delle sue notti tormentate. Il fratello coadiutore accettò quasi per celia ma uscì scosso da quell’esperienza fatta di una presenza visibile di giovane dal bellissimo aspetto, vestito di scuro, presenza fisica ma misteriosa, beffarda nell’espressione rivolta al sacerdote che stava riposando. Quella figura si abbassò in segno di sfida, con le mani appoggiate sul guanciale, al volto di Don Giovanni, e si accomiatò con una sonora risata dissolvendosi nel nulla attraverso la parete della stanza.[43] Di fenomeni apparentemente inspiegabili, ma noti alla letteratura demonologica, fu testimone diretta anche una delle religiose della casa dell’Opera a San Pancrazio, rione nei pressi della città, la quale, ricevuta una telefonata da una voce minacciosa ma simile a quella del Fondatore, pochi istanti dopo trovò alla porta Don Calabria in visita che ascoltò profondamente scosso il racconto. Il sacerdote all’udire i dettagli si turbò in viso, e fu persino colto da un tremito, accasciandosi e chiedendo aiuto al Signore.[44]

Pare di scorgere in tutte queste prove il “pungiglione nella carne” evocato da san Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi (12,7), che lo tormentò per non indurlo in superbia. Tali gravi vessazioni, culminanti come già detto in pensieri ossessivi[45] e fenomeni talora dissociativi, di profonda prostrazione psicologica, non furono comunque in grado di minare totalmente, in modo continuato e prolungato, le basi della volontà di Don Calabria[46], nemmeno quando gli assalti lo colpivano nel corso della Messa a tal punto da indurlo a sospenderla per poi riprenderla. Nel contempo, e la Positio lo attesta, nella sua emotività “potevano determinarsi, al di fuori delle intenzioni di don Giovanni, manifestazioni contrarie alla sua coscienza» (Positio 2b, p. 405). Che esse possano essere culminate in uno sdoppiamento temporaneo della personalità, in quello che si definisce momento della crisi nella possessione per l’azione straordinaria del maligno, va dimostrato, giacché “non necessariamente chi ha vessazioni od ossessioni demoniache è anche posseduto”.[47] La vicenda calabriana presenta a tratti questa ambiguità.[48]

Negli anni della vecchiaia si fece più profondo e radicato il senso di disperazione e abbandono nell’anziano sacerdote: “Non credo più a niente…ho le mani vuote…sono zero e miseria…cosa vuole Gesù da me?”. Egli inoltre lamentava che un “muro di divisione” lo separava da Cristo, tanto da credere di essere da Lui rifiutato per sempre, senza alcuna speranza. “Dio el me leva la presenza”, affermava sconsolato Don Calabria nel suo amato dialetto. L’inganno operava sull’umore e le ideazioni più fosche lo affliggevano, facendogli paventare lo smarrimento della ragione. Ma la vicinanza delle anime, la comunione dei santi lo confortavano: di ciò egli rimase sempre consapevole. Che Don Calabria abbia sperimentato tutto ciò per così molti anni non deve sorprendere, perché il dato della sofferenza umana per causa del Maligno è parte dell’annuncio cristiano, tanto che – come ha scritto Don Renzo Lavatori – “non si può togliere tale aspetto dal vangelo, senza, con questo, cambiare il senso dell’essere e dell’opera di Cristo”.[49] Gli esorcismi operati da Gesù e descritti dagli evangelisti non costituiscono un racconto simbolico, ma una battaglia personale, tanto che il Redentore ordina ai demoni di rivelare il loro nome, dopo che loro hanno osato fare il suo. Il nome nella Scrittura ha, come sappiamo, un significato profondo, che tocca l’essenza della persona. Un episodio colpisce in tal senso. Don Calabria un giorno rivelò che uno dei suoi tentatori si chiamava Asmodeo, confermando quanto riporta la letteratura demonologica in proposito.[50]

Non si deve però considerare che Don Calabria attribuisse con facilità queste prove all’azione del demonio. Uomo e prete di antica quanto solida formazione, ragionava e si esprimeva con innato discernimento, e da queste esperienze sapeva trarre ammaestramenti che condivideva per il bene delle anime, affinché la sua palestra personale potesse irrobustire i fratelli. Per questo affermava che “il demonio tenta in modo speciale con lo scoraggiamento”, ma che proprio per questo occorreva farsi santi a suo dispetto.[51] Ciò non significa demonizzare ogni fenomeno incomprensibile che coinvolge l’uomo (e che la scienza potrebbe spiegare), ma raccomandare criterio nel giudizio, non escludendo nel contempo le indicazioni di quella sensibilità spirituale che proviene solo dall’esercizio assiduo della vita cristiana e dalla pratica della preghiera. Padre Candido Amantini dal canto suo osservò: “noi non neghiamo minimamente i progressi della scienza; ma è contro la realtà, da noi continuamente sperimentata, illudersi che la scienza possa spiegare tutto e voler ridurre ogni male alle sole cause naturali”.[52]

Dunque, nulla di sorprendentemente “paranormale” nella vita del santo prete veronese, piuttosto molto di autenticamente spirituale e perciò non sempre spiegabile con categorie umane, ma comprensibile con quelle evangeliche e teologiche o grazie a metafore efficaci perché imbevute di quella saggezza popolare che Don Giovanni Calabria aveva respirato alla scuola domestica di mamma Angela: “Satana è in catena – amava dire il nostro santo – ma bisogna stare attenti, perché la catena è lunga”.[53] Don Calabria, osservando e benedicendo come soleva fare al termine del giorno la sua città dal colle di San Zeno in Monte, era pienamente consapevole come quella catena fosse in grado di imprigionare il mondo intero e con sensibilità escatologica visse le prove più tragiche dell’umanità nel Novecento. Uno scenario questo che viene solennemente riaffermato dai documenti del Concilio Vaticano II: “Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, destinata a durare, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio” (Cost. Gaudium et Spes, 37).

Tutte queste prove rientrarono comunque in un progetto divino a cui il santo veronese aveva più volte aderito consapevole. Sin dai primi anni di ministero Don Calabria – come ha scritto Don Luciano Squizzato – ebbe del suo sacerdozio una precisa concezione, quella del sacerdos alter Christus, ovvero a suo avviso il sacerdote doveva offrirsi come vittima perché il Signore è per lui “eredità” e “calice”.[54] Giovane prete, egli si offrì da subito come vittima per la crescita dell’Opera, da poco fondata e nella quale aveva infuso tutto il suo zelo, intendendo questa offerta non come qualcosa di temporaneo ma come una scelta definitiva. Il 27 novembre 1907, il giorno seguente all’apertura della prima “Casa Buoni Fanciulli” nell’antico borgo di San Giovanni in Valle, Don Calabria scrisse in chiusura a una lettera indirizzata all’amico Don Pio Vesentini: “Prega perché possa amare il patire”. Naturalmente l’oblazione – che verrà ripetuta nel corso degli anni[55] – implicava una conformazione radicale, financo una identificazione con il modello supremo della vittima, e la conseguente partecipazione al disegno di redenzione salvifica. Il prezzo non poteva che essere elevato: il Golgota personale di Don Calabria fu soprattutto la notte oscura iniziata nel 1949 e conclusasi nell’anno della morte del santo, il 1954. Nel suo diario, il 12 luglio 1950, nel pieno di quella quotidiana sofferenza – come ricorda Don Luigi Piovan, postulatore della Congregazione –, l’anziano sacerdote ribadì la sua offerta personale: “Io, povero ed ultimo servo, da alcuni mesi ho sofferto e soffro ciò che mente umana, così mi pare, non possa capire. […] Offro la mia povera anima alla divina misericordia”.[56]

Squizzato ha sviluppato un raffronto tra l’esperienza calabriana e quella descritta con vertici di mistico afflato nonché di razionale consapevolezza, da san Giovanni della Croce (carmelitano come P. Natale di Gesù). Il quadro di sofferenze interiori che le testimonianze, rese nel processo canonico, delineano è dettagliato, confermando certe pagine del mistico spagnolo: tentazioni contro la fede, contro la speranza, prove cagionate dalla calunnia degli uomini o dall’incomprensione del mondo. Don Calabria, l’abbiamo già accennato, sperimentò anche la tentazione della bestemmia, come confidò al suo successore Don Luigi Pedrollo nel giorno dell’Addolorata del 1950.[57] Tale ossessione lo tormentò sino alla fine della sua esistenza terrena, assieme a un conseguente senso di colpa e di oppressione della coscienza che non temeva di rivelare ai suoi collaboratori con atto di estrema umiltà: virtù quest’ultima avversata da Satana che predilige la debolezza dei superbi. Dello spirito di bestemmia e di smarrimento parla anche san Giovanni della Croce, fornendoci un resoconto degli innumerevoli tormenti operati dal Maligno.[58]

Nell’ultima annotazione sul suo diario, il 29 maggio 1954, sei mesi prima della morte causata da emorragia cerebrale, Don Calabria ribadì la continua lotta interiore di fronte all’instancabile e pervicace azione diabolica: “Ora sono alla fine. Satana mi vuole nello scoraggiamento e miseria”. Nondimeno il vecchio sacerdote si affidava alla divina misericordia. Nel febbraio di quello stesso anno mariano, Don Pedrollo aveva registrato il suo smarrimento e la disperazione per l’indifferenza avvertita di fronte alla Messa: “Mi pare di essere perduto, sulla porta dell’Inferno!”.[59]

