Editoria Precaria (ma non solo)

Tra disoccupazione e precariato selvaggio

Che cosa significa essere precari a 30-40 anni?

problemi precariSi parla tanto di precariato giovanile, quello dei neodiplomati o dei neolaureati. E in effetti credo che sia l’indice dello stato di salute del paese: pessimo, con un piede nella fossa. Ma se è vero che i giovani precari rappresentano un problema grave, che cosa dire di coloro che giovanissimi non lo sono più? Come vivono i precari dai 30 ai 40 anni? (ma potrei anche inserire quelli di 50 e 60, perché ci sono).

Sono ibridi. Non sono più considerati neo-qualcosa. Non sono nemmeno i nuovi disoccupati, perché magari non hanno mai avuto un lavoro vero (quello delle ferie e della malattia pagata, quello con i contributi, quello con un contratto che si firma). Non sono in carriera ma lavorano tanto, non hanno uno stipendio buono e nemmeno crescerà, non hanno progetti a lungo termine ma hanno sempre qualcosa in testa, non sono assunti ma nemmeno disoccupati.

Che cosa significa davvero? Come incide la loro condizione sulla qualità della vita?

Essere precari in età adulta significa, per alcuni, non sentirsi mai all’altezza della situazione. Gli amici, quelli assunti, quelli che magari non hanno nemmeno una laurea, ma hanno trovato lavoro negli ultimi anni del “boom”, sono stati in grado di fare carriera e ora hanno tutto ciò che per un precario è un miraggio: una casa, un futuro, magari anche una famiglia.

E il precario 30-40enne è costretto a farsi delle domande. A ripensare alle scelte fatte in passato, a mangiarsi le mani per essersi lasciato sfuggire quell’occasione (che magari non lo era nemmeno), a chiedersi costantemente se è nel posto giusto a fare la cosa migliore che può fare. Nella sua condizione.

Per altri, invece, essere precari da adulti è fonte di incazzatura perenne. Vivono ogni giorno come fosse una battaglia. Perché devono emergere, non possono sentirsi dei falliti perché non reggerebbero il colpo, allora reagiscono estraendo unghie affilate come coltelli. E sono sempre in movimento, sembra che debbano salvare il mondo con i loro stracci di collaborazioni temporanee. Non è così, ma almeno salvano loro stessi.

bank dayEssere precari significa camminare costantemente su una lama sottilissima. Significa gioire come un bambino se magari il capo ti ha fatto un sorrisino o loda il tuo impegno: quello è la speranza che ti fa sognare un lavoro dove puoi permetterti addirittura di non lavorare quando ci sono i ponti o quando hai 39 di febbre, senza rinunciare ai soldi e senza sentirti in colpa manco fossi Barabba.

Significa cadere in uno stato depressivo ogni volta che ti vedi passare accanto il giovane neo assunto, probabilmente “figlio di”, ma comunque giovane, con un contratto, con il sorriso. Ma questa volta quel sorriso ti toglie ogni speranza.
Oppure ogni volta che fai un errore: certo, chi più lavora più è a rischio di errore, ma questa verità per il precario può assumere connotati tragici. Perché sì, basta un errore e il contratto non si rinnova.

Essere precari a 30-40 anni significa essere adulti ma non essere riconosciuti come tali. D’altra parte non si possono avere progetti da adulti, le responsabilità che si hanno si limitano ad arrivare a fine mese e non si possono aumentare più di tanto. Significa confrontarsi costantemente con chi precario lo è magari da tre mesi, con chi ha 10-20 anni in meno ma si lamenta come un sindacalista, oppure ha tante energie che nemmeno lo sente il suo precariato. Le stesse energie che magari avevano tutti, a quell’età, ma che con gli anni si stanno esaurendo.

5751428110_baf49ce2f0_oSignifica, quindi, vivere in uno stato di perenne post-adolescenza. Quando ci si poteva permettere la pizza della settimana e se andava bene anche un film al cinema ogni tanto. E quelle erano le gioie della vita. A 20 anni. Ma a 30 o 40 sono rimaste le stesse. “Bello, spiriti giovani”, direte voi. O dicono i politici che sostengono la “flessibilità“. Certo, ma la verità è che il precario adulto ha uno spirito molto evoluto e maturo, solo che è in gabbia.

