“Cerchiamo di aiutare i nostri connazionali oltreconfine”. L’intervista a Fabrizio Ferragni, direttore di Rai Italia

“Con la nostra programmazione proviamo a far mantenere agli emigrati italiani all’estero il legame con il proprio territorio di origine, considerando anche che molti di loro continuano a partecipare alla vita politica italiana attraverso il voto elettorale, con cui scelgono 12 deputati e 6 senatori”, afferma

di Cristina Penco
Foto: Fabrizio Ferragni, ©Eleonora Ferretti

Da focolare catodico che, nel secondo dopoguerra, riuniva parenti, amici e vicini, ad attuale rete a raggiera, fisica e virtuale, che, in un mondo globalizzato, in costante movimento e in frenetica trasformazione, aiuta gli italiani con la valigia a mantenere saldo il legame con le proprie radici. E cerca di far conoscere agli stranieri l’inestimabile patrimonio made in Italy, dalle eccellenze artigianali ai beni storici, artistici e culturali. In settant’anni, a partire da quel 3 gennaio 1954 che ha segnato il debutto ufficiale della televisione nello Stivale, attraverso il servizio pubblico della Rai – Radio Televisione Italiana, quella scatola magica guardata inizialmente con ambivalenza, ora con stupore e fascinazione, ora con diffidenza e perplessità, ha accompagnato l’evoluzione del popolo tricolore, nelle sue esigenze e nei suoi costumi.

Ha però continuato a esercitare una funzione fondamentale: quella di unificazione, un tempo principalmente linguistica, ora soprattutto culturale, affettiva e morale – ma non meno importante – invitando chi è andato via a “non disunirsi”, per citare una celebre espressione tratta dal film È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino.

‘Il Corriere dell’italianità’ ha intervistato Fabrizio Ferragni, direttore di Rai Italia, attualmente visibile in 40 milioni di case nel pianeta, con la copertura di 174 Paesi e un bacino di utenza pari a 80 milioni di oriundi e 250 milioni di italici (inclusi i discendenti dei connazionali emigrati altrove). Già disponibile attraverso quattro canali in America del Nord, America del Sud, Africa, Asia e Australia, da poco Rai Italia è sbarcata anche in Gran Bretagna e in Spagna, nell’ambito di un accordo di distribuzione tra Rai Com e World Stream in cui, in prospettiva, rientreranno anche altri territori europei tra cui la stessa Svizzera.

C’è un filo invisibile che continua a legare passato e presente?

«La Rai ha accompagnato la crescita dell’Italia da quando ci si riuniva nelle piazze o nei bar del paesino o si andava a casa dei vicini a vedere le prime trasmissioni sui primi televisori. All’epoca dei suoi esordi e nei primi decenni di attività la tv pubblica è stata un punto di riferimento fondamentale per il nostro popolo. Adesso siamo in piena rivoluzione, con il digitale, che ha già trasformato tutto enormemente. C’è stata una notevole frammentazione, non solo per quanto riguarda il pubblico, a fronte dei tanti soggetti che si sono aggiunti nel settore (per cui, per fare un esempio, i 30-40 milioni di spettatori di un tempo, con il 30-40% di share, registrati dal ‘Tg1’ o da speciali come ‘TV7’, adesso sono numeri impensabili), ma anche relativamente ai sistemi di comunicazione. Ormai siamo completamente in un’altra era, in cui la tv va in onda anche sul computer, sul tablet o sul cellulare. È giusto guardare al passato, però bisogna anche pensare a come rapportarsi al futuro in quanto servizio pubblico, capendo in che modo, oggi, possiamo avere altre occasioni di far crescere la collettività, visto che non siamo mossi dall’interesse commerciale di una sola parte, ma, per l’appunto, come suggerisce la definizione che ci caratterizza, siamo al servizio di tutti».

Ai giorni nostri la comunità tricolore è sempre più espansa nei cinque continenti. Quali sono le vostre sfide attuali?