Nel santo veronese non venne meno la cognizione che tutto quanto gli accadeva si collocava nella sequela di Cristo, quale intima offerta di sé per il suo piano redentivo e in opposizione al suo ministero. Proprio per la sua esperienza personale, a un prete conterraneo, il venerabile Don Giovanni Ciresola, suo figlio spirituale che aveva gettato le basi del Cenacolo della Carità, raccomandava perseveranza di fronte alle molte difficoltà patite perché gli ostacoli frapposti dal demonio erano il segno che l’opera era voluta dal Cielo. Il vicario Don Pedrollo raccolse questa considerazione del Fondatore:

 

Il diavolo freme, non la vuole quest’Opera…con Gesù siamo onnipotenti contro mille satana…si vede tolta una grande preda…l’ha tanto contro questo povero prete…dopo i tormenti della notte, satana freme…satana è furibondo… umiltà, preghiera e confidenza in Dio mi animano…il nemico si oppone a quello che domanda Gesù.[60]

 

Nonostante ciò in Don Calabria c’era il desiderio di essere aiutato, supportato da “uomini di Dio”, da quelli che lui stesso chiamava “angeli del conforto”. Abbiamo già visto la vicinanza spirituale del card. Schuster. Agli inizi degli anni Cinquanta le sofferenze in lui si acuirono a tal punto che attraverso un medico di fiducia chiese aiuto a Padre Pio da Pietrelcina, il quale assicurò che avrebbe pregato “con tutta l’anima” per il prete veronese e per il suo dottore aggiungendo però che Don Calabria era giunto, “vicino al Signore”, “sulla via della grazia”, a tali altezze difficilmente raggiungibili dalla scienza medica.[61] Ad analoghe conclusioni giunse un illustre clinico che lo ebbe in cura, il prof. Cherubino Trabucchi, direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Verona, il quale diasgnosticò una “melanconia con associata una psiconevrosi ossessiva”, allorché nella testimonianza resa nella testimonianza per la Positio definì Don Calabria “un martire dell’amore attraverso una sofferenza tragica di ordine psichico, potenziata spiritualmente”.[62] Trabucchi, nella sua testimonianza resa al processo canonico, osservò che in Don Calabria non riteneva “giustificate” le “drastiche cure, e ormonali e di elettroshock che gli furono applicate” e che mai vide soffrire un paziente come lui, in quanto – continuò – “i mali del mondo e soprattutto il peccato del mondo lo accasciavano tremendamente e lo facevano soffrire indicibilmente”.[63] Pertanto, affermare, com’è accaduto anche di recente, che il santo veronese fosse affetto sostanzialmente da episodio depressivo maggiore e da nevrosi ossessiva, cui sarebbe stata di beneficio la terapia elettroconvulsivante, denota forse una prospettiva limitata sia della vicenda personale di Don Calabria, sia della stessa dimensione umana nella sua complessità antropologica.

Nella vicenda personale di Don Calabria si riscontrano i sintomi della depressione maggiore, con un persistente senso di colpa che generava autorecriminazioni di tipo morale e spirituale, con persistenti ideazioni ossessive che lo prostravano. Ma i sintomi non sembravano risolversi con le terapie, anzi parevano peggiorare, mentre il conforto della preghiera come della relazione/direzione spirituale ne attutiva gli effetti, sollevandolo temporaneamente. Si manifestavano inoltre i segni di un disturbo ossessivo, caratterizzato dalla “invasione di pensieri e desideri negativi e peccaminosi, sentimenti di stanchezza psichica, sfiducia, scoraggiamento e perfino disperazione […]”:  una condizione di sofferenza che genera un senso di fallimento totale di sé, arrivando a includere impulsi autodistruttivi e al suicidio. L’ambito dei temi nella ossessione di origine demoniaca è solitamente concentrato nella dimensione della vita spirituale: blocco della preghiera e improvvisa avversione al sacro (oggetti, pratiche devozionali).[64]  Nella Positio si può ritrovare manifestazione di tutti questi sintomi[65]. Che l’azione straordinaria del Maligno abbia perciò  trovato una breccia nella spiccata sensibilità, come nella sofferente fragilità, di Don Calabria («Diceva di se stesso di essere “una pianta sensitiva” che sente tutto»[66]) è più che probabile[67], ma appare semplicistico ricondurre a fattori esclusivamente organici o psichici episodi dolorosi così ricorrenti e radicati, nonché avvalorarne il loro rimedio attraverso terapie invasive.[68] All’indagine scientifica – le parole del prof. Trabucchi lo confermano – non è possibile stabilire con argomentazioni teorico-empiriche che le ossessioni o le possessioni sono, ad esempio, problemi di scissione o proiezione. Essa può certamente fare luce, indagando, su queste fenomenologie, ma non può spiegarle in modo definitivo o generalizzato. La soggettività del caso, nella sua complessità interiorizzata, costituisce e resta un dato centrale.[69]

Concludendo, lungo la sofferenza di ogni uomo si snoda un sentiero di purificazione che introduce a una piena dimensione di grazia. Un vissuto come quello calabriano sotto il profilo teologico rappresenta una sintesi mirabile di dimensione antropologica, psicologia umana e tensione mistica. Esso costituisce un paradigma umano, creaturale, prima che un caso clinico e dovrebbe essere interpretato anche in questa arricchente prospettiva. Persino il Vangelo ci attesta lo stato di melanconia che assalì gli apostoli alla vigilia della Passione, esponendoli all’influsso dell’Iniquo, cui seguì però immediata l’esortazione liberatoria di Gesù: «Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”» (Lc 22, 45-46).

La sofferente e nel contempo gioiosa santità di Don Giovanni[70] (in vita ebbe sì a soffrire, ma di lui si ricorda tra i fedeli il spontaneo sorriso di intima autenticità e l’arguzia nelle espressioni) va riconosciuta anche e soprattutto nella sua dedizione paterna verso l’uomo povero, assetato di Dio e da Lui chiamato, il tutto svolto in quella piena consapevolezza della quale il Maligno è acerrimo nemico. Egli stesso ammonì che “il nemico si oppone a quello che domanda Gesù”, e “se ne ride dei nostri piani e delle nostre industrie separate dalla santità”, rimanendo consapevole che “il grande conduttore della grazia di Dio è il dolore”.[71] Negli ultimi anni della sua esistenza, a partire dal 1947, il santo ricevette una serie di lettere confortanti scritte da P. Adalberto Cerusico, un religioso passionista a conoscenza del suo stato, simili nello stile a quelle di P. Natale di Gesù, morto nel 1941. Una delle missive così recitava, spronandolo: “tutto ciò che l’opprime, sia che venga dai demoni, dagli uomini, dal Cielo: tutto è opera dell’Amore. Amore di Dio, Amore di Maria, per un disegno di amore salvifico, a gloria di Dio”.[72] Padre Cerusico visitò di persona Don Calabria solo nel settembre del 1954, dopo essere stato a san Giovanni Rotondo da Padre Pio, il quale in quell’occasione gli disse che le sofferenze del prete veronese presto sarebbero cessate e che avrebbe ricevuto consolazione.[73] Don Calabria morì il 4 dicembre di quello stesso anno, ultimo primo sabato del mese dell’Anno Mariano.[74]

Si è detto come Don Calabria vivesse queste esperienze fuori dall’ordinario con grande sofferenza, ma come nel contempo conservasse il necessario discernimento verso ogni fenomeno soprasensibile di natura religiosa. Egli visse un’epoca segnata da due conflitti mondiali con immense rovine, animata da grandi aspettative dopo i molti patimenti, e caratterizzata da frequenti episodi di misticismo. A Verona nell’immediato secondo dopoguerra si segnalarono ripetuti fenomeni mistici che Don Calabria osservò con scetticismo, tanto da dire: “trucco, isterismo e il demonio concorrono bene spesso in questi casi di pseudomisticismo e il demonio lavora sovente sulla povera natura malata”. [75] Sulla “Rivista del Clero Italiano” (marzo 1953) intervenne infatti con un articolo contro il falso misticismo. Ma di fronte ai celebri fatti della Madonna delle lacrime di Siracusa (agosto-settembre 1953) il suo atteggiamento dubbioso scomparve.

Nel suo cuore – vogliamo così pensare – Don Calabria comprese, di fronte alle straordinarie manifestazioni della Madre di Dio, Mediatrice universale di grazie, l’importanza del sacrificio personale, delle proprie lacrime, sempre credendo, nonostante le molte traversìe patite, nel sacerdozio che tanto aveva desiderato, restando perciò, sino alla fine, saldo nelle parole accorate contenute nella Prima lettera di Pietro: “non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1Pt 4, 12-13).

 

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NOTE:

[1]  Alberto Castaldini, nato a Verona nel 1970, dottore di ricerca in Filosofia, è docente di Studi ebraici e membro della Facoltà di Teologia Greco-Cattolica dell’Università “Babes-Bolyai” di Cluj in Transilvania, e tiene corsi presso il Dr. Moshe Carmilly Institute for Hebrew and Jewish History del medesimo ateneo, di cui è professore onorario. È professore invitato al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma e allo Studio Teologico San Zeno di Verona. Tiene regolarmente seminari presso il Goldstein Goren Center for Hebrew Studies dell’Università di Bucarest, di cui è membro associato. Collabora inoltre con la Facoltà di Teologia Romano-Cattolica dell’Università di Bucarest. Ha tenuto su invito seminari agli studenti e ai dottorandi nelle Università di Trento, Genova, Verona, Ferrara, Cattolica di Brescia, Bergamo, Statale di Milano. È socio effettivo dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, dell’Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova, membro onorario dell’Istituto di storia “Nicolae Iorga” dell’Accademia Romena delle Scienze di Bucarest, doctor honoris causa in Storia dell’Università di Alba Iulia (Romania). È membro del comitato editoriale delle riviste scientifiche “Studia Hebraica” (Università di Bucarest) e “Studia. Theologia Catholica” (Università di Cluj). Già membro del comitato di redazione della rivista “Aggiornamenti Sociali” (Centro San Fedele, Milano). È giornalista professionista iscritto all’albo dal marzo 2000. Dal 2006 al 2010 ha ricoperto l’incarico di direttore per chiara fama dell’Istituto italiano di cultura di Bucarest e di addetto culturale dell’Ambasciata d’Italia in Romania. Nel dicembre 2016 la Santa Sede gli ha conferito la Commenda dell’Ordine di San Gregorio Magno.