I sindacati difendono chi ha già un lavoro vero. I sindacati lavorano per chi lavora. I sindacati fanno ridere, con amarezza, quando parlano di un contratto che non ha concesso 12 euro di aumento ai metalmeccanici o a chi per loro. È, appunto, un altro mondo. È come vedere gli alieni su Marte in tv.

Essere precari significa sentirsi maledettamente soli. La situazione esistenziale che vive un precario è condivisibile solo con chi la vive. Gli altri, quelli che non sono mai stati “progetti” o “a chiamata”, fanno molta fatica a capire. Anzi, non possono.

È come essere colpiti da una malattia grave. Le persone capiscono che la situazione è critica, hanno magari anche compassione, ma in fondo vivono a un altro livello. E di solito il precario lo percepisce come un livello superiore.

Come dargli torto? Nel suo livello, il precario deve fare i conti tutti i giorni con un lavoro che domani può esserci e può non esserci. Deve fare i conti tutti i giorni con l’età che avanza. Deve fare i conti con un futuro che è meglio fare finta che non esista. Deve fare i conti con una quotidianità che non coincide mai con la progettualità. Vivere il presente al meglio è l’imperativo categorico.

Essere precari significa non potersi lamentare perché l’importante è la salute. E il precario lo sa meglio di chiunque altro. Soprattutto quando gli anni scivolano tra le dita come sabbia. Lo sa, eccome se lo sa.

È un mondo parallelo, quello del precario adulto. Profondo, oscuro, incerto. È l’altra faccia della luna, quella che non si vede ma c’è. È un mondo silenzioso che non trova mai pace.

È un mondo che non ha voce, non ha futuro, non ha speranze. Non ha tutto quello che, nell’infanzia,  pensava fosse scontato. Non si può permettere certe cose, o non gli sono concesse: lavoro-casa-famiglia. La sua colpa? Non l’ho ancora trovata.

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34 commenti su “Che cosa significa essere precari a 30-40 anni?

  1. Annarital
    3 dicembre 2013

    Indipendentemente dall’età, essere precari non è una bella situazione in cui vivere.
    Ai giovani vengono strappate vie le speranze e con esse anche le possibilità di crescere.
    Ai meno giovani vien tolto oltre al pane (per sé e i suoi cari) anche la voglia di sentirsi utile.
    E a proposito di ciò, mi è venuta in mente questa canzone:

    • Bia
      3 dicembre 2013

      «Solo da indipendente si esiste, si resiste» eh… Non conoscevo questa canzone, molto molto carina! 🙂
      Sì, essere precari è una disgrazia per tutti, ma si parla meno dei “grandi” e volevo dare loro (dare a noi, mi ci metto anche io) un po’ di voce. Fanno (facciamo) meno “notizia” evidentemente…

  2. Kika
    3 dicembre 2013

    Sottoscrivo in tutto e per tutto questo tuo post. Hai descritto perfettamente le sensazioni che si provano e che solo chi vive o ha vissuto questa situazione può capire. Io mi ritengo ancora tra i più fortunati, da una parte perchè ho una famiglia che mi può sostenere e dall’altra perchè, non trovando contratti nemmeno più temporanei, paradossalmente vivo serena senza più l’angoscia del rinnovo/non rinnovo, farò bene/farò male. Siamo al punto che essere disoccupati – se hai le spalle appena appena coperte – è meglio che essere occupati precari, almeno per la salute!
    Mi sono permessa di segnalare il tuo post al blog del comitato InseriMenti Lab, che cerca di fare informazione e coesione sul tema del lavoro “over 30” (o meglio della sua mancanza): http://inserimentilab.wordpress.com/

    • Bia
      3 dicembre 2013

      Grazie mille cara! Anche se più che informazione io faccio una sorta di “outing” del disoccupato/precario, di tutto quel sommerso che vive proprio come dici tu: paradossalmente è più conveniente non essere occupati che esserlo in modo così incivile e bieco. Pazzesco. Insomma, l’importante è stare a galla e non impazzire 😉
      (e grazie ancora per la segnalazione!)