«La presenza degli italiani nel mondo è già molto cambiata e sta ulteriormente cambiando, soprattutto rispetto alla prima emigrazione di inizio Novecento, poi a quella dopo la Seconda Guerra Mondiale e, ancora, a quella avvenuta durante la ripresa economica degli anni Sessanta e Settanta, con esodi a frotte verso destinazioni relativamente vicine come il Belgio, la Germania, la Svizzera (dovuti in gran parte alla povertà e alle tensioni politiche dell’epoca nello Stivale, ndr). Adesso si contano annualmente migliaia di ragazzi tra i 18 e i 34 anni (il rapporto Censis 2023 parla di 36.125 giovani con un’alta percentuale di laureati, ndr) che lasciano la Penisola per svariati motivi, tra cui il desiderio di conseguire un’alta specializzazione professionale e quello di trovare un’occasione lavorativa che sia più premiante rispetto a ciò che offre il Paese natale. Da una parte, con la nostra programmazione, cerchiamo di aiutare i nostri connazionali trapiantati oltreconfine – gli ultimi dati parlano di 6 milioni di persone iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) – a mantenere il legame con il proprio territorio di origine, considerando anche che molti di loro continuano a partecipare alla vita politica italiana attraverso il voto elettorale, con cui scelgono 12 deputati e 6 senatori. Dall’altra parte, ci sono anche gli italiani che, a vario titolo, girano il mondo da tanti anni. Per tutti loro abbiamo pensato a una programmazione in doppia lingua con sottotitoli in inglese e in spagnolo in molte trasmissioni, come ci hanno chiesto in più circostanze e a più riprese, affinché possano coltivare le loro radici. Utilizziamo anche i prodotti bilingui per avvicinare gli stranieri verso l’Italia, impegnandoci a dare loro l’opportunità di conoscere il Paese. E così differenziamo la programmazione non solo per fasce orarie di messa in onda, ma anche per la tipologia di contenuti rispetto all’area in cui sono trasmessi, per esempio con palinsesti più focalizzati sul food e sull’alta tecnologia in Nord America o sulle eccellenze italiane come la moda e il canto lirico nel Sud-est asiatico. Quello che abbiamo cercato di fare nell’ultimo anno e mezzo, oltre a offrire il meglio delle reti generaliste del servizio pubblico, è stato dare una forte connotazione di tipo identitario a Rai Italia, con produzioni originali e su misura per il canale e i suoi telespettatori».

Educare, intrattenere, far sognare: erano questi gli obiettivi principali del neonato servizio pubblico. Dopo sette decenni di attività, cosa ci si propone?

«Le linee direttrici sono sicuramente mutate e si stanno ulteriormente evolvendo. Credo che adesso la televisione debba soprattutto informare in profondità e dare consapevolezza. Uno dei progetti recenti su cui stiamo lavorando punta ai cosiddetti cervelli in fuga, che noi, però, vogliamo tenere uniti in una rete, in modo che abbiano sempre una connessione con il nostro Paese. Mostriamo anche quali sono le opportunità per chi volesse considerare di rientrare in Italia. È pure un modo per far sentire la vicinanza della propria terra d’origine, per non abbandonare quelle risorse che peraltro abbiamo contribuito a formare, sul fronte delle competenze e dal punto di vista economico, attraverso tasse e contributi. Potrebbe essere un mezzo per mostrare agli stranieri che fossero interessati le capacità dei nostri sistemi di formazione. È una missione in cui crediamo fortemente, da portare avanti insieme al Ministero del Lavoro, al Ministero dell’Istruzione e alla ricerca scientifica e universitaria».


Rispetto alla fuga dei cervelli, dall’ultimo report InterNations l’Italia risulta l’ultima in Europa per attrattività. I progetti che avete in cantiere potrebbero aiutare a rivedere questa prospettiva?


«I numeri di ricerche come quella citata sono veri, però sarei meno pessimista. La rotta può essere invertita. L’Italia ha bellezze e ricchezze uniche al mondo, con 59 siti Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Parlavamo prima di università: abbiamo quella di Bologna, la più antica del mondo occidentale, e poi la Scuola Superiore Normale di Pisa, quella di Padova, La Sapienza di Roma, i Politecnici di Milano e di Torino, solo per citarne alcune. Il Bel Paese, poi, è sempre stato un motore per l’Europa e per il mondo. Lo si è visto distintamente durante la pandemia, quando, per esempio, il settore automobilistico globale si è fermato perché dalla Penisola non arrivavano più i componenti per le vetture, uno dei fiori all’occhiello della nostra produzione. Dobbiamo essere consci di tutto ciò e trovare sempre più opportunità e modi per valorizzare questi aspetti. Rai Italia farà la sua parte. Ho in mente anche il nostro nuovo programma ‘On The Road – Verso il Giubileo 2025’ di Monsignor Walter Insero: girato in esterna, mostra al pubblico le bellezze e le curiosità di tutti quei luoghi collegati all’Anno Santo che richiamerà in Italia – secondo le attuali stime – 40 milioni di presenze turistiche. Siamo uno dei centri del pianeta per molti motivi. Abbiamo basi forti, consolidate, indiscutibili. Facciamole conoscere e apprezzare sempre di più».

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