G8 di Genova: la fine della politica e il trionfo della destra

da | Lug 20, 2023 | Corsivo, In evidenza

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Quando arrivano le date del 19, 20 e 21 luglio per chi visse i terribili giorni del 2001 scatta automaticamente quell’effetto della memoria che mentalmente ti porta ripercorrere quei momenti: a quell’ora ero lì e succedeva questo a quell’altra ero là e succedeva quello.

Negli anni questo processo si è sedimentato alimentando un continuum temporale per cui ciò che è successo 22 anni fa sembra accaduto ieri. Anni passati a ripercorrere, analizzare se non a decifrare ora per ora un evento gigantesco, ma che nella distanza temporale è andato via via assumendo una forma diversa come quando a bordo di una navicella spaziale ci si allontana da un pianeta.

Il G8 genovese incise un profondo cratere nell’immaginario collettivo italiano, per nulla “digerito” dalla politica di allora che circostanziò gli eventi: da una parte, la maggioranza di destra, rinfoderando gli artigli e destrutturando la storia  grazie alla potenza mediatica di stato supportata da quella privata del presidente del consiglio di allora, la buonanima di Silvio Berlusconi, dalla parte elle opposizioni, avvenne anche in questo caso una destrutturazione: una condanna delle violenze, la “macelleria messicana” di Massimo D’Alema, ma anche un tiepidissimo, se non nullo, sostegno al mondo che fu vittima degli eccessi sistematici delle forze dell’ordine, quasi come se inconsciamente, l’idea che se quelle istanze definite “no global” si toglievano di mezzo (se doveva succedere così, amen) tutto sommato, non era poi così male. Fu il colpo di grazia a quello che ad oggi rappresenta l’ultimo tentativo di dare una risposta alla crisi della politica con un movimento inter-ideologico e internazionale. Da lì il definitivo distacco dalla politica degli ultimi due decenni.

Di fatto per anni sui media e poi con l’avvento dei social sulle varie piattaforme, narrazioni e contro narrazioni   di quei giorni si sono contrapposte fieramente rappresentando una situazione nuova e a cui ci saremmo abituati progressivamente sino ad arrivare alle giornate pandemiche: più verità opposte fra loro potevano coesistere su binari paralleli che non si toccavano mai, ogni verità aveva il suo sostenitore e di fatto le narrazioni si capovolgevano in spettralità opposte: orde di manifestanti violenti avevano attaccato Genova da una parte, le forze dell’ordine avevano aggredito scientemente persone inermi infrangendo regole e ingaggi dall’altra.

In tutta franchezza, sembra assodato che se è vero che gruppi organizzati di agitatori si mossero lungo i cortei del 20 e 21 provocando le forze dell’ordine a reazioni violente (mai nessuno del black bloc fu fermato alla fine degli eventi, però) è altresì vero che poliziotti, carabinieri e agenti della guardia di Finanza diedero vita nel centro di Genova a una spietata caccia al manifestante con l’epilogo mai del tutto considerato nella sua gravità dell’irruzione alla Diaz e nella successiva detenzione dei manifestanti arrestati a Bolzaneto.

Se è vero, però, che resta aperta la necessità di ricordare e se possibile di fare ancora luce sulle catene di comando e sui processi psicologici che alimentarono quegli episodi  a distanza di tanti anni bisogna avere la lucidità per ammettere un ragionamento, ovvero che la maggioranza dell’opinione pubblica italiana che pure negli anni ’70 aveva mostrato capacità dialettiche e reattive nei confronti della vecchia cultura catto-democristiana sconfiggendola ai referendum su divorzio e aborto, poco più di 20 anni dopo accettava la narrazione governativa del poliziotto che difendeva la città dai manifestanti  introiettando il processo rappresentativo dell’”istituzione totale” che difendeva la “sua” popolazione dalla “devianza” dei manifestanti “sporchi e cattivi”. A qualsiasi costo.

Un’introiezione non di poco conto che negli anni ha fatto della destra di governo una corazzata inaffondabile e soprattutto ha mostrato un paradosso su cui pochi hanno fatto i conti: la stessa destra che gestiva i pestaggi da forte san Giuliano e che ora è al governo, brutalizzava i manifestanti che opponevano ai processi della globalizzazione un altro mondo possibile, oggi è la principale protagonista delle campagne per il made in Italy (un ministero assume addirittura questa dicitura) e contro i prodotti globalizzati, inserendo, ovviamente a buon peso, ma sapientemente nelle sue strategie “no global”, elementi razzisti e xenofobi.

Un capolavoro di rilettura della globalizzazione, in funzione nazionalistica e antieuropea, utilitaristica nell’adesione alla Nato per poter governare, ma fondamentalmente “multipolaristica” come piace a Vladimir Putin.

E la sinistra? Nulla. Se da una parte si può tranquillamente affermare che la lettura della globalizzazione della sinistra riformista è stata completamente errata, fondandosi su una lettura positiva di un’apertura di possibilità e un ampliamento di confini che avrebbe portato opportunità di sviluppo e di miglioramento sostanziale della qualità della vita, cosa nella realtà mai accaduta se non per pochi strati di ceti privilegiati a scapito dell’elettorato di riferimento che a blocchi ha abbandonato la nave progressista, la sinistra radicale si è chiusa in un “revivalismo”  fine a se stesso, nel tentativo di custodire memorie e parole d’ordine di quei giorni sempre più sbiadite nel tempo.

Lo sfilacciamento e la labilizzazione della sinistra nel suo complesso in questi 22 anni tradisce la mancanza di una capacità di fare comunità, di condividere valori concreti e praticabili come forse potevano essere le istanze del popolo del G8 di Genova; la crisi epocale, post pandemica, ambientale, occupazionale degli ultimi anni riporta di tanto in tanto alla memoria, come relitti che affiorano di tanto in tanto dopo un naufragio, le istanze di quegli anni e di quei giovani che le profetizzavano, per quanto nessuno immaginasse il disastro effettivamente avvenuto. Quella era una comunità di valori condivisi e praticabili dove si poteva ripartire, diversi dalla logica del profitto nel quale ormai siamo ipnoticamente soggiogati, vuol dire proprio quello che accade oggi: essere marginali e marginalizzati, nella migliore delle ipotesi ancorati e succubi dei maccanismi ai quali ci si dovrebbe opporre. Riuscire a riprendere le fila el ragionamento è difficilissimo, prenderne coscienza può essere un passo avanti.

 

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