epifania e riflessioni personali

Riflessioni personali – da esercizio a epifania

Qualche mese fa ho iniziato un corso dedicato allo screenwriting, ovvero alla scrittura pensata per i prodotti visivi del cinema o della televisione.

L’ho fatto perché avevo bisogno di dare qualcosa alla mia anima che non fosse solo una formazione professionale, perché a volte dobbiamo anche ricordarci che noi non siamo solo il nostro lavoro, ma siamo persone con delle aspirazioni e dei sogni che finiscono per essere nascosti e sotterrati dalla mole di lavoro e di problemi legati ad esso.

Tra le ore ordinarie, gli straordinari, i ritardi dei mezzi, il tempo del viaggio tra casa e lavoro, lo stress, le commissioni personali, la pulizia della casa, e i bambini, ecc. non abbiamo quasi mai tempo per noi stessi, ma io avevo bisogno di darmi tempo, di curare la mia anima e allora ho iniziato questo corso.

Il primo esercizio, prima ancora di iniziare a parlare di cosa fosse lo screenwriting, è stato quello di indagare nel mio passato e di trovare l’episodio che più ha segnato la mia vita. Non pensavo di aver avuto episodi tristi, oltre alla separazione dei miei genitori. D’altronde ho avuto una madre che non mi ha mai fatto mancare niente, quindi devo dire che nonostante non fossi una bambina ricca materialmente, sono stata una bambina ricca d’amore.

Certo, ho avuto i problemi di sempre: compagni di classe che ti prendono in giro e ti isolano dal gruppo, un padre assente che preferiva lasciarmi dalla nonna piuttosto che passare del tempo con me, un corpo che non mi è mai piaciuto, l’insicurezza. Alcune di queste “ferite” le porto ancora oggi. Non sono ancora sicura di me, non sono ancora in pace con il mio corpo, ma ho accettato tutto il resto. Ho accettato di avere poche persone accanto, perché sono quelle poche che fanno la differenza. Il loro vero affetto vale più di un gruppo di amici vasto. Ho accettato molto tempo fa la separazione dei miei come un regalo per loro perché non ha senso vivere con chi ci fa del male, con chi ci fa sentire male.

Quindi, mi sono detta, cosa mai ci potrà essere di così sconvolgente nella mia vita? Non mi sembrava di ricordare nulla, ma scrivendo – perché scrivere per me è sempre la cura – è nata la mia epifania: la mia scoperta su me stessa.

Vi condivido quei pensieri qui di seguito.

Non sono sicura di riuscire a ricordare il momento più difficile della mia vita. Forse perché ho una memoria troppo labile, o forse perché il mio cervello è talmente funzionale da aver rimosso in modo automatico tutto ciò che non mi faceva stare bene.
Quello che so, è che sicuramente qualcosa deve essere successo quando ero ancora molto piccola, e probabilmente tutto è iniziato con la separazione dei miei genitori.

Ricordo di essere stata una bambina molto felice. Questo è ciò che dicono le foto, questo è ciò che dice mia madre e anche ciò di cui parlano i miei pochi ricordi. Sono stata molto felice e sono stata molto estroversa. Ero il tipo di bambina che non riusciva mai a smettere di parlare e doveva sempre raccontare tutto. Il tipo di bambina che in mezzo a una folla di estranei riusciva comunque a trovare i suoi amici del cuore, e che non aveva problemi a presentarsi, a farsi avanti. Ero una bambina senza timore e senza peli sulla lingua.
Mi hanno sempre detto che ero una bimba vecchia, troppo responsabile per la mia età.
Quella è forse l’unica cosa che continua a tenermi legata alla mia Giulia- bambina.

Oggi non sono più quella stessa persona; sono molto timida, tendo a rimanere isolata e ad avere bisogno di molto tempo prima di affezionarmi alle persone e poter condividere con loro la mia vita, le mie intimità. Sono una persona timida, soprattutto perché sono estremamente insicura. Non ho una grande opinione del mio corpo o della mia mente e questo mi ferisce in un modo tanto più profondo quanto non è influenzato dall’esterno, ma solo da me. Sono il mio peggior nemico, e nonostante sia razionale e consapevole di questo non riesco a liberarmi della mia stessa ombra.