 

 

[2] D. Mondrone, Don Giovanni Calabria, umile e docilissimo strumento della Provvidenza, “La Civiltà Cattolica”, IV, 1979, n. 3107, p. 444.

[3] Nota la sua proverbiale espressione in dialetto veronese: “Buséta e tanéta”, cioè vivere sprofondato in una piccola buca, in una piccola tana, lontano dalle luci del mondo in un’umiltà assoluta.

[4] “Divenne un’antenna sensibilissima a tutti la risacca dei mali presenti e di quelli che si preparavano, con particolare riflesso per il popolo di Dio” (D. Mondrone, op. cit., p. 445).

[5] Per le notizie biografiche sul santo presbitero rimandiamo alla letteratura sul tema, promossa dalla sua congrezione, tra cui ricordiamo: Ottorino Foffano, Don Giovanni Calabria, Regnum Dei Editrice, Verona 1959; Giovanni Gadili, San Giovanni Calabria, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1999. Di grande utilità la sintesi della documentazione probante l’esercizio eroico delle virtù nella causa di beatificazione del sacerdote veronese: Positio super virtutibus servi Dei Ioannis Calabria, Roma 1984; 1) Veronensis canonizationis servi Dei Ioannis Calabria sacerdotis fundatoris Congregationum Pauperum Servorum ed Pauperum Servarum Divinae Providentiae 1873 – 1954, relazione del P. Valentino Macca di S. Maria, O.C.D. relatore della causa, pp. 1-15;
2) Sacra Congregatio pro Causis Sanctorum, Veronensis canonizationis servi Dei Ioannis Calabria sacerdotis fundatoris Congregationum Pauperum Servorum et Pauperum Servarum Divinae Providentiae 1873-1954. Positio super virtutibus, Roma 1984, a: Informatio super vita et virtutibus, pp. 1-132. b: Summarium, pp. 1-685. Di seguito Positio 2a e 2b.

[6] Cit. in O. Foffano, op. cit., p. 412.

[7] Cit. in G. Amorth, Dio più bello del diavolo. Testamento spirituale, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2016, p. 67.

[8] Cit. in M. Gadili, op.cit., p. 384.

[9] Cit. in O. Foffano, op. cit., p. 409.

[10] Rinaldo Fabris, Tutto per il Vangelo. La personalità, il pensiero, la metodologia di Paolo di Tarso, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, p. 28.

[11] Il card. Carlo Maria Martini affermò in una pubblica occasione a Milano: “Don Calabria è una figura straordinaria che tiene bene il confronto con Padre Pio. Sotto certi aspetti, anzi, è più completo di P. Pio. Certo, non bisogna paragonare i santi. Entrambi sono grandi mistici, ambedue hanno operato nell’apostolato. Però, P. Pio nell’apostolato del confessionale, mentre don Calabria ha avuto un’apertura universale nella carità, per tutte le necessità, e con il suo impegno ecumenico si è spinto anche oltre i confini della Chiesa” (“Corriere della Sera”, 9 maggio 1999)

[12] Sull’inganno diabolico in generale si veda l’attenta disamina di Francesco Bamonte in Possessioni diaboliche ed esorcismo. Come riconoscere l’astuto ingannatore, Paoline, Milano 2006.

[13] Lettera del 4.3.1950, in G. Calabria, I. Schuster, Le lettere (1945-1954), prefazione di C.M. Martini, introduzione di I. Biffi, Jaca Book, Milano 2000, p. 96

[14] Lettera del 29.8.1951, ivi, p. 139.

[15] Lettera del 19.12.1946, ivi, p. 57.

[16] Lettera del 7.7.1951, ivi, p. 131.

[17] Lettera del 27.7.1949, ivi, p. 83.

[18] Lettera del 18.12.1950, ivi, p. 115.

[19] Lettera del 10.12.1951, ivi, p. 151.

[20] O. Foffano, op. cit., p. 434. L’episodio è stato così ricostruito: «La mattina del 3 dicembre del 1954 al Padre, già molto sofferente, comunicano che il Papa Pio XII è molto grave. Risponde: “Offro volentieri la mia vita per il Papa”. Dopo non molto tempo dice: “Sento che il Signore ha accettato questa offerta”. Dopo un altro po’ dice: “Mi sembra che il Signore mi venga incontro! Sento che il Signore mi è vicino”. Le ultime sue parole furono dedicate a Maria, prese da una canzoncina popolare: “Quando penso alla mia sorte, che son figlio di Maria, ogni affanno, o Madre mia, si allontana allor da me”. Poi si assopì in un sonno tranquillo. Nel tardo pomeriggio, vedendo che non si risvegliava, il medico capì che si trattava di una emiplagia cerebrale destra. Tentarono alcune cure, ma non riprese più conoscenza. Morì un’ora dopo la mezzanotte, il 4 dicembre, primo sabato del mese nonché ultimo sabato dell’anno mariano. Il Papa, inspiegabilmente si riprese e visse ancora a servizio della Chiesa per alcuni anni» (Giacomo Cordioli, La devozione a Maria nella vita di San Giovanni Calabria, “Rivista di Studi Calabriani”, Verona, a. X, 2008, pp. 110).

[21] C. Balducci, La possessione diabolica, Ed. Mediterranee, Roma 1974, p. 151.

[22] G. Cavalcoli, La buona battaglia. Saggio teologico sulla lotta contro il demonio, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1986, p. 55.

[23] Antonio Calabrese, Santa Gemma Galgani, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, pp. 172-173.

[24] C. Fabro, Gemma Galgani, testimone del soprannaturale, Ed. CiPi, Roma 1985, p. 189.

[25] Ibidem.

[26] Ivi, pp. 195-196; Romolo Lodetti, I fioretti di Don Calabria. Episodi, fatti, incontri, dialoghi, presentazione di Mons. Maffeo Ducoli, vescovo di Belluno-Feltre, Edizioni Dehoniane, Roma 1999, p. 256.

[27] Così riporta la Positio: “La coscienza di don Giovanni rimase costantemente identica sia nel suo aspetto positivo di promozione della vita di fede e di morale, sia nel suo comportamento critico di ogni idea… Il profondo della sua personalità non fu mai compromesso e la sua attività raziocinante non scomparve mai” (Positio 2b, p. 405).

[28] C. Fabro, op. cit., p. 199.

[29] Ivi, p. 203. Sta scritto nella Positio che la sintomatologia presentata da Don Calabria era costituita dai “segni di una terribile sofferenza e della reazione che una persona eminente per virtù dispiega contro il mistero del male che tenta di scardinare i fondamenti della personalità” (Positio 2b, pp. 404-405).

[30] Spicca l’esempio della grande mistica cappuccina santa Veronica Giuliani che nell’esistenza terrena sopportò umiliazioni e sofferenze ritenendosi come mediatrice (o “mezzana”) della salvezza dei peccatori e la liberazione delle anime purganti. Sul tema si veda il volume di Renzo Lavatori, Il patire e l’amare. L’ardore serafico di Veronica Giuliani, Monastero San Silvestro Abate, Fabriano (Ancona) 2013.

[31] O. Foffano, op. cit., pp. 120-123.

[32] Essa deve essere intesa come “una molestia che il demonio direttamente esplica in un luogo o sulla natura animata inferiore (regno vegetale e animale), per arrivare poi indirettamente all’uomo, al quale è sempre orientato il carattere malefico del disturbo”. C. Balducci, Il diavolo, Mondadori, Milano 1994, p. 207.

[33] Sulla casistica e la riconoscibilità dei diversi casi di azione straordinaria rinviamo al recente ed esaustivo studio di P. Paolo Carlin: De cura obsessis. Riconoscere i casi di possessione diabolica, intervenire e accompagnare le persone con problemi spirituali, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017.

[34] O. Foffano, op. cit., p. 203.

[35] Ivi, pp. 424-425.

[36] Con l’annuncio della Parola di Dio, con l’esercizio del ministero sacramentale, con la cura delle anime, il sacerdote – ha osservato il domenicano p. Giovanni Cavalcoli – dona quella “luce di verità” che è arma e difesa per i fedeli, fornisce “quella vita e quella forza soprannaturali” indispensabili nella lotta contro il Maligno e ogni sua iniquità. G. Cavalcoli, op. cit., pp. 31-32.

[37] R. Lodetti, op. cit., pp. 240-241.

[38] Un ritratto spirituale in cui si sottolinea questa spiccata sensibilità di Don Calabria, unita a una volontà salda e a un spiccato senso di libertà, è in sintesi contenuto in Storia della spiritualità italiana, a cura di P. Zovatto, Città Nuova, Roma 2002, pp. 669-677 (contributi di C. Cargnoni, A. Gentili, M. Regazzoni, P. Zovatto). Ricordiamo poi l’accurato saggio di P. Graziano Pesenti: Don Giovanni Calabria, profilo ascetico-biografico, Casa Buoni Fanciulli, Verona, 1967.

