CALVINO: LA DOTTRINA DELLA PREDESTINAZIONE

CALVINO: LA DOTTRINA DELLA PREDESTINAZIONE
il mirabile segreto del piano di Dio

I punti salienti della teologia di Calvino sono raccolti nell’Institutio christianae religionis, un’opera monumentale in quattro libri, pubblicata per la prima volta in latino nel 1536. Come ho già detto in una precedente lezione su Calvino, rispetto a Lutero, il riformatore ginevrino di adozione, è certamente più sistematico. A questo proposito lo storico della Chiesa Joseph Lortz ha sottolineato che «la struttura psichico-mentale di Calvino, mente sistematica, organizzativa, fredda, era l’opposto di quella di Lutero: egli ricevette la sua formazione dalla giurisprudenza, non dal monastero. Perciò la dottrina luterana divenne in lui una vera teologia caratterizzata da un cupo rigorismo».
Lo stesso Calvino, nella prefazione all’Institutio, sostiene espressamente di aver costruito un sistema teologico ben coordinato: «Penso di aver esposto tutta la sostanza della religione cristiana nelle sue diverse parti ed averla coordinata in ordine sistematico».
L’obiettivo non è puramente accademico. Calvino si propone di aiutare il candidato alla teologia alla lettura e all’approfondimento della Bibbia: «Il mio scopo è istruire e formare coloro che intendono consacrarsi allo studio della teologia, facilitando il loro studio della Sacra Scrittura e aiutandoli a ricavare da questa meditazione benefici per mantenere la retta via senza inciampare».

Non si può intraprendere la professione di teologo se prima non ci si è lasciati ammaestrare dalla Sacra Scrittura. Nel Libro I, cap. VI, n. 2 dell’Institutio Calvino scrive: «Ecco dunque il punti fermo: per essere illuminati e progredire nella vera religione bisogna cominciare dalla dottrina celeste e nessuno può avere conoscenza della sana dottrina della conoscenza di Dio fino a quando non sia stato a quella scuola, istruito dalla Sacra Scrittura, poiché il principio di ogni retta intelligenza si ha quando accogliamo con riverenza quanto vi ha voluto testimoniare di se stesso».

Uno dei temi teologici già presente in Lutero, ma ben sistematizzato solo in Calvino, è quello della predestinazione, mistero imperscrutabile alla mente umana. Si tratta di «un mirabile segreto del piano di Dio» perché «così gli piace». Qui Calvino si collega a san Paolo, dicendo che, non riuscendo a sondare la profondità del mistero di Dio, «ha trovato il modo di riposarsi, mettendosi in ammirazione». L’apostolo ha affermato che «i giudizi di Dio sono al di fuori di ogni conoscenza […], le sue vie non si possono scrutare» (Institutio, Libro III, cap. XXIII, n. 5).

È necessario tuttavia che venga insegnato ai fedeli l’esistenza di tale mistero: «Se è evidente che per volere di Dio la salvezza è offerta agli uni mentre gli altri ne sono esclusi, da ciò nascono grandi e gravi questioni che non si possono risolvere se non insegnando ai credenti il significato dell’elezione e della predestinazione» (Institutio, Libro III, cap. XXI, n. 1).
La dottrina della predestinazione è una logica conseguenza di una teologia che vuole sottrarre all’uomo la prerogativa della salvezza, quasi fosse opera sua, per sottolineare invece il primato della gratuita azione salvifica da parte di Dio. La dottrina della predestinazione sembrerebbe generare nell’uomo una sorta di passività, di rinuncia all’azione, dal momento che tutto è già prestabilito. In realtà la teologia calvinista ha offerto un’interpretazione completamente opposta, incentrata sull’attivismo. Attraverso le sue opere l’uomo non è in grado di cambiare la sorte futura alla quale Dio l’ha destinato, ma può dare testimonianza della scelta divina. Le azioni umane diventano segno della predestinazione alla salvezza o alla dannazione: le opere (buone) «sono una testimonianza che Dio abita e regna in noi» (Institutio Libro III, cap. XIV, n. 18). In tal senso le opere non sono un mezzo per acquistare la grazia, ma semplicemente un’espressione o una manifestazione della grazia accordata da Dio. In altre parole, le opere non sono la causa, ma l’effetto dell’elezione o della dannazione.

Da qui a dire che il benessere e il successo economico siano segno tangibile delle predestinazione alla salvezza e, di converso, la povertà e l’insuccesso siano prova della dannazione, il passo è troppo azzardato, nel senso che non appartiene propriamente alla dottrina originaria di Calvino. Nella seconda metà del secolo scorso alcuni storici tedeschi, come Erwin Iserloh, Joseph Glanzik, Hubert Jedin, hanno sostenuto che la dottrina, secondo la quale il successo delle opere umane sono un segno di benedizione e, quindi la prova della elezione, non si trova in Calvino, ma nel calvinismo, e non corrisponde all’impostazione iniziale di Calvino. Su questo rapporto tra successo economico e segno della predestinazione alla salvezza Max Weber ha elaborato una tesi secondo cui il capitalismo moderno non è altro che il prodotto del protestantesimo calvinista 1.

Lorenzo Cortesi

1 https://blogphilosophica.wordpress.com/2017/05/10/weber-etica-protestante-e-capitalismo/

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