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Conclusione dell’esercizio 1. Con problematiche…

IMG_4716Dopo le prime prove effettuate in classe, i bambini si sono esercitati durante la settimana sulla costruzione della messa in scena dei sentimenti e sul modo in cui fotografarla. Le maestre ci hanno raccontato che anche durante la ricreazione hanno assistito ad un continuo “traffico di macchinette”: i bambini creavano, posavano e scattavano in modo completamente autonomo e ciò non può che essere valutato come una risposta positiva agli stimoli e alla curiosità che abbiamo cercato di trasmettere. Con l’incontro di oggi, quindi, abbiamo visto e commentato una ad una le foto scattate da ogni gruppo, notando che sebbene abbiano usufruito di spazi diversi (classi, corridoio, il parco giochi vicino la scuola o il giardino sotto casa) si siano un po’ limitati a riproporre le dinamiche e gli schemi usati insieme la scorsa volta (come il “3 contro 1”). Ma ci sono anche un paio di esempi molto buoni.

DSCN3692Proseguendo con le esercitazioni anche nell’incontro di oggi, abbiamo fatto scrivere alla lavagna i diversi luoghi della scuola in cui era possibile scattare le foto: 1) palestra/ripostiglio, 2) soffitta, 3) aula di scienze, 4) aula di informatica, 5) bagni, 6) salone, 7) giardinetto, 8) parcheggio, 9) aule, 10) scale. Quale di questi si presta meglio alla rappresentazione di un determinato sentimento? Questo è stato il nostro quesito iniziale e, nel permettere ai bambini di riflettere sulle varie associazioni nel modo più semplice, chiaro ed intuitivo, abbiamo chiesto loro di dividere un foglio del quadernetto in tre colonne  scrivendo: in quella di sinistra, il sentimento che avevano scelto; in quella centrale, il luogo cui volevano associarlo o che ritenevano, appunto, più adatto; e in quella di destra dal titolo “la mia messa in scena”, scrivere delle idee, anche dettagliate, sul modo con cui rappresentare la situazione, la scena immaginata. Sono stati chiamati a leggere i propri appunti e a provare già come potrebbe essere la mimica e l’espressione – anche se sarebbe meglio non dare troppa importanza solo a questi due aspetti.

IMG_4747IMG_4744Raggiunta la palestra della scuola abbiamo provato a realizzare l’idea di Lorenzo relativa al sentimento dell’indifferenza: una bambina in primo piano che si concentra per fare un tiro al canestro, non curandosi di quello che è appena successo alle sue spalle, una sua compagna è svenuta e un’altra da dietro la sorregge. Dopo varie ipotesi iniziali e cambiando più che altro il numero di bambini che dovevano comparire nell’inquadratura (riducendoli quindi solo a tre), abbiamo lasciato che alcuni di loro scattassero la foto spingendoli il più possibile a diversificarla attuando dei cambiamenti soprattutto sul piano dell’attacco che della disposizione.

A tal proposito però, c’è da fare un’altra considerazione. Nel momento in cui si è usciti dallo spazio solitamente adibito all’educazione, all’insegnamento nella sua forma più classica, come l’aula, i bambini hanno iniziato a distrarsi, a svagarsi, a viverlo più come un momento ludico, di gioco, che come atto creativo, di esercitazione e osservazione per la costruzione di una messa in scena. Una soluzione, forse, poteva essere quella di dividere la classe del laboratorio in due gruppi e lavorare in parallelo con due macchine fotografiche, così da poter catturare maggiormente l’attenzione di tutti i bambini, da coinvolgere ognuno di loro incoraggiandoli a una partecipazione più attiva.

Per la seconda e ultima prova della giornata abbiamo scelto l’aula di scienze e qui si è resa ancora più evidente un’altra problematica inerente all’esercizio: il sentimento non deve trapelare tanto dall’espressione dei bambini che interpretano, quanto dalla messa in scena, giocando proprio su quei concetti che sono stati affrontati più volte negli incontri precedenti.

È importante che in questo lavoro sia lo spazio (da fotografare in questa fase) ad assumere un ruolo centrale instaurando un rapporto di contrappunto con la disposizione degli alunni-attori. La modalità di svolgimento dell’esercizio, nelle «regole del gioco» dettate dalla Cinèmathèque, chiarisce infatti che questa relazione, questa rappresentazione di un sentimento, debba essere espressa dalla messa in scena in un luogo preciso piuttosto che dal loro volto e dalla loro recitazione.

Le foto conclusive del lavoro:

Savini – conclusione Esercizio 1

I ragazzi ci hanno fatto avere, per tempo e tramite mail, le foto che hanno scattato da soli a partire dallo scorso incontro, così da poterle visionare in modo accurato e iniziare subito la lezione di oggi con critiche, riflessioni e interrogativi circa il loro lavoro.