[39] Il credente deve sempre considerare che la potenza del diavolo “non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire l’edificazione del Regno di Dio. Sebbene Satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo Regno in Cristo Gesù, e sebbene la sua azione causi gravi danni – di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica – per ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina Provvidenza, la quale guida la storia dell’uomo e del mondo con forza e dolcezza” (Catechismo della Chiesa Cattolica 395).

[40] Positio, Summarium, p. 151.

[41] Luciano Squizzato, Il voto di vittima e la notte oscura di Don Calabria, in Id.,“Un incarico divino…”. Il “voto di vittima” e la riparazione in San Giovanni Calabria, “Rivista di Studi Calabriani”, Verona, a. VIII, 2007, vol. II., p. 80 nota.

[42] R. Lodetti, op. cit., pp. 243.

[43] Ivi, p. 256.

[44] Ivi, pp. 242-243. In un’altra occasione Don Calabria si aggirava in preda a grande agitazione nella stanza e con voce alterata diceva: “Io sono….e sono morto in questo punto e sono all’inferno” (R. Lodetti, op. cit., p. 244). Sempre con voce alterata ingiunse a un confratello di mettere da parte un rosario, e gli chiese se gli volesse bene. Il religioso rispose che voleva bene a Don Calabria, memore della raccomandazione ricevuta di non parlare con il demonio (ibidem).

[45] “Il quadro ossessivo è con discreta frequenza associato alla malinconia, pure avendo una sintomatologia sua caratteristica, che consiste in una eccessiva meticolosità e in una specie di coazione a compiere determinati gesti o pronunciare determinate parole o fissare determinati pensieri. Il malato, pur essendo consapevole della non importanza di questa coazione, non è capace di liberarsene ed entra così in uno stato di sofferenza, anche grave” (Positio 2b, p. 517).

[46] La personalità di Don Calabria univa a una spiccata sensibilità verso l’altro, il prossimo, i fratelli, i “buoni fanciulli”, i poveri della città, una convinta determinazione nella sua azione apostolica: “Aveva ottime capacità di dominio… Sapeva anche andare contro corrente con un rifiuto od un “no” se non vedeva chiaramente» (Positio 2b, p. 517). Nella Positio così si sintetizza efficacemente la personalità calabriana: “Animo percettivo e volontà solida” (Positio 2b, pp. 394-395). Certamente nell’ultima fase della sua esistenza questi tratti riconoscibili ebbero a mutare in ragione delle sofferenze quotidiane.

[47] F. Bamonte, op. cit., p. 83.

[48] Va inoltre precisato che, a quanto risulta, Don Calabria non fu mai sottoposto ad esorcismo.

[49] R. Lavatori, Satana, un caso serio. Studio di demonologia cristiana, EDB, Bologna 1995, p. 40. Pur vero è che «Satana si mostra come colui che sta all’opposto di dove sta Cristo, che possiede uno spirito del tutto contrario a quello di Cristo, che compie azioni agli antipodi di quelle di Cristo (1 Gv 2, 22). Per conoscere dunque chi è e cosa fa Satana occorre conoscere chi è e cosa fa Cristo, poiché solo la parte positiva fa capire quella negativa. La rivelazione di Cristo corrisponde anche alla rivelazione di Satana, il “mysterium salutis” illumina anche il “mysterium iniquitatis”» (Ivi, p. 407).

[50] R. Lodetti, op. cit., p. 245. Il cui nome è citato nel libro deuterocanonico di Tobia, dal persiano aeshma daeva ossia “spirito dell’ira”, demone distruttore. Cfr. José Antonio Fortea, Summa Daemoniaca. Trattato di Demonologia e Manuale dell’Esorcista, Tre Editori, Roma 2008, p. 24.

[51] R. Lodetti, op. cit., p. 234-235

[52] Padre Candido Amantini, presentazione a Gabriele Amorth, Un esorcista racconta, Edizioni Dehoniane, Roma 1991, p. 8.

[53] R. Lodetti, op. cit., p. 237. Possediamo la descrizione di un sogno significativo che fece Don Calabria: «Una di queste sere a Negrar il Venerato Padre Don Giovanni fece questo sogno (o più che sogno). Gli pareva di vedere Satana che era [un] gran brutto ceffo [e che] gli dice: “Io odio Dio e per questo odio te e l’Opera che cerca solo Dio, ma io farò di tutto per annientarla!”. Don Giovanni restò molto impressionato e raccontò il sogno anche al [suo] confessore Padre Cherubino» (L. Squizzato, op. cit., p. 87). Il sogno è descritto in una cronaca del marzo 1949 all’inizio della grande sofferenza che il sacerdote patì fino alla morte.

[54] L. Squizzato, op. cit., p. 32 e nota.

[55] Ivi, p. 34 e ss.

[56] Luigi Piovan, San Giovanni Calabria: “La santità dalla sua umanità”, “Rivista di Studi Calabriani”, Verona, a. VIII, 2007, vol. I, p. 74.

[57] Circa la blasfemia la Positio riporta ad esempio: “[…] ebbe l’ossessione di avere sulla punta della lingua parolacce, bestemmie; temette di essere abbandonato da Dio e di non essere compreso dai suoi stessi figli» (Positio 2b, p. 400); “La sintomatologia ossessiva da cui il Servo di Dio era in certi momenti tormentato, lo portava alla tentazione coatta, a pronunciare parole oscene o bestemmie. A ciò reagiva con estrema sofferenza e con grande consumo di energie… Mi è stato riferito che una volta una di tali bestemmie sarebbe sfuggita…” (Positio 2b, p. 221).

[58] L. Squizzato, op. cit., pp. 80-81.

[59] Ivi., p. 91.

[60] R. Lodetti, op. cit., p. 255.

[61] Ivi, p. 251.

[62] Ivi, p. 255, corsivo nostro

[63] L. Squizzato, op. cit., p. 108.

[64] Cfr. sul tema: Héctor de Ezcurra, La diagnosi differenziale tra i disturbi psicopatologici e l’azione straordinaria del demonio, in Associazione Internazionale Esorcisti (ed.), Atti del Convegno Internazionale, “Fraterna Domus” – Sacrofano Roma, 24-29 settembre 2018, AIE, Roma 2019, pp. 199-200; 202-203.

[65] Era il 1950: “[…] una volta si sedette sul davanzale della finestra quasi per buttarsi nel sottostante cortile; ripeteva in continuità le solite frasi espressive di idee fisse di delitti da lui compiuti…» (cfr. Positio 2b, pp. 399-400).

[66] Positio 2b, p. 394.

[67] In questi termini si espresse il card. Pietro Palazzini, prefetto della Congregazione dei Santi, nel corso  della plenaria del 1° dicembre 1985 alla presenza dei cardinali riunitisi per il voto sull’eroicità delle Virtù di don Calabria: “Il Suo scontro con Satana durò tutta la vita, ma sempre nell’ombra. L’affermazione che un influsso malefico demoniaco sia stato esercitato su Don Calabria, tenuta presente la sua personalità, non può essere considerata pretestuosa o diminutiva della sua grandezza spirituale. Per chi non accettasse l’influsso malefico del diavolo, rimane vero, ipoteticamente, che nel quadro psicofisico del Servo di Dio le sue convinzioni religiose abbiano raggiunto apici cosi alti da determinare momenti drammatici di sofferenza e di angoscia, nei quali l’idea satanica personificava tutte le difficoltà che si opponevano alla realizzazione dell’Opera che egli si sforzava di portare avanti. […] Se poi si tien presente che Don Calabria, pur non avendo avuto visioni di figure e simboli demoniaci (un dato però che le testimonianze sembrerebbero disconfermare, ndr), ebbe esperienze sensibili di realtà sataniche, l’interpretazione più ragionevole e maggiormente nella logica della fede è che l’intervento del maligno abbia accentuato i processi di alterazione fisica e psichica del Servo di Dio per gli stessi motivi per cui nell’ora delle tenebre si avvicinò a Cristo a rendergli più difficile il suo sacrificio” (cit. in L. Piovan, op. cit., p. 96).

[68] Cfr. veda sul tema: G. Amorth, Esorcisti e psichiatri, Edizioni Dehoniane, Roma 1996, pp. 192-205. Nella prospettiva del superamento di una antropologia dualistica, che tenga conto dell’esperienza sacramentale a fronte del “disagio dell’anima”, si veda il volume: Silvio Zonin, Alberto D’Auria, I disagi dell’anima e l’esorcismo. Liberazione e guarigione interiore nel percorso pastorale e terapeutico, SugarCo, Milano 2017.

[69] Cfr. sul tema Pio Scilligo, Molteplicità dei sé e possessioni, in Manlio Sodi (a cura di), Tra maleficio, patologie e possessione demoniaca. Teologia e pastorale dell’esorcismo, Ed. Messaggero, Padova 2003, pp. 65-78.

[70] Scrisse Mons. Franco Costa (1908-1977), vescovo di Crema: “Quando si usciva da don Calabria, si sentiva la gioia grande del santo, ma si sentiva il mistero della sofferenza” (cit. in cit. in L. Piovan, op. cit., p. 79).

[71] R. Lodetti, op. cit., pp. 257-258

[72] O. Foffano, op. cit., pp. 423-424.

[73] P. Cerusico, come attesta il Summarium della Positio, dichiarò: «Intravvidi che la sua sofferenza era causata da una positiva volontà di Dio a completare nelle sue sofferenze […]» (cit. in L. Piovan, op. cit., p. 77).

