Cinema, il ritorno di Woody Allen è ancora una volta un capriccio del caso

diSara D'Ascenzo

Nel solco delle atmosfere di «Match Point» il regista newyorkese torna a parlare dello zampino del destino nelle nostre vite in «Coupe de chance»

«Coupe de chance» di Woody Allen

Fanny (Lou de Laâge) è bella, giovane, colta, lavora in una galleria d'arte di Parigi, attività perfetta per non intaccare la sua chioma fluente, i suoi larghi occhi chiari, il suo charme tipicamente parigino. Accanto a lei ha un uomo più grande, «arrivato», il marito Jean Fournier (Melvil Poupaud), ricchissimo manager dal passato un po' oscuro. Vacanze in campagna (non troppo amate da Fanny), cene eleganti, amici (forse un po' anzianotti per lei). Cosa potrebbe turbare la bella Fanny? Lo specchio nel quale riflette la sua immagina e vi rivede sé stessa alle superiori è Alain (Niels Schneider), aspirante scrittore un po' squattrinato, sufficientemente bohémienne da attrarre Fanny, dal farle desiderare di togliersi di dosso (non solo letteralmente) il soprabito chiccoso o il blazer perfetto con i quali affronta il mondo. Lui era pazzo di lei al liceo e lo è ancora. Lei vorrebbe resistere, ma finisce per provare, forse, il vero amore per un coetaneo senza gli agi del marito che scrive il suo nuovo romanzo in una soffitta parigina che fa tanto nouvelle vague. E' il modo ironico per Woody Allen di mettere il piedino nel cinema francese, dove il film è stato girato, che ha accolto il regista dopo l'anatema americano su di lui scagliato dal metoo. Parigi è la quinta giusta per un film che scarnifica da dentro la coppia borghese, come negli anni passati Woody fece con la famiglia («Interiors») o con le convenzioni che non permettono l'ascensore sociale («Match Point»). Non ci sono battute folgoranti, non è sulla risata che il maestro della freddura si concentra, ma su una sovra-ironia, strutturale, che guarda la vita dall'alto in basso e ci osserva annaspare, soffrire quando non pensavamo di doverlo fare più, godere e gioire inaspettatamente, e poi precipitare nella disperazione. E' la vita, ed è così che la vede il vecchio Woody. Per farlo, sceglie quattro attori (la quarta è Valérie Lemercier che interpreta la mamma di Fanny) che compongono un raffinato kammerspiel (dramma da camera) con puntate all'esterno dove tutto viene continuamente rimesso in discussione. E dove il destino di ognuno di noi si compie ci segue sempre. Per premiarci, forse. Ma più probabilmente per giocarci l'ultima beffa. Non aspettatevi la perfezione di «Match Point», al quale giustamente il film è accostato. Qui siamo nel terreno morbido e soave del divertissement. E a 88 anni ce lo si può permettere.
Voto: 7,5. Woody o si ama o si odia. Se si ama si prendono i suoi film come regali per chi ama andare al cinema e nel tempo prestabilito di un'ora e mezza, non oltre (bravo!) si vive con lui di sorrisi e di amarezze. Fedeli al principio che è meglio soffrire perché è un film è finito troppo presto piuttosto che soffrire perché dura troppo.

«Il male non esiste» di Hamaguchi Ryusuke

In un piccolo paese del Giappone rurale, il possibile arrivo del glamping, il campeggio di lusso immerso nel verde, altera gli equilibri di fragile convivenza tra l'uomo e la natura. La piccola Hana, che vive col padre fuori dal folto del bosco, scompare. Lo scontro tra questi due eventi è destinato a incidere nelle vite di tutti. Hamaguchi esplora l'inesorabile sfilacciarsi dell'antropocene, il tramonto del potere incontrastato dell'uomo su ciò che lo circonda: animali, piante, falde acquifere. Tra gli abitanti, che vivono calati nell'alchimia di una natura che si fa addomesticare solo quel tanto che serve alla sopravvivenza o qualcosa di più, l'arrivo dell'estraneo è una ferita che forse andrà lavata col sangue, sicuramente cambierà l'esistenza di molti. Il regista impone i ritmi della sua cultura: lo spettatore va portato al limite mentre assiste alle prime scene e aspetta una parola che non può arrivare: il boscaiolo tuttofare è solo e intento a spaccare la legna per interminabili minuti. È il modo del regista di farci entrare nella tela che ha costruito per noi: lentamente ci scivoliamo e poi ne usciamo a fatica, mentre lui dissemina la scena di falsi indizi. Come la piuma che si ritrova ai bordi del lago ghiacciato e che sembra alludere al «Primo Comandamento» di Kieslowski. Ma qui non c'è la critica alla scienza, non il dito puntato sul positivismo. C'è invece l'amara consapevolezza dell'inettitudine dell'uomo che più si allontana dal suo vero essere più deve sopravvivere col sangue annacquato. 
Voto: 8. Hamagutchi chiede uno sforzo allo spettatore. Ma è ripagato da un gioco di specchi tra inizio e fine, con i rami degli alberi che nascondono più che rivelare. E un'atmosfera sospesa che non vuol mai dire qualcosa di buono. 

«Improvvisamente a Natale mi sposo» di Francesco Patierno

Lorenzo (Diego Abatantuono), vedovo da tempo, annuncia alla famigliola riunita nel suo albergo in Cadore per le feste di Natale che quest'anno c'è una sorpresa. Il nonno si è innamorato e vuol sposare il simbolo dell'Italia da bere anni '80, l'ex top model Carol Alt, ancora bellissima. In una sceneggiatura che brilla per schematismo, la figlia (Violante Placido) ha il compito di fare quella che se la prende e comincia a indagare sull'aspirante matrigna, scavando nel suo passato; la nipotina (Valentina Filippeschi), innamorata di un influencer, vuole salvare la tradizione del paese portata avanti dal parroco (Nino Frassica) con i simboli natalizi (albero, coro della chiesa, palle di neve) contro l'odiato sindaco (Elio); e il padre (Pietro Reggiani) fa l'inevitabile parte del papà costretto a rendersi conto che la figlia adolescente è cresciuta. Nella più classica delle cornici natalizie, il film di Patierno è ambientato in un hotel diretto da Otto (il Mago Forrest) che all'occorrenza può fare perfino da wedding planner per Lorenzo e togliere le palle blu dall'albero perché disturbano l'armocromia della nuova padrona. Film dichiaratamente per famiglie, «Improvvisamente a Natale mi sposo» ha il difetto di non parlare però veramente a nessuno. Non ai giovani, perché strizza loro vari occhi ma con un linguaggio vecchio e decisamente obsoleto, cercando erroneamente di attrarre i giovani con le mode e non con contenuti che li incollino alla poltrona del cinema. Non agli adulti, perché la storia d'amore tra Abatantuono e Alt non è credibile nemmeno per un minuto. E neppure all'età di mezzo, rappresentata da due personaggi che non suscitano né simpatia né empatia, espressivi come due pesciolini in un lago ghiacciato. Poche idee di sceneggiatura e tutte già viste, buone - forse - per una serata di streaming. Non certo per una serata al cinema.
Voto: 5. Trama scontata, recitazione meccanica. Anche se Abatantuono, Frassica e Mago Forrest hanno il loro perché. Completamente fuori ruolo Elio, imbrigliato in una parte insulsa, che lo fa sembrare un automa. 

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6 dicembre 2023 2023 ( modifica il 8 dicembre 2023 2023 | 18:45)