    • InseriMenti Lab
      3 dicembre 2013

      grazie mille per averci segnalati…

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  4. NonnaSo
    3 dicembre 2013

    magnifica. non per quello che dici, ma per come lo dico.. ovvio. brava.

    • Bia
      3 dicembre 2013

      troppo buona 😉
      È che per certi argomenti le parole vengono da sole e provengono tutte dalla bocca dello stomaco…

      • NonnaSo
        3 dicembre 2013

        già… 😦

  5. InseriMenti Lab
    3 dicembre 2013

    ottimo post, questo. E veritiero, specie perchè riesce a cogliere altri lati (perchè sono tantissimi) dell’avere 30 e più oggi, quello essere né carne né pesce all’interno del mondo lavorativo. Ecco, dici giusto, Bia, quando parli dei sindacati, chi ti scrive, a nome del comitato InseriMenti Lab ha avuto pesci in faccia dai sindacati, che dicevano che per gli atipici erano sprovvisti di copertura (anche se i sindacalisti giovani hanno provato ad accogliere le istante del comitato; è evidente che dall’alto sono stati azzittiti). Vero, è giusto comunicare e aggiornarci. Per non sentirci soli, prima di tutto

    • Bia
      3 dicembre 2013

      Esatto. Perché le istituzioni, il sistema lavoro, gli “occupati con contratto” sono gli unici a trarre vantaggio (consapevoli o meno) dal nostro isolamento.
      Sui sindacati non aggiungo altro, si commentano da soli…

    • Bia
      3 dicembre 2013

      ps. e complimenti per l’ottimo lavoro che fate!

  6. gretati
    3 dicembre 2013

    L’ha ribloggato su unacameraaparigi.

  7. lilaccci
    4 dicembre 2013

    ‘Pericolosamente’ vicina ai 30. Condivido in toto, anche perché molte situazioni le si vivono già a meno anni, se hai sempre dovuto provvedere a te stessa e magari vivi in una città che non è la tua, senza supporti familiari. Mi riconosco nel prototipo aggressivo, il solo modo che conosco per non impazzire e darmi ogni volta un senso ed una motivazione… Verissima anche la storia del cinema/pizza e del ‘collega’ con casa e famiglia. E’un quadro dell’orrore, a tutti i livelli! Ciao Biuzza :*

    • Bia
      4 dicembre 2013

      Ciao belè! Sapevo avresti capito le situazioni che descrivo, ahimè. Spero che la tua prossima decade però sia di tutt’altra natura 😉 :*

  8. Anonimo
    4 dicembre 2013

    Ciao cara, devo dire che che hai sottolineato molto bene la situazione, ne ho parlato anch’io, con i miei tre articoli sull’attuale mercato del lavoro e sulla disoccupazione femminile in età adulta (non più “neo” laureata o diplomata, come dici tu, non ancora in età pensionabile 🙂 !) E’ molto difficile, per un 30-40enne, non sentirsi più parte di quel mondo soltanto perchè ha superato l’età del contratto di formazione o apprendistato… possedere una qualifica professionale spesso significa avere il “proprio posto” nella società, il vecchio detto “il lavoro nobilita l’uomo” credo sia più che mai veritiero in questo caso… per chi, non avendo figli di cui occuparsi e che diventano il suo microcosmo, si sente obbligato a passare le proprie giornate come casalinga forzata, dopo magari aver ricoperto per molti anni un ruolo di un certo rilievo e a contatto con la gente, la vita perde il valore primario, resta la dignità di persona ma c’è un calo di autostima, e l’isolamento, a chi qualcuno può essere sottoposto, mettono davvero a dura prova lo stato psicofisico del disoccupato.