[74] L. Squizzato, op. cit., p. 77n.

[75] O. Foffano, op. cit., p. 379.

Linee guida per il ministero dell’esorcismo”, un vademecum di dottrina e prassi alla luce del nuovo Rituale

Da articolo di LA STAMPA: https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/libri/2020/07/14/news/linee-guida-per-il-ministero-dell-esorcismo-un-vademecum-di-dottrina-e-prassi-alla-luce-del-nuovo-rituale-1.39082435

Linee guida per il ministero dell’esorcismo”, un vademecum di dottrina e prassi alla luce del nuovo Rituale

Curato dall’Associazione Internazionale Esorcisti e pubblicato dalle Edizioni Messaggero Padova un testo fondamentale per far luce sull’azione del maligno.

 

TORINO. Negli ultimi anni, l’azione diabolica è oggetto di notevole interesse nel mondo occidentale, in particolare riguardo al fenomeno della possessione e al ruolo che svolgono gli esorcisti nel ministero di liberazione. Come ha rilevato il cardinale Bassetti, presidente della CEI, «esistono nel mondo delle periferie esistenziali dove è sempre inverno, dove l’aria è impregnata di paura. Il boss di queste periferie è il maligno che, come ricorda papa Francesco, non è “un mito, una rappresentazione, ma un essere personale che ci tormenta” e riguardo al quale Gesù ci ha insegnato a chiedere ogni giorno di essere liberati “perché il suo potere non ci domini”». Tuttavia, molto spesso la percezione dell’azione del maligno è distorta e l’esorcismo cattolico è visto come «una realtà scabrosa, violenta, oscura quasi quanto la pratica della magia, […] sullo stesso piano delle pratiche occulte».

Il libro “Linee guida per il ministero dell’esorcismo”, pubblicato inizialmente in forma riservata per i membri dell’Associazione Internazionale Esorcisti, è ora disponibile in un volume pubblicato dalle Edizioni Messaggero Padova (EMP). Il testo, curato dall’Associazione Internazionale Esorcisti, fornisce anzitutto ai sacerdoti esorcisti gli elementi fondamentali per esercitare il loro servizio. Si tratta di uno strumento prezioso, frutto dello studio e dell’esperienza di molti esorcisti, il quale, pur non essendo un documento magisteriale, è stato esaminato e corretto dai Dicasteri competenti della Santa Sede. La decisione di rendere il testo fruibile a tutti offre l’occasione di mettere ordine sulla questione dell’azione diabolica e della liberazione da essa, per evitare di cadere in pericolosi inganni e illusioni; questa trattazione è di particolare interesse e andrebbe raccomandata a tutti i sacerdoti che esercitano il servizio pastorale nelle comunità.

Il punto fondamentale dal quale parte l’attività esorcistica è la Divina Provvidenza: Dio si prende cura in modo concreto e immediato di tutte le sue creature. Tuttavia, il male è presente nel mondo, favorito e stimolato dall’azione diabolica che avviene in modo ordinario (attraverso la tentazione) e in modo straordinario (attraverso fenomeni come la possessione, l’ossessione, la vessazione e l’infestazione, di cui viene fatta un’adeguata trattazione). Questo non deve spaventare, perché Dio è il più forte; anche le azioni straordinarie del maligno sono da Dio permesse per manifestare la Sua misericordia, la quale, come ricorda san Giovanni Paolo II, «non consiste soltanto nello sguardo, fosse pure il più penetrante e compassionevole, rivolto verso il male morale, fisico o materiale: la misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell’uomo» (cfr. Dives in misericordia, n. 6).

Il testo si sofferma, con spiegazioni ed esempi, su alcuni comportamenti che possono diventare causa occasionale per l’azione straordinaria del maligno, in particolare la superstizione e i malefìci. Non sempre tale azione si verifica: spesso, però, di fronte ai guai della vita, alcuni concludono che “tutto va storto” perché “qualcuno ci sta facendo qualcosa”… ma questo può essere un alibi che distoglie dall’insegnamento più importante. Infatti, come sosteneva il famoso esorcista padre Gabriele Amorth, «il primo e autentico male per l’uomo è il peccato; salvaguardare e accrescere la propria comunione con Dio, per mezzo di una vita di fede, di preghiera, di sacramenti e di carità operosa, è la vittoria contro l’azione ordinaria del demonio ed è insieme la migliore prevenzione contro la sua azione straordinaria».

La parte centrale è dedicata al discernimento dei segni dell’azione straordinaria del maligno; questo richiede una formazione specifica, in particolare per l’accertamento della presenza del maligno (azione preternaturale) e l’accompagnamento del paziente, soprattutto nel coltivare un’autentica vita spirituale. Infatti, come ha affermato Papa Francesco, il pericolo maggiore per il cristiano è la corruzione spirituale: «Coloro che non si accorgono di commettere gravi mancanze contro la Legge di Dio possono lasciarsi andare ad una specie di stordimento o torpore. Dato che non trovano niente di grave da rimproverarsi, non avvertono quella tiepidezza che a poco a poco si va impossessando della loro vita spirituale e finiscono per logorarsi e corrompersi. La corruzione spirituale è peggiore della caduta di un peccatore, perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità, poiché “anche Satana si maschera da angelo della luce” (2 Cor 11,14)» (cfr. Gaudete et exultate, nn. 164-165).

Infine, nel libro viene anche spiegato il rito dell’esorcismo, di esclusiva competenza del sacerdote esorcista: evitando ogni genere di sensazionalismi, si mette in luce il fatto che l’agente principale è Cristo Dio, mentre l’esorcista è uno strumento che agisce secondo il rito stabilito dalla Chiesa. Non è la ricerca della formula esorcistica più potente, né particolari “poteri” del sacerdote che ne determinano l’efficacia, sulla quale vengono fornite rilevanti argomentazioni teologiche.

“Linee guida per il ministero dell’esorcismo. Alla luce del rituale vigente”, Associazione Internazionale Esorcisti (a cura), 1a edizione 2020, pagine 306, in Libreria da Maggio 2020.

Vai alle edizioni Messaggero Padova:

http://www.edizionimessaggero.it/ita/catalogo/scheda.asp?ISBN=978-88-250-5206-0

 

 

 

 

Circa la beatificazione del dott. José Gregorio Hernandez e la strumentalizzazione da parte della Santeria

CIRCA LA BEATIFICAZIONE

DEL DOTT. JOSÉ GREGORIO HERNANDEZ

E LA STRUMENTALIZZAZIONE DA PARTE DELLA SANTERIA

 

A cura dell’Associazione Internazionale Esorcisti

11 luglio 2020

È dello scorso mese di giugno 2020 la bella notizia della prossima beatificazione del grande medico venezuelano, il Venerabile José Gregorio Hernández Cisneros[1]. Tra coloro che più si sono rallegrati per questo gioioso evento figura, a buon diritto, il Cardinale Jorge Liberato Urosa Savino, Arcivescovo Metropolita emerito di Caracas (Venezuela)[2], il quale ha, con il futuro Beato, uno stretto legame: in primo luogo come venezuelano, ma soprattutto per aver lavorato come vice-postulatore della sua causa di canonizzazione, dal giugno 1984 al maggio 1990, e in seguito come attore principale di questa causa in qualità di arcivescovo di Caracas da novembre 2005 a luglio 2018.

Il sito della Conferenza Episcopale Venezuelana ha riportato una sua recente intervista in cui, tra l’altro, in relazione al dottor Hernández Cisneros ha affermato: «La sua condotta può essere classificata come un’esperienza eroica delle virtù proprio perché ha vissuto intensamente unito a Dio. Questo è importante che lo sottolineiamo, poiché molte volte ci soffermiamo a sottolineare l’esatto adempimento dei suoi compiti professionali e dei suoi doveri civici, e non evidenziamo sufficientemente ciò che costituisce l’essenza della santità: la viva unione con Dio, il seguire e imitare Gesù Cristo intensamente nell’adempimento della volontà divina. In una parola, essere una donna o un uomo di Dio. Così è stato José Gregorio. Senza dubbio è stato un cittadino esemplare, un grande professore, un eccellente ricercatore, un medico accurato e generoso, pieno di carità. Ma anche molto di più di questo: un uomo di Dio. Prepariamoci, quindi, nei prossimi mesi a celebrare la sua beatificazione. Sentiamo il desiderio di imitarlo nell’esperienza dell’amore per Dio, della nostra fede cristiana e cattolica, con una intensa pietà, con la pratica religiosa, con l’esperienza dei 10 comandamenti, con l’ascolto e il compimento della Parola di Dio. È questo il percorso verso la santità e la felicità. José Gregorio è stato, tra altre cose, un uomo di Dio. Imitiamolo!»[3].

Anche se la beatificazione di un Servo o di una Serva di Dio interessa, per sé, l’ambito di una Chiesa particolare o di un Istituto di vita consacrata, non ci meraviglieremmo se in un futuro, che speriamo vicino, il culto del dottor José Gregorio Hernández Cisneros venisse esteso all’intera Chiesa Cattolica attraverso la sua canonizzazione, come è avvenuto per altri suoi illustri colleghi, quali Giuseppe Moscati o Riccardo Pampuri. Il prossimo Beato José Gregorio Hernández Cisneros ha infatti, a nostro parere, tutti i requisiti per essere proposto a tutti i fedeli come modello da seguire e come intercessore da invocare.

