San Polo di Piave

alla memoria

Il cimitero di San Polo di Piave

Chi si reca nel cimitero di San Polo di Piave non può esimersi da una visita alla contigua Chiesa della Caminada. Si tratta di un piccolo tempio che la tradizione vuole sia stato edificato in sostituzione di un capitello costruito a seguito dell’apparizione della Madonna a una ragazza del luogo, avvenuta nel 1212. Per secoli, la chiesa è stata meta di pellegrinaggi dalle località limitrofe, soprattutto per invocare la pioggia nei periodi di grande siccità. Ampliata dopo circa due secoli dalla prima edificazione, la Chiesa della Caminada è stata distrutta durante la Grande Guerra, e poi ricostruita, mantenendo al suo interno tracce delle antiche pareti affrescate, in particolare la “Madonna della Caminada”, opera del XV Secolo, attribuita alla scuola del Bellunello.

Nella chiesa, dentro una teca, è conservata una pietra, con scolpita una croce, rinvenuta durante il restauro delle fondamenta, sul finire del Novecento. La croce è associabile a una delle stazioni della Via Crucis oppure a una antica sepoltura all’esterno della chiesa.

Appena varcata la soglia del cimitero l’occhio cade sulla monumentale tomba della famiglia Giol, un imponente mausoleo che conserva al suo interno le spoglie di Giovanni Giol, dei suoi famigliari e dei suoi discendenti.

Il monumento funebre è stato fatto edificare proprio da Giovanni Giol, che, nel 1936, anno della sua morte, volle seguire personalmente i lavori di completamento dell’opera, conscio che la malattia che lo opprimeva non gli avrebbe lasciato ancora tanto tempo da vivere.

Giovanni Giol morì, infatti, a ridosso del Natale del 1936, dopo una vita di lavoro che lo vide passare da giovane bracciate senza alcuna istruzione, a intraprendente emigrato, fino a diventare un imprenditore di grande successo, prima in Argentina e poi in Italia, specificatamente a San Polo di Piave.

Giovanni Giol nasce l’8 luglio del 1866 a Vigonovo di Fontanafredda, nell’anno passato alla storia per una epidemia di colera e per l’annessione di Veneto e Friuli al Regno d’Italia. Dopo aver fatto fortuna Oltreoceano, arrivando a possedere la più importante azienda vitivinicola dell’Argentina, Giovanni Giol fa ritorno in Italia e nel 1919 acquisisce la tenuta del conte Nicolò Papadopoli Aldobrandini, di oltre mille ettari, distribuita nei territori di San Polo di Piave, Ormelle, Mareno e Cimadolmo.

Con le successive acquisizioni, grazie anche ai risarcimenti dello Stato per i danni di guerra subiti, Giovanni Giol realizza la più grande azienda agricola della Marca Trevigiana, un’azienda con al suo interno diverse attività produttive, dal settore vitivinicolo e cerealicolo, all’allevamento del bestiame e dei bachi da seta, con relativi stabilimenti, cantina e filanda.

La tomba voluta da Giovanni Giol, che durante il ventennio è stato podestà di San Polo, riflette con chiarezza i gusti architettonici del periodo fascista, come da progetto dell’architetto Luigi Candiani, prestigioso professionista, tessera numero uno dell’Ordine degli Architetti di Treviso, che disegnò e realizzò oltre un centinaio di edifici sacri.

L’imponente colonnato della facciata è chiamato a sostenere stilisticamente un edificio semplice e austero, in pietra grigia, che svetta monolitico su una distesa di tombe di famiglia a terra e tante piccole cappelle, una caratteristica qualificante del cimitero di San Polo di Piave.

Appena varcata la soglia della monumentale tomba ci sono due sarcofaghi in pietra che conservano le spoglie di Giovanni Giol e della moglie Margherita Bondino. Ai lati, ci sono i loculi degli altri famigliari e di parenti di vario grado, mentre un altare è addossato alla parete posta di fronte all’ingresso. Il soffitto e la parte superiore delle pareti sono decorate con motivi funerari, adatti all’ambiente. Spicca l’affresco “La resurrezione della figlia di Giairo” realizzato dal pittore veneziano Gian Maria Lepscky.

 

Arrivato a San Polo nel 1876, don Francesco Tommasi riposa ora nel cimitero di una terra che ha molto amato, al punto di rifiutare la nomina a monsignore del Duomo di Conegliano, offertagli dal vescovo Brandolini nel 1888. Successivamente, nel 1901, rifiutò anche la nomina a monsignore del Duomo di Serravalle pur di rimanere a San Polo.

Grande oratore e predicatore apostolico, oltre che poeta, don Francesco Tommasi fu attivo promotore delle Casse Rurali e delle Associazioni di Mutuo Soccorso.

Sepolto, per sua espressa volontà, nella nuda terra del cimitero di San Polo, quella di monsignor Giuseppe Chiarelli (1879-1955) è stata una figura eminente del clero locale. Arrivò a San Polo nell’agosto del 1910 e completò i lavori iniziati da don Camillo Fassetta, allargando la chiesa con le due navate laterali, dedicandosi poi a successivi interventi, tra i quali la ricostruzione del campanile. Per i suoi meriti fu Vicario Foraneo, Cameriere segreto di due Papi, Giudice Pro-Sinodale e titolare di numerose altre cariche.