Le impressioni che abbiamo avuto non sono state molto diverse da quelle che sono emerse dalla valutazione degli scatti fatti dai bambini delle elementari, e abbiamo ritenuto opportuno dare ulteriori spiegazioni. L’impostazione generale che hanno avuto nell’inquadrare e nel disporsi all’interno dello spazio è risultata sostanzialmente semplice e, in alcuni casi, anche piuttosto ripetitiva. Le foto sono per la maggior parte simmetriche e ortogonali, oppure scattate frontalmente, dovrebbero perciò variarne quantomeno l’angolazione. È inoltre evidente quanto loro possano essere condizionati da ciò che vedono abitualmente, limitati al flusso di immagini assorbite da tanta e tanta televisione e troppo poco cinema (di un certo tipo). Un’analisi critica del lavoro svolto è quindi essenziale per cercare di migliorarne l’approccio.

Marco ha poi proposto delle immagini che rafforzano il concetto della messa in scena su cui abbiamo voluto insistere, come lo splendido dipinto di Caravaggio, La vocazione di San Matteo. Le linee, la tensione evidente sui corpi che agiscono possono sicuramente rendere più visibile quel  determinato sentimento, così come il riuscire a sfruttare altre tipologie di disposizione.

Sono poi state mostrate alcune foto scattate da Josef Koudelka e un estratto dal film Vertigo per analizzare la posizione della mdp e i movimenti di macchina con cui Hitchcock ha ripreso il momento in cui Scotti vede per la prima volta la misteriosa moglie di Elster nel lussuosissimo ristorante (estratto presente del dvd della Cinematheque e molto significativo per l’uso cromatico dello spazio).

Proseguendo con l’esercizio “una foto / un sentimento”, abbiamo deciso di portare i ragazzi fuori dalla scuola raggiungendo la vicina Piazza Dante. Raggruppati in un vicolo, i ragazzi hanno iniziato a pensare come sfruttare al meglio le caratteristiche del luogo in cui si trovavano per rappresentare diversi sentimenti. Tra le principali difficoltà continua ad esserci quella dell’attacco, ossia dell’individuare il punto di vista della mdp in rapporto a ciò che si sta rappresentando. Così siamo stati attenti a chiarire, di volta in volta, le motivazioni per le quali alcune proposte possono funzionare ed essere prese in considerazione ed altre no.

In questa secondo parte dedicata allo svolgimento del primo esercizio abbiamo giocato molto sulla disposizione delle figure in primo e secondo piano, sull’impressione del movimento e sulla messa a fuoco – sebbene alcuni scatti evidenziano inequivocabilmente l’apporto personale del formatore.

Una foto / un sentimento – Esercizio n° 1

IMG_4629Con l’incontro di oggi abbiamo affrontato le dinamiche che regolano la messa in scena dando avvio allo svolgimento del primo esercizio assegnato dalla Cinèmatèque e che potremmo denominare “una foto, un sentimento”.

L’approccio iniziale è stato quello di simulare la posa di una foto, variando di volta in volta le espressioni del viso, la relazione tra i due soggetti, la distanza tra l’uno e l’altro; di far capire come una persona si muove nello spazio, come riesce a comunicare qualcosa, come si esprime con il viso, con i gesti. Ad esempio, prendendo un bambino e una bambina abbiamo provato a rappresentare (e quindi anche a differenziare), prima un rapporto di fratellanza, poi di amicizia, e infine d’amore.IMG_4637

Entrando più nello specifico, abbiamo disegnato alla lavagna due figure immerse in uno spazio e poi racchiuse in vari tipi di inquadrature, per diversificare delle situazioni, mettendo in evidenza gli elementi su cui bisogna lavorare per svolgere il primo esercizio:  la posizione dei due (o più) personaggi/attori, il movimento dei loro corpi; il rapporto tra di loro; e infine come bisogna fotografare/riprendere queste tre cose in modo tale da far capire che si è voluto rappresentare quel particolare sentimento. Così, dopo diverse lezioni teoriche, i bambini hanno cominciato a sperimentare direttamente la pratica della messa in scena, provando a rappresentare il sentimento della rabbia. Li abbiamo prima aiutati a comprenderne il significato, il come e quando questo sentimento si manifesta; poi ognuno di loro ha dovuto pensare a un’idea che potesse funzionare bene per il nostro discorso, magari attingendo anche alle immagini dai loro trascorsi, dalle proprie esperienze.