C’è però un aspetto che riguarda il culto di quest’uomo di Dio che, a nostro parere, deve essere preso in considerazione per evitare che ne soffra la sua vera immagine e, insieme, ne patisca la fede delle persone umili e semplici, oggetto particolare delle sue cure e della sua carità ed è l’uso che è stato fatto sino ad oggi della figura di questo grande medico cristiano da parte della Santeria (una forma di stregoneria, molto diffusa in Sudamerica, che richiede il sacrificio di animali e, in casi estremi, anche mutilazioni umane e “donazioni” da parte di chi presiede il rito).

Il dottor José Gregorio Hernandez è considerato infatti, dai cultori della Santeria, capo della “Corte medica”. Ciò ha generato grave confusione intorno alla figura di questo medico e ancor più ne produrrà nel popolo latinoamericano, se non verrà chiarita l’appropriazione indebita che essi hanno fatto della sua figura.

Per inquadrare meglio la questione, riteniamo opportuno dare un rapido sguardo alla gerarchia dello spiritismo venezuelano.

La Santeria ha ventuno “Corti spiritiche”, con a capo le tre grandi “potenze” dello spiritismo: Reina Maria Lionza, considerata a capo di tutte le Corti spiritiche e affiancata da Negro Felipe e Guaicaipuro.

Le statue delle tre “potenze spiritiche”.

Tra le ventuno Corti troviamo anche una “Corte medica” in cui la Santeria ha messo a capo abusivamente, dissacrandone la figura il dottor José Gregorio Hernandez. Per ottenere guarigioni e interventi, sia a livello fisico che spirituale, gli spiriti di questa Corte vengono invocati dalle sciamane, dai medium e dai maghi tramite sedute spiritiche e con dei rituali, nel corso dei quali vengono usate candele sia di colore bianco che verde (da essi precedentemente “consacrate” agli spiriti).  La sciamana o il medium o il mago chiede alla persona ammalata di portarle una bottiglia d’acqua, una di alcool, cotone, garze, la statua o l’immagine dello stesso dottore, lenzuola bianche, fiori (alcuni chiedono anche tabacco). Questi oggetti verranno da essi sottoposti a dei rituali nel corso dei quali li consacreranno agli spiriti e poi saranno riconsegnati alla persona ammalata con le seguenti istruzioni: preparare nella propria casa un altare in onore del dottor José Gregorio Hernandez sul quale depositare questi oggetti, eccetto le lenzuola che, invece, dovrà porre nel letto nel quale dormirà quella notte, che sarà la notte dell’“intervento”.  L’acqua e l’alcool dovrà depositarli sull’altare in un bicchiere. La mattina seguente, la persona che nella notte sarà stata “operata” dal dottor Gregorio, dovrà bere l’acqua che era nel bicchiere sull’altare.

La gente bisognosa, pensa che sia intervenuto veramente il dottore, esistito storicamente, che per permissione di Dio opera miracoli, ma in realtà sono intervenuti gli spiriti della Corte che operano pseudo guarigioni, chiedendo però allo sciamano, al medium o al mago di dare loro in cambio l’anima del “paziente”, senza che egli ne sappia nulla. Più precisamente la sciamana, il medium o il mago offrono e consacrano agli spiriti non solo gli oggetti che avevano chiesto di portare, ma anche la persona che si è rivolta a loro. E ciò a insaputa della persona stessa.

Una immagine del dottor José Gregorio Hernandez

Come sappiamo, gli schiavi africani, al tempo della loro deportazione in Sudamerica, camuffarono gli spiriti in cui credevano con le immagini dei santi cristiani per poter proseguire le loro invocazioni e i loro riti agli spiriti. Un fatto analogo accade ora con la persona del dottor Josè Gregorio da parte di sciamani, maghi e medium.

Nelle immagini che riportiamo di seguito, apparentemente cristiane, sono rappresentate in realtà gli spiriti della Santeria africana, sotto forma di Santi e anche di Gesù.

Anche quella che segue, apparentemente sembra una immagine sacra cattolica, perché sono rappresentati: Sant’Anna, la Vergine Maria, il Bambino Gesù, San Giuseppe, San Gioacchino. Sotto di essi è rappresentata una mano. Alla gente viene detto che è la mano di Cristo: in realtà è la mano delle cinque “potenze” dello spiritismo, ovvero di “cinque spiriti”. Si noti come l’agnello immolato è per terra, sottomesso a questa mano misteriosa; inoltre quasi tutti gli altri agnelli sono rivolti non verso Cristo ma verso la mano “miracolosa”.

Davanti a questa immagine vengono proferite delle formule, che hanno come scopo di ottenere abbondanza di beni e anche protezione da ogni tipo di magia.

Quella che riportiamo, nell’immagine di seguito, è invece la stessa mano a forma di candela da usare nei diversi rituali di stregoneria. Alla gente viene però falsamente detto che è la mano di Cristo o di Dio.

Le seguenti immagini sono presenti su internet e ci aiutano a comprendere come gli operatori dell’occulto usano la figura del dottor Josè Gregorio per circuire le persone umili e semplici.

Servendosi di queste immagini, sciamane, medium e maghi ingannano il popolo dicendo di operare magia bianca o addirittura dicendo che Dio ha permesso che essi fossero mediatori tra il santo e le persone che si sono rivolte a loro. Sappiamo bene, però, che la magia è in assoluta antitesi con la fede cristiana e non esiste una “magia buona”.

Molte persone sono state irretite da questo mondo di stregoneria e spiritismo senza accorgersene.  In modo speciale descriviamo brevemente il caso di una suora che soffriva di diversi problemi di salute. Giacché sua madre era una sciamana e praticava la magia nera della Santeria venezuelana e tante altre forme di magia, invitò l’altra figlia a portarla in una “farmacia” per essere curata da un uomo che diceva essere un “fratello mediatore” tra il santo dottor Gregorio Hernandez e gli ammalati. Ella ricorda che, arrivando in quella presunta farmacia, c’erano tante statue e immagini come quelle che sono state riportate nelle immagini precedenti. Venne quindi invitata da quell’uomo a mettersi su un lettino ospedaliero e chiudere gli occhi, perché avrebbe pregato su di lei per ottenerle la guarigione.  La suora, non solo non è guarita, ma ha subito ulteriori danni sia a livello di salute fisica che spirituale, che ancora oggi le provocano grandi sofferenze.

Si consideri che quando la gente soffre e non ha le idee chiare e non ha una fede cristiana ben formata (e questo può incredibilmente accadere anche a una suora che ha un genitore sciamano), si fida di chiunque promette di ottenerle la salute e la guarigione e non si accorge che sta cadendo in una trappola del maligno.

È certo, pertanto, che gli operatori dell’occulto strumentalizzeranno enormemente la beatificazione del dottor José Gregorio per confondere ancora di più quei cristiani cattolici del Sudamerica, quasi analfabeti nella propria fede. E molti di essi, ingannati da sciamani, medium e maghi, faranno spiritismo senza saperlo, credendo di pregare un nuovo santo cattolico.

Sarebbe cosa molto conveniente che la Chiesa latinoamericana si preparasse a questo importante evento della beatificazione del dottor José Gregorio con una grande opera di purificazione dell’immagine della sua persona presentata dagli operatori dell’occulto, smascherando le loro falsità … solo così questa beatificazione sarà davvero un momento di grazia per tutta la Chiesa e non di ulteriore inciampo e confusione per le persone semplici.

Segnaliamo alcuni siti internet sui quali si possono trovare video con finte preghiere e rituali spiritici che vengono indirizzati al falso dottore:

https://www.youtube.com/watch?v=MkqgECHII7o

https://youtu.be/-tEDDIujRxg

https://youtu.be/_RfP5CTB26g

https://youtu.be/j4Vhbguhojw

Circa il culto di Maria Lionza, regina di tutte le Corti spiritiche, si può vedere invece:

https://youtu.be/lNafMgt9QLM

https://youtu.be/rWXv44h0tyY

Davanti alle agghiaccianti immagini delle automutilazioni del culto a Maria Lionza che sono una gravissima violazione della dignità umana e che si possono vedere in questi ultimi due link segnalati e davanti alla distorsione del vero culto al nostro prossimo beato, il Venerabile dottor José Gregorio Hernández Cisneros, non ci resta che affidare pertanto la Chiesa del continente latinoamericano allo Spirito Santo, perché la guidi e illumini in questo momento di preparazione e attesa…

[1] Si veda, al riguardo, l’intervista al Card. Becciu in http://www.causesanti.va/it/notizie/notizie-2020/intervista-al-card-becciu-sulla-beatificazione-di-jose-cisneros.html

[2] https://press.vatican.va/content/salastampa/it/documentation/cardinali_biografie/cardinali_bio_urosa-savino_jl.html

[3] «Su conducta se puede catalogar de vivencia heroica de las virtudes precisamente porque vivió intensamente unido a Dios. Esto es importante que lo destaquemos, pues muchas veces nos quedamos en señalar el exacto cumplimiento de sus tareas profesionales y sus deberes cívicos, y no destacamos suficientemente lo que constituye la esencia de la santidad: la viva unión con Dios, el seguir e imitar a Jesucristo intensamente en el cumplimiento de la divina voluntad. En una palabra, ser una mujer o un hombre de Dios. Así fue José Gregorio. Sin duda él fue un ciudadano ejemplar, un gran profesor, excelente investigador, médico certero y generoso, lleno de caridad. Pero también mucho más que eso: un hombre de Dios. Preparémonos, pues, en los próximos meses para celebrar su beatificación. Sintamos el deseo de imitarlo en la vivencia del amor a Dios, de nuestra fe cristiana y católica, con una intensa piedad, con la práctica religiosa, con la vivencia de los 10 mandamientos, con la escucha y cumplimiento de la Palabra de Dios. Ese es el camino hacia la santidad y la felicidad. José Gregorio fue, entre otras cosas, un hombre de Dios. ¡Imitémoslo!» https://conferenciaepiscopalvenezolana.com/cardenal-urosa-jose-gregorio-hernandez-fue-realmente-un-hombre-de-dios

Testimonianze circa l’uso dell’esorcismo di Leone XIII da parte di chi non ne ha ricevuto facoltà dalla Chiesa

Testimonianze circa l’uso dell’esorcismo di Leone XIII

da parte di chi non ne ha ricevuto facolta’ dalla Chiesa.

