Alba Fucens

La Storia

La città romana di Alba Fucens sorge in una piccola valle circondata da tre colline, in un’area occupata dagli Equi, nel territorio a Nord-Ovest dell’antico Lago Fucino. La fondazione della città si inserisce nel processo di assoggettamento dell’Italia centrale da parte di Roma: dopo la sconfitta imposta agli Equi, Alba Fucens (303 a.C.) e Carsioli (298 a.C.) vengono poste a controllo di un ambito geografico strategicamente determinante negli equilibri di un ampio territorio posto lungo la via Tiburtina Valeria. Il fatto che Alba giocasse un ruolo di primaria importanza nel controllo militari dell’Italia centrale è confermato dal fatto che il senato romano destinò ad Alba 6000 coloni, come attesta Tito Livio (IX, 43,25) “Soram atque Albam coloniae deductae. Albam in aequos sex milia colonorum scripta”. Ad ognuno fu assegnato un appezzamento di terreno ricavato dalla ripartizione ed organizzazione delle pianure circostanti (centuriazione), adatte alla coltivazione e mitigate dalla presenza del vicino Lago Fucino (prosciugato nell’Ottocento). La presenza dei coloni e la stima di Roma nei confronti della leale città creerà tra esse un legame fortissimo, che porterà Alba Fucens ad un rapporto di fedeltà assoluta verso l’Urbe. Già, infatti, nei primi anni del III sec. a.C. una spaventosa coalizione (Etruschi, Umbri, Sanniti e Galli) puntava su Roma; gli Albensi e le popolazioni limitrofe si allearono alla causa romana favorendo così l’arrivo della vittoria di Sentinum (295 a.C.). Durante le Guerre Puniche, Annibale si inoltrò con i suoi eserciti nel cuore dell’Italia centrale e guidò una marcia verso Roma mentre le armate consolari erano lontane. L’Urbe in pericolo non poté fare altro che chiedere aiuto alle colonie vicine. Fu proprio in questo episodio che ancora una volta si manifesta la fedeltà di Alba, che invia 2000 uomini a contrastare l’avanzata di Annibale che si ritira verso sud (211 a.C.). Alla fine della Seconda Guerra Punica, Siface, re dei Numidi, fu catturato e portato in confino ad Alba (203 a.C.). Stessa sorte toccò a Perseo di Macedonia (168 a.C.) e a Bituito re degli Averni. Questi episodi confermano che la colonia in quel tempo venisse utilizzata come sede di prigionia dei re detronizzati. Nel corso delle guerre sociali Alba rimane ancora fedele a Roma resistendo ai numerosi attacchi dei socii ribelli. Al termine delle guerre sociali (91-89 a.C.), in applicazione della “Lex Julia Municipalis de Civitate danda”, la città come il resto d’Italia ottenne l’ordinamento municipale (municipium)ed i propri abitanti diventarono cittadini romani a tutti gli effetti. Negli scontri tra Mario e Silla (88/82 a.C.) Alba si schierò con Mario, mentre nella guerra civile tra Pompeo e Cesare (49/45 a.C.) le truppe di Pompeo stanziate nella colonia passarono deliberatamente dalla parte di Cesare. Durante l’età imperiale Alba vive un periodo di grande prosperità economica. In quest’epoca vengono riammodernati e abbelliti monumenti pubblici e privati mentre sorgono nuove strutture. Tutto questo benessere era dovuto anche all’incremento economico che aveva apportato la bonifica del Lago Fucino. La crisi e la decadenza della colonia iniziano nel III sec. d.C. e si accentuano nel VI sec. in seguito ad alcuni eventi sismici e le frequenti invasioni barbariche che comportarono, l’abbandono progressivo della città. In seguito al fenomeno dell’incastellamento feudale, nel IX sec. troviamo l’abitato concentrato sull’acropoli dove intorno al castello si formerà il villaggio medioevale.