Non so cosa sia stato a scatenare questi problemi di socialità e di autostima in me. Per molto tempo ho creduto che fossero connessi alla separazione dei miei genitori. Che fosse in un certo senso colpa loro, anche se a nessuno dei due ho attribuito mai davvero la colpa. È sempre stata una facciata; oggi lo so perché ricordo ancora i miei giorni in Grecia, in una vacanza quasi perfetta a Mykonos, in un’estate indimenticabile di coste ventose, piscine dalle acque limpide e sorrisi. Ed ero felice, ed ero ancora me, estroversa e serena, tanto da lanciarmi sul palco insieme agli animatori e riscaldare il pubblico con la mia sicurezza. E in quella vacanza non eravamo io, mia madre e mio padre. Loro già non stavano più insieme da anni, e mia mamma aveva ritrovato l’amore. Quindi no, non può essere stato quello a cambiarmi.

Forse è la consapevolezza, invece, di aver perso Andrea. Forse la colpa è sempre stata mia e del mio senso di colpa – perdonatemi la ripetizione. Vedete, raccontarvi questo fa male, fa più male di quanto io potessi pensare, eppure sono qui e mi metto in gioco e vi mostro il mio cuore aperto perché voi possiate operarlo, o forse perché possa essere io stessa a operarlo con uno specchio e queste parole. Ventisette anni, otto mesi e ventisette giorni fa ho perso la mia anima gemella; la persona che era destinata a conoscermi meglio, in tutto e per tutto, e a specchiarmi come una superficie riflettente.
Il suo nome è Andrea perché non è mai stato chiaro ai medici quale fosse il suo genere: a me del suo genere non è mai importato. Ciò che mi ha cambiato la vita è avere perso la sua vita.

Fin da quando ero molto piccola sentivo un vuoto nel petto. Mia madre anni fa mi disse che a volte gliene parlavo e che lei si emozionava a sentirlo. A quei tempi non sapevo a cosa fosse dovuto, poi, quando fui abbastanza grande, mi dissero la verità. Avevo un gemello o una gemella, ma era in cielo. Era morto ancora prima di venire alla luce. Anche mia madre e io eravamo sul punto di morire, ma grazie ai medici del Gaslini siamo entrambe vive, anche se vuote.

Ecco, forse è questo l’episodio più doloroso della mia vita. Un episodio di cui non ho nessun ricordo visivo, ma che forse il mio corpo e la mia coscienza hanno impresso a marchio per l’eternità.
Da quel giorno ho fatto mille ricerche e mi sono convinta, nel mio piccolo, che potrei essere stata io a togliergli la vita. Potrei avergli rubato il cibo ostruendo il canale che portava i nutrienti fino al suo corpicino ancora formato. Ancora oggi, quando arriva un attacco di panico, ripenso a questo, a come ho rubato la vita alla persona che amo indissolubilmente di più pur senza conoscerla. Altre volte, quando invece sono più motivata, mi ricordo che devo sempre lottare per due, vivere per due; che non posso fermarmi perché questa vita ha senso solo se la vivo anche per Andrea.

Non so se tutto questo abbia senso. Non so come sia arrivata a parlarvi di questo: mi hanno detto hai sette minuti per scrivere ininterrottamente dell’episodio che più ti ha segnato in tutta la tua vita, quello più doloroso. Mi hanno detto di mettermi a nudo, e io ho finito con il farlo. Sono partita scrivendo di non sapere che cosa fosse ad avermi fatto più male, e mi sono riscoperta con la scrittura.
Ora ricordo perché scrivo: perché è la mia cura; è la mia fonte di vita e di dolore e di gioia e di rimpianto e di emozioni delle più diverse tra loro.

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