 

Testimonianza n. 1

Una volta venne da me una donna che sembrava soffrire di violenti attacchi demoniaci. Le preghiere di liberazione non le recavano alcun sollievo. Nel colloquio mi raccontò che, esortata da un sacerdote, recitava ogni giorno l’esorcismo di Leone XIII per perorare la liberazione della sua nazione dalle forze del male.

Le risposi che recitando quell’esorcismo aveva ingaggiato una lotta spirituale più grande di lei. Se lei attaccava il nemico, senza il mandato della Chiesa, doveva anche aspettarsi che il nemico «rispondesse al fuoco».

Ho usato un esempio per illustrare questo concetto.

Immagini di essere un soldato davanti al fronte nemico. Si trova senza alcuna protezione in pieno campo di battaglia. Ha lasciato la trincea e per sua iniziativa personale corre da sola con una mitragliatrice incontro al fronte nemico che avanza verso di lei con diversi carri armati. Pensa di poter abbattere i carri armati nemici con la sola mitragliatrice?

Cosa pensa che accadrà a lei? I carri armati nemici prenderanno la mira e la abbatteranno.

In che modo avrebbe dovuto quindi reagire? Il suo posto non è in prima linea. A lei spetta un altro compito: da un terreno sicuro, deve sostenere a modo suo i combattenti di prima linea. Se lei lavora lì, i combattenti di prima linea, che hanno una maggiore esperienza, saranno più forti, più protetti e con una maggior capacità offensiva da dispiegare al fronte.

Esprimo ora il concetto in modo analogo: se lei recita l’esorcismo di Leone XIII, si schiera sul fronte di battaglia e ingaggia una lotta solitaria contro le forze del demonio. Ma questa lotta non è un gioco: il nemico è reale e al tempo stesso non innocuo, come scrive l’apostolo Paolo: «Poiché non abbiamo a combattere contro carne e sangue, ma contro i principati, contro le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti maligni che sono nei luoghi celesti» (Ef 6,12). Lei combattendo nel posto che non le compete, rischia grandemente perché affronta un nemico che è più forte di lei da una posizione in cui può essere facilmente sconfitta.

Quindi, cosa deve fare?

«Nella battaglia spirituale dobbiamo applicare gli stessi principi di una guerra terrena. I combattenti di prima linea nell’esercito di Dio, sono i Vescovi e i Sacerdoti esorcisti. Hanno un equipaggiamento diverso e godono di una speciale di protezione di tutta la Chiesa.

Lei è una semplice fedele e non può attaccare direttamente e personalmente il nemico con armi che non sono destinate a lei. Non può recitare quindi l’esorcismo di Leone XIII che è un sacramentale della Chiesa e nel quale si usa una forma imperativa nei confronti del demonio che solo i Vescovi e i Sacerdoti che ne hanno ricevuto autorizzazione dai propri Vescovi Ordinari possono usare.

Sostenga i combattenti di prima linea con le sue preghiere. Preghi Dio perché sconfigga il nemico. Si accontenti di recitare la preghiera a san Michele Arcangelo e lo supplichi di lottare per noi contro il nemico. E preghi la Beata Vergine Maria, vincitrice di tutte le battaglie di Dio, che porterà alla vittoria. Reciti il Rosario. Si confessi e partecipi alla Santa Messa regolarmente, e cerchi di vivere la sua vita cristiana mantenendosi salda nella fermezza della fede. Questo è il suo posto nella lotta spirituale».

Di lì a poco, questa donna tornò da me per raccontarmi che stava già molto meglio e non molto tempo più tardi mi riferì che i fenomeni di cui mi aveva parlato erano scomparsi.

Ho così imparato che il documento del 29 settembre 1985 redatto dal Cardinale Ratzinger, rappresenta un grande aiuto per alcuni credenti per evitare che si espongano con negligenza o incautamente agli attacchi del demonio ritenendo erroneamente, anche se con le migliori intenzioni, che usando l’esorcismo di Leone XIII possano liberare il mondo dalle potenze del male. Quando il Cardinale Ratzinger vieta ai fedeli di recitarlo, intende quindi proteggerli e difenderli dagli attacchi del nemico, per loro imprevedibili.

Nei casi summenzionati, è stato per me un valido aiuto porre la seguente domanda: «A chi volete obbedire: a un Sacerdote che vi dice che potete usare l’esorcismo di Leone XIII per combattere il demonio o all’Autorità della Chiesa che ve lo vieta?». Questa domanda ha aiutato numerose persone a liberarsi da un grande peso.

(Don Martin Ramoser)

 

Testimonianza n. 2

Per motivi di riservatezza manteniamo l’anonimato dell’autrice della presente testimonianza e omettiamo quei riferimenti che permetterebbero di identificarla.

 

Reverendo Padre Francesco Bamonte, ho seguito la vicenda circa l’uso dell’esorcismo di Leone XIII e spero con queste poche righe di aiutare tutti a riflettere.

Vorrei con molta semplicità e umiltà, ma soprattutto nella verità, condividere la mia esperienza di vita.

Il dono della vita mi è stato dato da Dio in un paese dell’America Latina e oggi sono una Consacrata nella Vita Religiosa. Come è ben risaputo, in tante zone di questo bellissimo continente si pratica largamente la stregoneria, la magia nera, la santeria, lo spiritismo e tante altre pratiche esoteriche.

Sono nata in una famiglia nella quale si esercitava tranquillamente la magia nera, lo spiritismo e addirittura erano stati realizzati patti con il demonio: uno lo aveva fatto la mia nonna materna, un altro mio padre. Sono nata e cresciuta in questa realtà aberrante, come se fosse la cosa più normale del mondo. All’età di 5 anni ho subito la prima violenza sessuale, in un rituale di iniziazione -con profanazione dell’Eucaristia- al quale fui costretta a partecipare e a cui ne seguirono molti altri per 5-6 anni.

Sin dall’inizio fui considerata la prescelta, l’ “eletta”, colei che alla morte della nonna avrebbe dovuto continuare le sue opere di stregoneria. Dato l’ambiente familiare nel quale vivevo imparai gradualmente, come se fosse un fatto del tutto normale l’uso del pendolino, della tavola ouija per evocare i defunti, la consacrazione dei bambini agli spiriti nel ventre delle donne in gravidanza, come fare malefici e tante altre cose di questo genere.

Nella mia classe ero l’unica bambina a non aver ricevuto il Battesimo e questo, spesso, diventava per me motivo di disagio, perché mi sentivo diversa dagli altri alunni. Cominciai a desiderare di ricevere il Battesimo, ma senza manifestarlo ai miei genitori. Il desiderio del Battesimo, però, era motivato anche da un sincero sentimento d’amore che stava crescendo nel mio cuore nei confronti di Gesù e dal desiderio di diventare cristiana, entrando a far parte della Chiesa.

Un giorno -avevo 6 anni- seppi di un grande raduno organizzato da un sacerdote in una parrocchia, un po’ distante dalla mia. In quella occasione sarebbero state battezzate tante persone, bambini e adulti.

Celebrazioni collettive di Battesimi, amministrati ad adulti e a bambini, circa 40 anni fa erano molto usuali in alcune zone del Sud America, da parte di sacerdoti missionari, proprio perché il Sud America era considerata da loro “terra di missione”.

All’insaputa dei miei genitori e di mia nonna, riuscii a convincere il cugino di mio padre e sua moglie ad accompagnarmi a quel raduno, dove chiunque, non battezzato (sia i bambini portati dai genitori, sia gli adulti), poteva ricevere questo sacramento, senza alcuna preparazione previa e senza nemmeno che il parroco lo conoscesse.

Al momento del Battesimo, che si svolse in una cattedrale (che era anche chiesa parrocchiale), mi confusi con tutti gli altri battezzandi e ricevetti anch’io, con grande gioia, il sacramento. Mio cugino e la moglie mi fecero da padrino e madrina.

Al termine della celebrazione tutti i battezzati venivano censiti nel registro parrocchiale dei Battesimi.

Dopo il Battesimo, cominciai a frequentare spontaneamente la Santa Messa festiva nella mia parrocchia, ma vi andavo da sola, perché i miei genitori non vi partecipavano. Dopo un anno circa volli iniziare il cammino di preparazione alla Prima Confessione e alla Prima Comunione, che ho ricevuto all’età di 9 anni. I miei genitori non parteciparono alla Messa in cui ricevetti la Prima Comunione e non permisero che io fossi festeggiata da alcuno. Nonostante ciò, da quel momento cominciai a sentire nel mio cuore un amore sempre più grande per Gesù; e, sebbene continuassi a essere coinvolta nella realizzazione delle pratiche magiche, provavo un disagio crescente, ogni volta che le facevo. Mi sentivo, al contempo, attratta dalle attività parrocchiali e, all’età di 10 anni, mi resi disponibile per aiutare alla mensa dei poveri e al dispensario farmaceutico della parrocchia. Entrai anche a far parte del coro parrocchiale.