    • Bia
      4 dicembre 2013

      Esattamente! È proprio la situazioni di un esercito di persone, ed è anche la mia.
      Da “fuori” non è semplice capire i meccanismi mentali e psicologici di questa situazione (anzi, spesso non lo è nemmeno da dentro), tanto che qualcuno suggerisce di “fare un figlio”, come se fosse la soluzione. In realtà è un paradosso. Sarebbe solo un alibi per crearsi, appunto, un microcosmo dove per forza di cose ci si concentra su qualcun altro invece che su di sé e sulla propria condizione.
      Una vera soluzione, che non sia un palliativo, non c’è.

      • Kika
        4 dicembre 2013

        Capita anche a me la storia del “fai un figlio adesso”: di solito rispondo vagamente e sorrido a denti stretti. Ma chi lo dice non si rende conto che 1) avere un figlio dovrebbe essere una scelta ponderata e comunque un atto dovuto all’amore verso il figlio stesso, non un palliativo per se stessi; 2) proprio l’instabilità economica e l’incertezza del futuro rendono difficile prendersi una responsabilità così grande come quella di mettere al mondo (e mantenere, ed educare all’ottimismo e alla fiducia nel futuro) una persona?

      • Bia
        4 dicembre 2013

        BRAVISSIMA! È proprio quello che penso anche io, con tutta l’amarezza del mondo per il secondo punto, ma è così.

  9. cosavuoifaredagrande
    6 dicembre 2013

    qui dalle parti della scuola Attilio Regolo sappiamo benissimo cosa significa essere disoccupati, invece. =_____=

    • Bia
      6 dicembre 2013

      uh! anche qui si sa… Il confine sottilissimo che divide l’essere disoccupati dall’essere precari viene molto spesso varcato, a più riprese…

      • Kika
        6 dicembre 2013

        Tra l’altro, capita anche a voi di trovarvi di fronte a questionari da compilare o impiegati che ti chiedono i dati, e alla voce “occupazione” non saper cosa rispondere? Su questo punto la burocrazia è indietrissimo: mettono la scelta tra disoccupato/pensionato/casalinga/lavoratore dipendente / lavoratore autonomo (che poi si scopre voler dire “imprenditore” con partita iva). E il lavoro parasubordinato? E le prestazioni autonome sì, ma occasionali? L’ultimo questionario che mi hanno sottoposto era per aprire un conto corrente, quindi sono informazioni che vanno a finire in banche dati anche con valore legale, non mi andava di rispondere “tanto per”. Bene, primo ostacolo è stata la domanda di cui sopra (ma al posto di “lavoratore autonomo” c’era proprio scritto “imprenditore”). Che metto, disoccupata, casalinga? Ma allora come giustifico i bonifici che qualche santa volta mi arrivano sul conto? Non va bene. Non ricordo come le impiegate (ben due si sono arrovellate sulla questione) abbiano risolto la cosa; ma passiamo alla domanda successiva. “Settore di occupazione”. Una lista in cui non compariva nemmeno una voce che si adattasse ai lavori che svolgo – che tra l’altro sono in settori diversi, oggi come oggi uno si arrangia come può ma anche in questo la burocrazia sembra non capire: uno e uno solo potevi inserire. Insomma, è stato un vero parto :))

      • Bia
        6 dicembre 2013

        Ah! La burocrazia… ci metterà almeno altri 50 anni ad adeguarsi agli standard degli anni ’80, figuriamoci a quelli attuali.
        Certi dubbi vengono anche nella malaugurata circostanza in cui bisogna rinnovare la carta di identità… Una volta feci mettere Free lance. Che non vuol dire nulla o, meglio, vuol dire tutto e niente.
        Ma, spero di stare alla larga dai moduli il più possibile… 🙂