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Dalle prime proposte abbiamo notato che i bambini avevano pensato a delle situazioni ed espressioni che riflettevano più un sentimento di invidia che di rabbia, perciò abbiamo spiegato brevemente quale fosse la differenza e fornite delle piccole indicazioni. Un primo e significativo esempio ci è venuto da Alessio, che ha immaginato di rappresentare il sentimento attraverso il gesto e l’espressione con cui un compagno è intento a fermare un altro compagno che sta per strappare la pagina da un quaderno a cui lui tiene molto. Per far capire meglio come accentuare una simile situazione, abbiamo consigliato, nello scegliere le espressioni dei due compagni e la posizione dei loro corpi, che devono evidenziare sia il motivo che la conseguenza di quella rabbia, per quel gesto. I bambini hanno capito come, cambiando e migliorando anche di poco alcuni particolari, si possa ottenere un effetto migliore. Subito dopo un altro bambino, Fabio, ha scattato la stessa azione, ma collocandosi ad un punto diverso e utilizzando un’altra inquadratura. Mentre Federica ha preferito risaltare più i volti dei due compagni avvicinandosi soprattutto al compagno che sta subendo il torto e in cui risiede, appunto, il sentimento di rabbia.

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Dopodiché, ad uno ad uno i bambini sono stati chiamati a nominare un sentimento a cui hanno pensato e che potrebbe essere usato per le esercitazioni: invidia, avvertimento, curiosità, paura, amicizia, gioia, tristezza, riflessione, angoscia, malinconia, pazienza, indifferenza, vergogna, felicità, solidarietà, gentilezza, menefreghismo, solitudine. Alcuni di questi verranno rappresentati in classe anche nel prossimo incontro; sugli altri dovranno lavorare, individualmente, e al di fuori del laboratorio, nei prossimi giorni. Ognuno di loro dovrà scegliere almeno un sentimento, può farsi aiutare esclusivamente da un suo compagno o da una sua compagna – non da persone adulte, quindi – e chiaramente devono essere almeno in tre: uno che scatta la foto e due che interpretano la scena.

Per concludere abbiamo fatto un’altra prova in classe, in merito alla rappresentazione della solitudine, ideata e scattata da Gaia, poi da Piergiuseppe e Martina, da punti diversi dell’aula e da diverse distanze. Infine abbiamo provato a raccontare questo sentimento scegliendo uno spazio diverso e che lo amplifica enormemente: il corridoio. Anche qui sono state fatte alcuni scatti da diversi bambini, ma uno in particolare sembra evocare molto la solitudine, quello fatto da Emanuele, che ha pensato di sfruttare anche un altro elemento, quello della luce, o meglio della mancanza di luce, della zona d’ombra in cui era disposta la bambina in disparte.

Di seguito le foto che abbiamo selezionato da presentare alla Cinémathèque:

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Savini – Esercizio 1

Seguendo lo stesso procedimento adottato per la classe elementare, abbiamo chiesto ai ragazzi di scegliere un sentimento, associarlo ad un luogo della scuola e cercare di immaginare una giusta situazione, un’adeguata messa in scena, magari uscendo da immagini troppo stereotipate con cui un certo sentimento viene solitamente rappresentato.

IMG_4762 Trascorso il tempo necessario per lasciarli riflettere, ognuno di loro è stato chiamato a leggere quanto appuntato sul libretto e le idee che ci sembravano migliori venivano subito improvvisate. Nel sentire le loro proposte abbiamo messo in evidenza quella che ci è sembrata una delle ‘sviste’ ricorrenti in questo primo esercizio: lo scegliere delle situazioni, delle azioni che risultano visivamente poco efficaci, poco evocative o facilmente fraintendibili perché rinviano a qualcos’altro. Sebbene possano trovare delle difficoltà in questo tipo di operazione, è importante che i ragazzi riescano a trovare il modo di far coincidere il più possibile ciò che hanno immaginato (la propria idea) alla sua rappresentazione concreta, seguendo il metodo di lavoro e le varie indicazioni date per realizzarla. Per facilitare il compito dei ragazzi, abbiamo chiamato uno di loro alla lavagna invitandolo a disegnare, all’interno di un’inquadratura, gli elementi della sua messa in scena, descrivendo a voce il modo in cui le figure dovevano essere disposte e la loro posizione rispetto alla mdp. Con la partecipazione dei suoi compagni, abbiamo quindi stabilito quali dovevano essere i parametri di scatto.IMG_4798

In questo frangente, passando concretamente all’atto, alla realizzazione di un prodotto audiovisivo, si corre il rischio, per chi ha il compito di guidare un esercizio del genere,  di condizionare i ragazzi spingendoli ad un certo tipo di messa in scena, inquadratura, disposizione ecc., piuttosto che un’altra, limitando in questo modo anche la loro creatività, la loro libertà di espressione perché più attenti e interessati al risultato che alla pratica educativa in sé. E’ un pericolo più volte sollevato da Alain Bergala nel suo testo, L’ipotesi cinema, in cui paventa che l’oggetto da realizzare, foto o video che sia, diventi “la finalità stessa di una pratica creativa in classe, e di deviarla cosi dalla sua profonda ragion d’essere”. E’ un argomento importante sul quale torneremo e a cui lo studioso francese dedica alcune densissime pagine del suo volume.