Ordinato sacerdote nel giugno del 1938, don Vittorio Battistin ottenne il suo primo incarico come coadiutore di monsignor Giuseppe Chiarelli. Restò a San Polo fino al 1942, ricoprendo poi numerosi incarichi all’interno della Diocesi di Vittorio Veneto, tra i quali anche quello di segretario di due vescovi: monsignor Giuseppe Carraro e monsignor Albino Luciani. Ritornò a San Polo, come arciprete, nel novembre del 1972 e vi rimase fino a luglio del 2008, un anno prima della sua morte. Ora riposa nella tomba dei sacerdoti di San Polo di Piave.

In cimitero riposa anche Giovanni Ambrosetto (1872-1969), consigliere comunale prima della Grande Guerra, diventato sindaco di San Polo subito dopo il conflitto. Presidente della cooperativa di lavoro che riuniva tutti gli artigiani di San Polo, fu il promotore della ricostruzione del paese distrutto dalle bombe.

Disposte in ordine e separate da vialetti, le numerose tombe di famiglia si fondono nella silenziosa mestizia del camposanto. Tra le cappelle gentilizie spicca quella degli Aliprandi, che arrivarono a San Polo nei primi decenni dell’Ottocento, per insediarsi nell’antico Palazzo Gabrieli, posto tra la chiesa e il municipio. Gli Aliprandi si dipartirono poi in vari rami, verso Conegliano e verso Oderzo, con attività di commercio di generi alimentari e carburanti.

In cimitero riposa anche Giovanni Ambrosetto (1872-1969), consigliere comunale prima della Grande Guerra, diventato sindaco di San Polo subito dopo il conflitto. Presidente della cooperativa di lavoro che riuniva tutti gli artigiani di San Polo, fu il promotore della ricostruzione del paese distrutto dalle bombe. Uomo di fiducia di monsignor Giuseppe Chiarelli, che si era insediato nella parrocchiale di San Polo nell’agosto del 1910, il sindaco Ambrosetto, nel 1926, venne costretto alle dimissioni, dopo che il consiglio comunale aveva perso due terzi dei propri membri. Gli subentrò Giovanni Giol, nelle vesti di commissario prefettizio, che assunse poi la carica di podestà.

Nella primavera del 1946, Giovanni Ambrosetto tornò nei banchi del consiglio comunale come assessore ai lavori pubblici, presiedendo anche la commissione edilizia, fino agli anni Sessanta.

Una lapide ricorda la figura del medico Gaspare Sesler, morto a 49 anni, nel 1885. Questi non seppe riconoscere per tempo un’epidemia di morbillo che portò alla morte 68 bambini con meno di dieci anni. Tra questi tre dei figli dell’enologo austriaco Giovanni Schweinberger, chiamato nel 1872 dai conti Papadopoli per impiantare nuovi vigneti e allestire le cantine destinate alla produzione industriale dei vini locali.

Sono le cinque del pomeriggio e il visitatore sente dei rintocchi di campana della vicina chiesa risuonare nell’aria. Sono le note de “La Leggenda del Piave”, che i bronzi diffondono nella vastità della campagna, in ricordo di quegli uomini e di quei ragazzi che, proprio sulle sponde del Fiume Sacro, hanno lasciato la loro vita.

Sul finire della Grande Guerra, nei pressi del cimitero e della Chiesa della Camminada, si svolse uno degli ultimi, drammatici, combattimenti di quel conflitto, con la Brigata Foggia impegnata strenuamente a contenere l’esercito avversario e a rendere inoffensiva una postazione di bombarde nemiche.

A Ovest, il camposanto di San Polo di Piave è chiuso da una serie di moderne tombe di famiglia costruite di recente: una panchina invita il visitatore a una sosta, per riflettere sul mistero della morte e dell’esistenza.

Chi visita il cimitero di San Polo di Piave coglie immediatamente che, in paese, il culto dei morti e la loro memoria sono vivi e molto sentiti. Lo si vede dalla cura con cui le tombe vengono tenute e da come sono abbellite da piante e composizioni floreali. Anche le tante tombe di famiglia sono indice di una particolare attenzione per chi non c’è più, e rispecchiano la volontà di tenere unito il nucleo famigliare anche dopo la morte. Impongono di conservare una traccia, di placare il rimpianto, di mantenere visibili i volti, ricordare una data, riportare una breve frase, a ricordo perenne.

Nella tomba di famiglia riposa, con la moglie Anita, l’artigliere alpino Guerrino Selva, alla cui figura la Sezione ANA di Treviso ha dedicato la copertina del calendario 2021 e un ampio articolo nella rivista “Fameja Alpina”.

Classe 1915, assegnato al 3° Rgt. Artiglieria Alpina, Gruppo Conegliano della Brigata Julia, Guerrino Selva viene ricordato, soprattutto, per la sua grande statura (nel calendario è ritratto a braccia aperte con quattro alpini che gli stanno sotto la linea delle ascelle). Selva è stato uno dei fondatori del Gruppo Alpini di San Polo, è stato capogruppo per ben trent’anni e fu grazie a lui, verso la metà degli anni Sessanta, che le penne nere ottennero da Vittoria Giol l’uso di “Casa Contessa”, per farne la loro sede sociale.

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