La decadenza di Alba come colonia latina coincide con la decadenza dell’impero romano. Tra le varie cause ci furono naturalmente le invasioni barbariche , il collasso dell’amministrazione romana e la provincializzazione dell’esercito, ma anche la mancanza di manutenzione, con conseguente riallagamento delle terre emerse dalla bonifica del Fucino da parte di Claudio, nonché l’impossibilità di ricostruire gli edifici crollati a causa dei sismi. Inizia cosi’ il periodo degli spostamenti della gente del paese verso posti più in alto e difesi, magari più distanti dalla viabilità principale, che aveva determinato la grandezza di Roma e che ora invece favoriva i barbari nel raggiungere i grandi centri strategici come Alba. Questo momento definì, insieme al calo demografico del VI sec. d.C., l’abbandono della zona centrale di Alba, che si fa completo nel XI sec. con l’arrivo dei Saraceni, ed il costruirsi del borgo medievale sull’altura principale del Colle di S. Nicola, dove venne costruito il Castello. Con l’arrivo dei Longobardi questa zona venne annessa al Gastaldato di Spoleto (a Tagliacozzo in un palazzo sono ancora visibile gli stemmi). Fu con Ludovico II che passò a contea, sotto i conti dei Marsi con Berardo I, detto “Il Franciscus”. Nel 1173 diviene conte di Albe Rugerio. Successivamente il borgo venne distrutto da Carlo D’ Angiò nell’ ambito degli eventi che seguirono la battaglia contro Corradino di Svevia che si svolse nei piani Palentini, cioè sulle pendici a sud-ovest della collina. Dopo questo evento Alba cominciò effettivamente a perdere importanza come centro della Marsica e i suoi territori vengono contesi tra le grandi famiglie dei Colonna e degli Orsini. Infatti, dalla contessa di Gravina, Giovanna Durazzo, che era in possesso della contea (1372), passò agli Orsini che fecero ricostruire molti degli edifici danneggiati. Successivamente la contea fu consegnata dalla regina Giovanna II al fratello del Papa Martino V, Lorenzo Colonna (1428). Otto anni dopo i territori passarono a Giacomo Caldora, per tornare nuovamente ai Colonna ai quali, però, si sostituirono nuovamente gli Orsini con Giovanni Antonio nel 1441. Durante quest’epoca gli Orsini spostarono i centri d’interesse della Marsica da Albe a Tagliacozzo e Celano, arricchendo quest’ultimi sia economicamente che culturalmente, trascurando sempre di più Alba, la quale soffocata da queste due nuove realtà, non parteciperà mai a quel risorgere che ha interessato diversi centri nel Rinascimento. Con l’ instaurarsi del Regno Borbonico, vengono a spostarsi gli assi mercantili di terra delle vie della lana, impoverendo non solo Albe, ma tutta la fascia centrale che rimane al di fuori di questo commercio anche per il sorgere del fenomeno del brigantaggio che perdurerà fino all’inizio dei primi decenni del XX sec. La fine del borgo medioevale fu determinata dal terremoto del 1915, che sorprese nella mattina del 13 gennaio gli abitanti facendo molte vittime e riducendo il paese a un ammasso di macerie. Ultimamente, una piccola parte di esso e’ stata restaurata.

Dopo la catastrofe del 1915 furono erette nella zona aia di S. Maria (sotto le pendici del colle di S.Pietro), delle baracche di legno per i terremotati. Dopo pochi anni il genio civile costruì, con i contributi statali, delle dimore stabili asismiche all’interno della cinta muraria romana, formando una sorta di ferro di cavallo intorno al “piano di civita”. Essendo rimasto l’abitato sprovvisto di edifici pubblici, vennero fatti dei progetti per la nuova chiesa parrocchiale. Il primo risalente al 1921, dall’ing. Bultrini, il quale prevedeva un edificio provvisto di tre navate anziché una, e senza il riutilizzo degli elementi recuperati dalle macerie del terremoto, tra cui il rosone e venne quindi bocciato. In seguito, nel 1935, venne presentato un nuovo progetto, firmato dal geometra Colabianchi ed dall’ing Amorosi, che seguendo le indicazione della Soprintendenza e le nuove norme costruttive antisismiche, realizzarono la chiesa in una navata unica, prospetto frontale simile a quella distrutta (romanico aquilano), con inserito il rosone ed il portale originario della vecchia chiesa di S. Nicola. Durante la seconda guerra mondiale Alba si rivelò, come del resto in tutta la sua storia, un punto strategico. Nel 1943 il feld-maresciallo Kesserling pone il comando della linea Gustav a Massa D’Albe (l’attuale comune di cui Alba è frazione). Ad Alba Fucens, sulla “terrazza Nord” (probabile campus dell’antica città) fu posta la contraerea. Finita la guerra, con la vittoria degli alleati, venne abrogata la legge imposta da Mussolini che impediva l’emigrazione ed il paese cominciò a spopolarsi. Nel 1949 una missione archeologica belga, condotta dall’Università di Lovanio, cominciò una campagna di scavo portata avanti per circa un trentennio. Furono riportate alla luce, il piano di civita, dove erano concentrati gli edifici pubblici della città romana e l’anfiteatro. La città è ancora oggi oggetto di indagine da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo e di alcune università italiane e straniere.