Il senso di disagio crescente, che sentivo nei confronti delle pratiche magiche, giunse a un punto tale che, all’età di 11 anni, rinunciai definitivamente ad esse. Nel mio cuore entrò in abbondanza la pace e la serenità, che scaturiscono dal sentirsi accolti, amati e perdonati da Dio. Contemporaneamente, però, in seguito al mio rifiuto di prestarmi ancora alle pratiche magiche e ai riti di stregoneria, si scatenò una fortissima reazione da parte dei miei familiari, che si manifestò in un continuo tentativo di farmi desistere dalla scelta fatta: mi parlavano sempre del demonio come di un “buon amico”, al quale si doveva obbedire; lui, in cambio, mi avrebbe fatto dono di tante cose, compresa la salute. Dovevo solo consegnargli continuamente la mia anima e servirlo fedelmente. Mi rifiutai decisamente e, insieme alle persecuzioni familiari, si aggiunse quasi subito una guerra aperta e tremenda nei miei confronti da parte del demonio, che di notte mi assaliva con vessazioni fisiche: cercava di soffocarmi, mi bloccava nel letto; oppure mi procurava un peso tremendo sul petto, tanto che mi sentivo schiacciare; mi appariva sotto forme mostruose e mi diceva che ero sua e non mi avrebbe mai lasciata; altre volte provocava forti rumori in casa per impedirmi di dormire. Reagivo con la preghiera e, dopo una lotta estenuante, finalmente desisteva. Potrei raccontare ancora tante altre cose che mi rendevano la vita assai difficile, però ritengo che non sia qui né il luogo né il momento adatto. È importante, però, sapere che nel frattempo ero diventata catechista dei piccoli e nel mio cuore cominciò a manifestarsi il desiderio di donarmi totalmente a Gesù nella Vita consacrata, in un Istituto religioso. Tale desiderio si realizzò all’età di 17 anni, quando entrai nell’Aspirandato di un Istituto religioso. Per la mia famiglia fu una vergogna, un disonore, un’onta che ancora oggi desiderano farmi pagare, operando rituali di maledizione contro di me. Questo gesto, infatti, fu considerato anche un sacrilegio, ed essi, nei loro riti, mi offrono continuamente a satana, chiedendogli tutto il male possibile nei miei confronti. Sono trascorsi 23 anni da allora: nel frattempo sono diventata Suora, consacrandomi per sempre a Gesù con la professione perpetua dei voti religiosi. Attualmente offro a Lui l’esperienza di continui malesseri fisici -che i medici non sanno diagnosticare- e di visite notturne del maligno, che prosegue a tormentarmi con le sue vessazioni. La preghiera e gli esorcismi della Chiesa mi sono però di grande aiuto in questa lotta.

Mi chiederete: che c’entrano queste cose con l’uso dell’esorcismo di Leone XIII?

Vi narro un fatto che, a mio parere, dimostra come non possiamo sfidare il demonio con iniziative personali o con armi che la Chiesa mette solo nelle mani dei Vescovi e di Sacerdoti che ne hanno ricevuto legittima facoltà dai propri Vescovi.

Nella casa di mia nonna si svolgevano messe nere e rituali in cui venivano sacrificati animali e profanate le Ostie consacrate che si procurava tramite dei bambini che le portavano via di nascosto al momento della distribuzione eucaristica e che ella ricompensava con denaro (a quest’ultima nefandezza della nonna io non mi sono mai voluta prestare, nonostante me lo avesse chiesto più volte). Un giorno alcuni di questi fatti che accadevano in casa di mia nonna arrivarono alle orecchie del nuovo parroco, giovane e inesperto. Senza preavviso, si presentò immediatamente in casa di mia nonna con un secchiello di acqua benedetta e l’aspersorio in mano. «Cosa fate in questa casa? Adesso ci penso io!», esclamò l’ingenuo sacerdote. Mia nonna lo lasciò entrare, gli permise di benedire e di fare tutte le sue preghiere. Alla fine, con un sorriso perfido, gli domandò come stavano i suoi parenti e gli raccomandò di salutarli. Il parroco era appena giunto in canonica, quando ricevette una telefonata: veniva informato che suo padre, recatosi in campagna, non era più tornato ed era introvabile. Trascorsero sei giorni di inutili ricerche, quando fu ritrovato morto. Sul terreno e sul suo corpo vi erano evidenti tracce di un rituale satanico. Eppure, in quel luogo, coloro che erano alla sua ricerca erano passati in precedenza diverse volte, ma non avevano notato nulla. Il giovane parroco, poco tempo dopo, cadde in una tremenda depressione e dovette essere rimosso dalla guida della parrocchia.

Vengo ora a me. Da anni sono sottoposta regolarmente ad esorcismi per essere aiutata nelle continue vessazioni del maligno, che sperimento nella mia carne e so quanto sono delicate e umilianti le cose che possono venire alla luce o accadere durante un esorcismo.

Immagino, anzitutto, i possibili traumi psicologici che ne conseguirebbero se l’esorcismo fosse qualcosa che ogni persona, senza aver ricevuto una preparazione adeguata e senza che sia stata verificata la sua capacità ad assumersi un tale compito, facesse senza un mandato espresso da parte della Chiesa.

Inoltre, temo, per la mia esperienza, che si aprirebbero delle porte, attraverso le quali queste persone sarebbero attaccate in maniera molto forte dal demonio, divenendo a loro volta sue vittime e bisognose anch’esse di esorcismi.

Spesso, infatti, giungono alle Comunità monastiche richieste di preghiere in favore di persone sottoposte a esorcismi da Sacerdoti autorizzati. Queste richieste danno molto fastidio ai demoni, i quali cercano di vendicarsi su quelle Comunità e non è raro che Dio, per i fini misteriosi della sua Provvidenza, a volte permetta delle loro azioni di disturbo. Ora, se questi “disturbi” si verificano quando si fanno semplici preghiere quotidiane nelle quali si affidano le persone tormentate dal maligno alla Madonna e si offrono per loro sacrifici giornalieri, mi chiedo che cosa potrebbe accadere se qualcuno, senza godere della protezione assicurata da un mandato ufficiale della Chiesa, cominciasse a fare esorcismi, anche senza rivolgersi direttamente al demonio, ma semplicemente invocando l’aiuto di Dio servendosi di quelle che nel rito degli esorcismi della Chiesa sono definite “formule deprecative!”.

Nel mandato ricevuto dal Sacerdote esorcista scorgo la figura materna della Chiesa, che non abbandona mai i suoi figli e vi vedo la cura e la preghiera di tutta la Chiesa: non del singolo che opera in maniera privata e autonoma, ma l’unità e la forza della comunione ecclesiale.

Affido alla Madonna queste poche righe, che spero possano servire al bene di tante anime, nel desiderio che questo bene possa in qualche modo ridondare anche per la salvezza dei miei famigliari, ai quali ho sempre perdonato e di cuore perdono. Con questa intenzione concludo con l’antica preghiera per mezzo della quale i primi cristiani chiedevano l’intervento della Madre celeste:

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio,

Santa Madre di Dio, non disprezzare le suppliche

di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo,

o Vergine gloriosa e benedetta.

 

 

A.I.E. ITALIA Segreteria – Come ricevere la comunione spirituale

Pace e bene.

            Stiamo attraversando un delicato tempo di sofferenza fisica e spirituale causata dall’epidemia che attanaglia l’umanità. Non poter essere insieme ad altri per non favorire il contagio, ci impedisce anche di poter ricevere i Sacramenti necessari alla nostra vita di cristiani. Essi infatti ci permettono di incontrare l’azione di Dio ed avere conforto spirituale.

           La Segreteria Italiana dell’Associazione Internazionale Esorcisti, per rispondere alla richiesta di poter incontrare il Signore Gesù, desidera offrire un piccolo aiuto ai fratelli e sorelle laici, rammentando loro la preghiera per la comunione spirituale assunta dalla tradizione della Chiesa e formulata da Sant’ Alfonso Maria de Liguori.

Possiamo ricevere Gesù spiritualmente nella comunione di desiderio, una volta veramente pentiti dei peccati (se si può dopo essersi confessati, altrimenti col deciso proposito di confessarsi appena possibile).

Sant’Alfonso spesso ricorreva alla comunione spirituale, al pari di tanti altri Santi come Tommaso d’Aquino, Francesco di Sales, Caterina da Siena, Josemaría Escrivá e Margherita Maria Alacoque. Secondo lo stesso San Tommaso, questa pratica, autorevolmente confermata dal Concilio di Trento, consiste in un desiderio ardente di ricevere Gesù sacramentato e in un abbraccio amoroso, come già fosse ricevuto. «Non posso ricevere la Santa Comunione così spesso come lo desidero – ripeteva Santa Teresa di Gesù Bambino – ma, Signore, tu non sei l’Onnipotente? Rimani in me, come nel tabernacolo, non allontanarti mai dalla tua piccola ostia».

In comunione con Gesù e uniti alla Chiesa preghiamo:

“Gesù mio, io credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento.

Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia.

Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente,

vieni almeno spiritualmente nel mio cuore.

(piccola pausa di silenzio e raccoglimento)

Come già venuto, io ti abbraccio e tutto mi unisco a te;

non permettere che mi abbia mai a separare da te”. Amen.

Sant’ Alfonso Maria de Liguori