  10. patonyblog
    8 dicembre 2013

    Ciao Bia, ero io, a commentare il 4 dicembre, non mi chiedere perché, ma al posto del mio profilo è venuto fuori il nome “Anonimo”, mi sa che devo aver combinato qualcosa… ancora non mi è del tutto chiaro il funzionamento del blog! 🙂 Comunque incredibile, anche a me gli amici si rivolgono apostrofandomi: “Hai tanto tempo libero, perché non ne approfitti per fare un figlio?”! Mi sembra assurdo, nel 2013, relegare ancora il ruolo di donna a quello di madre o peggio casalinga… non che avere un “cucciolo” di cui occuparsi sia una brutta cosa, anzi, ma penso che si debba mettere al mondo un bambino per ragioni diverse, non di certo come riempitivo per un vuoto che si è creato dentro, per una non-soddisfazione professionale… mi pare molto egoistico e poco costruttivo, cosa ne pensi? Inoltre mi sento piuttosto incompresa, non capisco come facciano, le persone che dicono di volerti bene, a giudicarti in base al fatto che “hai molto tempo libero”… in primis, non è stato per scelta, secondo posso ben comprendere che chi lavora a tempo pieno possa aspirare ad avere più libertà per organizzare la propria vita privata, ma è diverso, ritrovarsi a casa tutta la giornata senza un “vero” scopo (in realtà c’è sempre da fare), senza avere un ruolo nella società (non siamo più negli anni ’60 in cui fare la madre e la casalinga era tipico per le donne), senza la soddisfazione che può dare svolgere bene un impiego e veder riconosciuti i propri sforzi a fine mese, con una retribuzione…, a volte con un senso di inutilità totale, non è una bella cosa… non siamo in vacanza, non siamo delle mantenute, almeno per quanto mi riguarda mi risulta molto pesante dover dipendere economicamente dagli altri… ed è triste, che chi dici di volerti bene, in fondo non ti capisce affatto.

    • Bia
      9 dicembre 2013

      Ciao cara Patony 🙂
      chi ci dice quelle cose a volte lo fa solo per cercare di aiutarci a trovare una soluzione, sbagliando. Chi ci vuole bene davvero lo capisce… Ma la condizione di disequilibrio che siamo comunque costrette a sopportare è troppo destabilizzante per pensare che esista davvero una soluzione (che non sia un lavoro retribuito almeno!). Che dire, teniamo duro…
      E grazie mille per i tuoi commenti che gettano ulteriore luce su questa situazione 🙂

      • patonyblog
        10 dicembre 2013

        Concordo… e grazie a te per tutti questi bei post… ciao! 🙂

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  13. Sarjo
    14 febbraio 2014

    Complimenti, ottima analisi.

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  15. Bettina
    28 settembre 2016

    Esiste anche un’altra categoria: i precari stagionali. Questi hanno dei rapporti di lavoro regolati da contratti a tempo determinato con un’azienda specifica, che durano magari da anni. Sono piccoli contratti, di pochi mesi ciascuno, che si aprono im determinati periodi dell’anno. Ad esempio, l’industria della moda si serve di queste forme contrattuali per le campagne vendita. Io appartengo alla categoria. È paradossale: non ci si puó definire proprio disoccupati, perché la continuità lavorativa c’è; tuttavia, non si hanno i benefit del posto fisso, es. aumenti anzianita’, ferie e malattie pagate. Inoltre, l’azienda puó decidere di chiudere la collaborazione quando vuole. La nota positiva è che solitamente la retribuzione complessiva per ogni contratto è interessante, e si riesce a vivere anche nei periodi in cui non si è in organico. Inoltre, queste figure nel tempo possono essere assunte fisse. Ma ci vogliono anni e pazienza. Alcune professioni, come ad es. venditore, possono passare da contratti stagionali a posto fisso come sales manager, cioè da precario a quadro in un attimo. Personalmente, darei non so che per tornare ai miei anni da neolaureata e fare altre scelte, l’instabilità, i periodi di inoccupazione, e sì, vedere gli amici sistemati e in carriera mi stanno uccidendo il morale e l’autostima.

    • Bia
      29 settembre 2016

      Come ti capisco! Non lasciarti logorare in questa attesa di qualche contratto, arrivera’, nel frattempo goditi la vita piu’ che puoi, le risorse che hai sono il tuo salvagente nei momenti piu’ neri e saranno la tua rinascita!

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