La città

Alba Fucens è circondata da una possente cinta muraria in opera poligonale per un perimetro di 3 km, lungo la quale si aprono quattro porte. Ancora oggi si entra in città dalla Porta di Massa, a Est. Dalla Porta Massima, a Ovest, entrava in città la Via Valeria che poco dopo si immetteva nel foro. Il centro urbano è suddiviso da assi perpendicolari che disegnano isolati nei quali si inseriscono gli edifici dell’area pubblica. Via del Miliario, con andamento Nord-Sud, ricalca il tracciato della via Tiburtina Valeria in città; la trasversale Via dell’Elefante la collega alla parallela Via dei Pilastri. Il percorso di visita si svolge nell’area centrale della città, attraverso le strade e i principali edifici che su di esse si affacciano, inseriti in un contesto paesaggistico di estremo valore, dominato dalla cima del Monte Velino.

Gli edifici e le strade

Via dell’Elefante, così chiamata a seguito del ritrovamento di due basi con la rappresentazione di questi animali, conduce all’ingresso della Basilica (1) che occupa lo spazio compreso tra Via del Miliario e Via dei Pilastri. Nell’ampio edificio si amministrava la giustizia e, in caso di condizioni climatiche non favorevoli, vi si spostavano le attività del foro. Il podio rialzato sul fondo era forse il luogo in cui sedevano i magistrati e nella parte antistante due file di colonne, di cui si vedono alcune basi, dividevano l’interno in tre navate longitudinali. La luce entrava dalla navata centrale più alta. I tre ingressi sul lato lungo interrompono il muro a sacco in opera incerta.

Il Portico (2) antistante la basilica è stato identificato come diribitorium, ossia il luogo in cui si espletavano le operazioni di voto. Il perimetro è disegnato dalle basi di colonna a ridosso di Via dell’Elefante e dalle lastre pavimentali che coprono l’area. Più a Nord si riconosce la superficie allungata della piazza del Foro (B), centro nevralgico della vita amministrativa e politica della città. In fondo al foro, le indagini hanno messo in luce il Comizio (C), luogo di incontro per le adunanze cittadine, oggi non visibile.

Via dei Pilastri, parallela a Via del Miliario, è così denominata per la presenza dei pilastri che sostenevano un portico. Lungo il percorso, nella fila di ambienti simili che vi si affacciano, sono da riconoscersi delle botteghe o Tabernae (3). Una delle prime è il thermopolium, piccolo locale da ristoro come indica sul fronte il bancone per l’esposizione e la vendita delle pietanze e la vasca in pietra con tubatura in piombo per l’adduzione dell’acqua, sulla destra. File di tabernae si affacciano anche su Via del Miliario. Il Macellum (4) si estende a Sud della basilica ed era il luogo in cui si acquistavano prodotti di prima necessità come grano e carne. Vi si arrivava da entrambe le strade laterali. Nel II sec. d.C. il mercato subì un ripensamento e al primario aspetto di forma quadrata si sostituì quello attuale con botteghe in mattoni disposte a raggio su una piazza centrale. I quattro grandi archi sul fondo furono in quell’occasione resi inaccessibili.

Dopo il macellum, si accede alle Terme (5), destinate alla cura del corpo. Le colonnine in mattoni (suspensurae) che sostengono il pavimento, visibili in un ambiente su Via dei Pilastri, permettevano la circolazione dell’aria calda al di sotto. La vicina vasca era utilizzata come piscina. Nelle terme si trovano i bagni pubblici caratterizzati da alcune lastre di marmo con foro centrale inserite nel muro e servite da una fognatura sottostante. Il Teatro (6) sorge a sinistra di Via dei Pilastri, dove è possibile scorgere soltanto alcune tracce nella depressione concava ricavata nella roccia e riferita ai resti della cavea.

Il Santuario di Ercole si compone di un piccolo ambiente riservato al culto del Dio (7) e di un ampio piazzale antistante (8), dove, in anni recenti, sono state effettuate numerose campagne di scavo. Nel piccolo sacello era custodita la statua monumentale di Ercole seduto a banchetto, oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Chieti. La presenza del dio in corrispondenza di una piazza destinata al commercio di animali garantiva serietà nelle contrattazioni. Il dio Ercole era protettore del sale e degli armenti e per questo molto venerato in una società che attingeva il maggior sostentamento da un contesto rurale e pastorale. Attraversando il Piazzale del Santuario di Ercole (8), si arriva su Via del Miliario, dalla quali si accede, salendo dei gradini, ad un grande edificio, riconosciuto come Domus (9), ma forse utilizzato anche per altre funzioni (collegium). Il primo impianto risale al II sec. a.C., mentre oggi la vediamo nella ricostruzione del I sec. d.C. Nell’atrio è riconoscibile una depressione del terreno (impluvium) per la raccolta dell’acqua piovana che cadeva dall’apertura del tetto. Sul giardino porticato con colonne in mattoni si aprivano stanze da letto (cubicula) e stanze da pranzo (triclinia), pavimentate a mosaico.

