La cucina creativa


Si fa un gran parlare di cucina creativa, pensando e credendo che rappresenti la terra promessa della cucina, quel territorio ove è possibile mettere in campo la fantasia ,unirla alla tradizione e dare nuovo impulso. La cucina come tutte le espressioni artistiche ,ha bisogno per rimettersi in gioco per rinnovarsi o semplicemente per apparire.

Il termine creativo attribuito ad un tipologia di cucina si asserve alla cucina per darle una nuova espressione, rischiando invece di impoverire la natura stessa della cucina, che è già creazione.
È semplicemente speculazione o realmente la cucina ha bisogno di autoreferenziarsi attribuendosi un appellativo che è già insito nella sua essenza?

Penso che sia l’una che l’altra cosa , nell’una risiede la spinta commerciale legata al mondo della cucina, dall’altra la necessità di una arte, di trasformarsi per riconoscersi e riacquistare l’identità che il tempo indebolisce.
Il processo lungo e ancora in fase di evoluzione ha interessato la cucina italiananegli ultimi 30 anni . Questo travaglio ha visto nel maestro Angelo Paracucchi, profondo conoscitore dei segreti delle materie prime, rinnovatore di piatti classici della cucina italiana, grande ambasciatore della nostra cucina all’estero, amico intimo di Luigi Veronelli , il suo massimo esponente e il precursore della cucina in tv.

Ed è proprio la televisione ,questo affascinante ed attraente comunicatore mediale che ha messo in mano alla cucina creativa le armi per fronteggiare la cucina tradizionale . La televisione ha permesso ai grandi chef di unire l’arte della pentola all’immagine televisiva e a quelli dotati di comunicare immagine, di utilizzare la cucina come vena aurifera a cui attingere per fare business, ecco che si sono improvvisati chef, donne di bella presenza e volti noti della televisione.

Come direbbe Gualtiero Marchesi la necessità di appropriarsi della creatività che appartiene alla cucina è quella di liberarsi di quell’ altro istinto che non appartiene alla cucina come arte, ma al fabbisogno dell’uomo di nutrirsi. Marchesi elimina dal suo menu la pastasciutta perché secondo lui serve a riempire lo stomaco. Nella lapidarietà di questa frase e nel proselitismo che questo invito ha creato c’è semplicemente ma molto audacemente la convinzione che è necessario partire da qui per biforcare il sentiero della cucina.

Una strada è quella della cucina tradizionale come realizzazione di esigenze fisiologiche dettate dalle epoche e consolidate tra i fornelli , l’altra è la cucina capace di soddisfare esigenze nuove e non più intime dell’uomo. La carbonara, il cacio e pepe, i rigatoni con la pajata, l’ossobuco alla romana, per citare solo alcuni dei piatti della cucina romana e laziale nascono dalla fame e dalla disponibilità della materia prima che nella sua accessibilità, vuole dire povera, vuole dire economica. La cucina tradizionale è la cucina del popolo, della massa.

La cucina creativa nasce dall’estinta esigenza di rispondere al bisogno di nutrirsi, ma dalla volontà di rispondere ai nuovi bisogni che la società del benessere produce, che sono l’estetica del palato, l’avanguardismo mente-gusto, dove come in uno spartito musicale le ricette vengono travolte da nuovi ingredienti e stravolte da nuove composizioni.
Quindi la cucina creativa come la musica nella creazione di nuovi generi , che nascono dalla scomposizione, dalla destrutturazione per poi ricomporre e ricreare, dando risultati shockanti ed emozionanti.

La cucina creativa attraverso l’uso di nuovi ingredienti, e in questo la globalizzazione ha favorito il fenomeno, si è ramificata dando luce a correnti di pensiero e a scuole sperimentali. L’uso delle spezie, l’armonico equilibrio che si può creare dosando e distillando la materia prima dei nuovi mondi, ha dato vita alla cucina fusion, dove tradizioni del mangiare e culture ancestrali si sono mescolate nel raggiungimento di un risultato gastronomico nuovo, audace e sperimentale.

La cucina creativa è anche la scienza nel piatto , è il progresso scientifico e tecnologico che irrompe in mezzo alle fiammelle dei fornelli e aiuta lo chef a semplificare il procedimento artistico e a guardare alla materia prima non soltanto nelle sue trasformazioni classiche.


L’uomo in cucina si arricchisce della scienza e con la scienza e sperimenta nuove trasformazioni. In questo crogiuolo lo chef-scienziato scompone la materia prima e inventa una nuova cucina creativa ,la cucina molecolare. Può il trancio di salmone loch fyne cotto al forno adagiato su un letto di riso nero selvatico canadese e mescolato delicatamente con verdure di stagione in brunoise dello chef Alessandro Cecere del nuovo ristorante “il Baccano “ di Fontana di Trevi di ROMA, minacciare la tradizione e non rappresentare invece il rimescolare i colori della cucina per creare una nuova opera d’arte.

Può la passatina di ceci e crostacei di Pierangelini del ristorante “Il Gambero rosso “ di Livorno spazzare via la memoria del classico e non rappresentare invece il bisogno di sperimentare nuovi accostamenti e di reinterpretare la materia prima. La cucina creativa è la cucina del benessere e la cucina 2.0


La cucina deve essere ancorata alla tradizione o mostrarsi talebana alle contaminazioni?
La cucina deve rimanere uso semplice di mani e attrezzi e uso semplice della mente e della memoria ,oppure può diventare innovazione?
La cucina è da considerarsi arte pura o deve rimanere artigianato?

Sono queste le domande a cui i gourmet, gli appassionati e gli esperti del mondo gastronomico sono tenuti a rispondere adesso ancor più di prima, ad essere critici cercando di fare bene alla cucina in generale e a quella italiana in particolare.