Con gli alunni delle scuole medie si potrebbe anche fare un’ulteriore procedimento nell’atto di creare una messa in scena e di scattare una foto: potrebbero far finta di trovarsi in uno spazio vuoto (partire da un grado zero) e provare non solo ad inserirci gli attori-compagni, ma anche a cambiare elementi relativi alla ‘scenografia’ come è stato fatto, almeno in parte, con i bambini delle elementari.vergogna

Una prima prova più dettagliata l’abbiamo effettuata traendo spunto da un’idea che è venuta in mente ad una ragazza, su una tipica situazione di bullismo che però viene fermata da un gesto di solidarietà nei confronti di chi stava per essere colpito.

Con una seconda, invece, abbiamo provato a rappresentare il sentimento della vergogna inventando una situazione con un po’ di humor: una ragazza, seduta in prima fila, dopo aver fatto una puzzetta prova vergogna perché si accorge che i compagni vicino a lei ne hanno sentito il cattivo odore e la additano con scherno. In questo caso abbiamo tentato di sfruttare maggiormente lo spazio e le caratteristiche dell’aula in cui ci trovavamo.esclusione  solidarietà:aiuto

Inquadrare… – Noe Lucidi

disegno-da-riquadrareNel primo incontro pomeridiano abbiamo proseguito il discorso sulla messa in scena ponendoci ancora ad un livello sostanzialmente teorico, ma attivando anche dei meccanismi che hanno aiutato i bambini a mettere un po’ in pratica ciò che hanno finora imparato.

All’inizio c’è stato un breve ripasso dei vari tipi di inquadratura (spiegati nei due incontri di novembre) con l’ausilio di un cartellone completo della scala dei campi e dei piani che i bambini avevano precedentemente realizzato con le maestre, ritagliando delle foto su alcune riviste.

Per farli avvicinare, poi, al modo in cui si possono rappresentare le relazioni fra due soggetti o si può enfatizzare un sentimento preciso, abbiamo dato a ciascuno di essi un disegno che riuniva diverse ‘scenette’, tutte assemblate e non distinte fra loro, scrivendo alla lavagna questi cinque sentimenti: gioia, tristezza, solitudine, riflessione, paura. Ai bambini è stato dato il compito di individuare quali delle scenette nel disegno potevano ben rappresentare questi sentimenti, e inquadrarli, cioè racchiudere ogni scena cui associavano quel dato sentimento entro un rettangolo. Un semplice, ma efficace esercizio per far comprendere loro come la macchina da presa può ritagliare una determinata scena e, di conseguenza, come può cambiare il significato di un’inquadratura a seconda degli elementi che si decide di inglobare e del loro posizionamento al suo interno. Alcuni infatti, sono riusciti a comprendere esattamente l’importanza di questi elementi racchiudendo in modo perfetto gli elementi nel rettangolo, ossia nella loro posizione ideale. Ad esempio: per individuare il sentimento della solitudine, hanno tracciato un rettangolo che poneva l’albero e il minuscolo omino al suo fianco, nell’angolo in basso a sinistra, in modo da dare maggior spazio al paesaggio vuoto in cui erano immersi.

IMG_4586In linea di massima i bambini, individualmente, hanno associato uno stesso sentimento alla scenetta che lo evocava, ma hanno proposto anche delle varianti molto interessanti. C’è stato chi ha scelto un sentimento diverso fornendo una motivazione valida a quella scelta: ad esempio, l’immagine dell’aquila che sovrasta il coniglio lo ha inquadrato non per congiungerli al sentimento della paura, ma della riflessione: l’aquila sta pensando a come catturare il coniglio. C’è stato anche chi ha voluto differenziare l’inquadratura aggiungendo un altro elemento, quello del colore, così da poter risaltare ogni sentimento. Inoltre, molti sono stati in grado di trovare una rappresentazione di altri sentimenti, oltre a quelli dati per l’esercizio.

Infine sono state proiettate delle immagini per introdurre due nuovi concetti legati all’inquadratura, e quindi alla messa in scena: il primo, quello di angolazione (dall’alto, dal basso, in diagonale) servendoci di alcune fotografie; il secondo, circa il posizionamento delle figure attraverso foto, ma soprattutto analizzando quadri pittorici (come quelli de La famiglia Bellelli e L’assenzio di Degas, e I coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck). Lo scopo, ancora una volta, era quello di interrogare i bambini sul perché di quella precisa scelta da parte dell’autore, di ricostruire il significato di un inquadratura e il senso dato dalla disposizione dei personaggi al suo interno.

Silvia Leonzi