Contro la sindrome autoreferenziale dei circoli chiusi

Modi autentici di partecipare, per non cullarsi sugli allori del tempo che fu. Bologna deve fare di più e meglio

di  Vittorio Zandomeneghi, consulente aziendale


L’intervento di Mariagrazia Bonzagni, neo direttrice dell’Istituto Parri, mi offre lo spunto per una breve riflessione sul tema della partecipazione. Partecipazione vera e autentica, non formale e di facciata, come spesso ci siamo abituati a vedere. Ne abbiamo a mio avviso urgente bisogno, soprattutto in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo.

Mi si perdoni di iniziare con un riferimento personale sul tema, che riguarda direttamente l’Istituto Storico Parri di Bologna, nient’altro che una coincidenza.

Appassionato di storia contemporanea e storia della resistenza, appena maggiorenne avevo fatto il tesoriere dell’Istituto per la storia della Resistenza della città dove sono nato. Arrivato all’Università a Bologna, ricevevo gli inviti ai dibattiti e spesso, negli anni a seguire, partecipavo agli incontri organizzati dal Parri.  Un giorno, dopo un interessante dibattito sull’anno delle stragi ed in particolare dell’Italicus, decido con entusiasmo di iscrivermi e qui inizia l’avventura.

Scrivo all’Istituto e mi arriva una risposta molto formale in cui si dice la mia richiesta è stata inoltrata al Direttore dell’Istituto che si “occuperà di illustrare la prassi dell’Associazione”. Non sapendo di che prassi si tratti, aspetto fiducioso. Nessuna risposta.

In un incontro seguente, mi ricordo della richiesta che avevo fatto mesi prima e chiedo cortesemente in segreteria se mi posso iscrivere direttamente sul posto. Mi guardano perplessi, dicendomi devo fare una formale domanda all’Istituto e aggiungendo che di più non mi sanno dire.

Dopo qualche mese, scrivo di nuovo, chiedendo un gentile riscontro alla mia richiesta. Ricevo una risposta, con in copia l’allora Direttore, che mi comunica testualmente:

“ai sensi dell’art. 7 dello statuto, la richiesta di associazione, viene valutata dall’Assemblea dei soci. Sarà nostra premura sottoporre la sua domanda alla prima seduta dell’assemblea medesima e comunicarle la decisione concordata, che sarà sicuramente positiva”.

Da allora nessuna risposta, nemmeno negativa (era il 30 settembre 2015).

La morale che vorrei trarre da questa piccola storia è molto semplice e credo non serva dilungarsi oltremodo. La responsabilità di chi gestisce un’istituzione culturale, a mio modo di intenderla, è quella di aprirsi alla cittadinanza, creando forme autentiche di dialogo e di partecipazione inclusiva, fuori da formalismi burocratici o da addetti ai lavori. Una grande operazione di porte aperte e ascolto del nostro malandato corpo sociale, questo è quel che può servire, in questo sciagurato momento di solitudine e di perdita di senso, in cui i vari populismi gridano a squarciagola.

I migliori auguri quindi alla svolta partecipativa del Parri, quella autentica. E ai molti che seguiranno l’esempio.


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