Nell’isolato successivo recenti indagini hanno messo in luce nuove tabernae (10)ed un settore residenziale (11). L’ultimo monumento significativo è il Miliario (12), una colonna spezzata che dà il nome alla strada; ricorda la distanza di 68 miglia da Roma e i restauri promossi dall’Imperatore Magnenzio nel 352 d.C.

Al di fuori dell’area centrale, raggiungibile da un sentiero che si distacca dalla strada che conduce al colle di San Pietro, sorge l’Anfiteatro (D). Di forma ovale e con dimensioni di 96 x 79 metri, fu costruito nella prima metà del I sec. d.C. grazie al testamento di Quinto Nevio Sutorio Macrone, ricordato nell’iscrizione sull’arco di ingresso. Nella parte inferiore della cavea restano gli ingressi per i gladiatori e le bestie.

La Chiesa di San Pietro (E) sorge sulla collina omonima. Si imposta sul tempio di Apollo del quale restano alcune colonne originarie inglobate nella muratura. Quelle scanalate con capitello corinzio provengono da un altro edificio della città e dividono la chiesa in tre navate. All’interno si conserva un ambone e un’iconostasi di stile cosmatesco del XIII sec. d.C. La chiesa subì gravi danni durante il terremoto del 13 gennaio 1915 e fu in seguito ricostruita.

Adiacente alla Chiesa troviamo il Monastero Benedettino, la cui data di edificazione non è certa (si ipotizza dopo il X sec.), con impostazione tipica dei conventi dell’epoca, con chiostro centrale e cortile interno, sui quali si affacciano tutti gli ambienti che compongono il resto della struttura: dormitori, dispense, refettorio, cucina, magazzini e sale di preghiera. Al di sotto del chiostro, è da segnalare la presenza di un serbatoio di raccolta delle acque piovane, da cui si attingeva attraverso un pozzo centrale, tuttora funzionanti. Il Monastero non è visitabile in quanto sono in corso lavori di restauro.

CHIESA DI SAN PIETRO

La chiesa di San Pietro in Albe si erge sul colle di San Pietro, una delle tre colline che circondano Alba Fucens. Le prime testimonianze relative alla presenza di questo luogo di culto cristiano risalgono alla metà del VI secolo d.C., quando il tempio romano di Apollo, del III secolo a.C., fu convertito in chiesa. Il tempio, di cui si conservano tre lati, aveva in origine un portico con quattro colonne. Della fase paleocristiana rimangono labili tracce, tra cui i frammenti di rilievi esposti nel Museo d’Arte Sacra della Marsica, a Celano (AQ). Nel XII secolo il muro di fondo fu parzialmente abbattuto per creare l’abside e la sottostante cripta, lo spazio interno fu suddiviso in tre navate e le murature dei lati lunghi furono prolungate oltre il colonnato del tempio romano, inglobando le colonne laterali dell’antico portico. Al centro della nuova facciata fu eretto un campanile, che tuttora funge da insolito accesso alla chiesa. Tra il XIII e il XVIII secolo la chiesa fu oggetto di continui restauri e rimaneggiamenti. Nel 1915 un violento terremoto provocò ingenti danni a tutto l’edificio, i cui restauri furono eseguiti nel periodo 1955-1957 e comportarono il consolidamento delle strutture portanti tramite l’inserimento di un’intelaiatura in cemento armato. All’esterno il visitatore può subito notare la diversa tipologia e qualità dei materiali che costituiscono le murature dei lati lunghi della chiesa, ossia grossi blocchi squadrati in pietra calcarea – facenti parte dell’originario tempio romano – e pietre di piccole dimensioni, appena sbozzate, utilizzate per il prolungamento dei muri antichi durante il XII secolo. Superato il portale d’accesso alla chiesa – che era chiuso da ante in legno magnificamente intagliate, ora esposte nel citato museo di Celano – la vista del suggestivo interno è subito attratta dall’ambone e dall’iconostasi duecenteschi, con i loro notevoli mosaici colorati e intarsi in porfido rosso e verde, tipici dell’arte cosmatesca. Sui muri laterali della chiesa il visitatore potrà andare alla ricerca di numerosi graffiti di epoche diverse e con contenuti di vario genere, tra cui brevi componimenti poetici ed annotazioni su avvenimenti quali la riparazione del tetto del tempio di Apollo o l’avvenuta sepoltura di sacerdoti. Non mancano graffiti figurati con rappresentazioni di animali, navi, etc. Prima di uscire dalla chiesa, ci si può soffermare a guardare il gran numero di piccoli fori praticati nei blocchi calcarei dell’antico tempio, probabilmente utilizzati per sostenere la decorazione delle pareti, forse abbellite da lastre in marmo.

a cura di Marco Di Pangrazio