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Dittature militari in America Latina

In breve

Negli anni Sessanta e Settanta si verificarono frequenti colpi di stato che in Argentina, Brasile, Cile, Uruguay e in molti altri Paesi del Centro e del Sudamerica portarono al potere capi militari e violente dittature. Gli oppositori dei regimi vennero torturati, condannati a morte senza processo, fatti sparire nel nulla. Seppure avessero caratteristiche e dinamiche differenti, le dittature di questi Paesi si coordinarono segretamente in quello che fu chiamato Plan Condor, volto a combattere le forze di sinistra in America Latina. Durante questa Operazione, le dittature chiedevano la cattura, l'estradizione o l'uccisione dei propri dissidenti nel territorio degli altri regimi, e in certe occasioni i militari dei Paesi partecipavano congiuntamente ai sequestri e alle torture.

Argentina

Nel 1972, il regime militare che aveva assunto il potere sei anni prima dovette cercare un accordo con l’ex dittatore Juan Perón - esule da quasi vent’anni ma ancora molto popolare - a causa di squilibri interni sul piano economico e della difficoltà di mantenere l’ordine pubblico di fronte alle attività della guerriglia persista e marxista. Eletto trionfalmente nel 1973, Perón tuttavia fallì nel riportare l’ordine nel Paese e nell’assestare l’economia. Dopo la sua morte, nel 1974, la presidenza passò alla moglie Isabel.
Nel marzo 1976 i militari decisero di riprendere in mano il potere e deposero Isabel Perón; iniziarono così ad alternarsi al vertice diversi generali, che intrapresero la famigerata “guerra sporca”: decine di migliaia di oppositori, o presunti tali, furono arrestati o scomparvero nel nulla.
Fu il regime del dittatore Jorge Rafael Videla – al potere dal marzo 1976 al 1981 – a creare il dramma dei desaparecidos, ovvero della scomparsa degli oppositori, i cui figli spesso venivano loro sottratti per poi essere affidati a famiglie vicine alla giunta militare. A lui si devono i “voli della morte”, durante i quali i prigionieri venivano sedati e gettati in mare dagli aerei, e la tortura di circa 30.000 persone.

La ricerca di figli e nipoti scomparsi diede origine nel 1977 al movimento guidato da Azucena Villaflor delle Madres de Plaza de Mayo, che ogni settimana manifestavano pacificamente davanti alla Casa Rosada (il palazzo presidenziale) per chiedere verità sui propri cari. Ancora oggi, le Madres e le Abuelas (nonne) si battono per avere giustizia e per ritrovare i bambini strappati alle famiglie e affidati ai generali.

Deposto nel 1981 dal colpo di stato guidato da Roberto Eduardo Viola, Videla dovette cedere il potere. In meno di due anni, l’Argentina fu guidata da altri quattro dittatori: Carlos Alberto Lacoste (ad interim), Leopoldo Galtieri, Alfred Oscar Saint Jean (ad interim) e Reynaldo Bignone. Solo nel dicembre 1983 il governo militare cedette il passo al potere civile, dopo la sconfitta nella guerra per le isole Falkland (Malvinas) contro la Gran Bretagna nel 1982. Investiti da una forte impopolarità, i generali furono costretti a convocare libere elezioni, che nel 1983 portarono alla vittoria il radicale Raúl Alfonsín.

Negli anni seguenti, sono stati diversi i tentativi di fare giustizia e di riconoscere le responsabilità, anche giuridiche, dei dittatori argentini. Oltre al processo per il Plan Condor, conclusosi a Roma nel 2019 con 24 ergastoli ai danni di capi di Stato ed esponenti dei servizi segreti e militari, vanno ricordati altri procedimenti.
Innanzitutto quelli ai danni di Jorge Videla, giudicato colpevole di crimini contro l’umanità e condannato a due ergastoli, più 50 anni aggiuntivi dopo la sentenza del 2012 che lo riconosceva colpevole di rapimento e sottrazione di identità perpetrati nei confronti dei figli dei desaparecidos. Deceduto nel 2013, mentre stava scontando la condanna in carcere senza aver mai mostrato segni di pentimento (ma anzi ammettendo la sua responsabilità diretta nella morte di 8mila persone), Videla aveva ancora diversi procedimenti aperti.
La sentenza del 2012 ha imposto 15 anni di carcere per il medesimo crimine anche a Reynaldo Bignone, condanna che è andata a sommarsi ai 25 anni di reclusione comminati nel 2010 e a cui è seguito l’ergastolo del 2013 per i 23 crimini contro l'umanità commessi al Campo de Mayo, la base militare utilizzata come centro di detenzione e tortura di oltre 5mila oppositori politici. “Il curato”, come era chiamato Bignone per la sua devozione alla Chiesa Cattolica, è stato ritenuto colpevole di sequestri, torture e sparizioni forzate.

Il più grande maxiprocesso dei crimini compiuti in Argentina è tuttavia la causa conosciuta come ESMA III - dal nome della tristemente nota Escuela mecanica della Marina, trasformata dai militari in un centro di tortura e detenzione - che ha portato a 29 ergastoli e 19 condanne da 8 a 25 anni. Tra gli imputati spicca la figura di Alfredo Astiz, “l’angelo della morte” già in carcere per un precedente ergastolo, che agì da infiltrato tra le Madres de Plaza de Mayo e causando arresti, torture e uccisioni degli attivisti.
Come Videla, nessuno dei condannati ha mai mostrato pentimento.

Giuramento di Jorge Rafael Videla come 38° presidente della Repubblica argentina, 29 marzo 1976.Vista dall'alto del Campo de Mayo, la base militare utilizzata come centro di detenzione e tortura di oltre 5mila oppositori politici.
Marcia delle Madres de Plaza de Mayo per i propri figli, 1981.

Cile

Le elezioni del 1964 videro contrapposte due forze diverse: da un lato il Frente de Acción Popular, guidato dall’ex medico Salvador Allende Gossens, che sosteneva una serie di vaste riforme economiche (prima tra tutte la nazionalizzazione delle compagnie di rame di proprietà statunitense), dall’altro il Partito democratico cristiano di Eduardo Frei, che si batteva per riforme moderate miranti ad alleviare le condizioni di vita, senza intaccare i rapporti di potere esistenti nella società civile. Forte anche dell’appoggio americano, Frei vinse le elezioni con il 56% delle preferenze.
Diversamente andò nel 1970, quando Frei non potè più ricandidarsi per un altro mandato, e Allende riuscì a sfruttare a suo favore la spaccatura tra l’opposizione di destra e quella riformista, vincendo le elezioni con il 36% dei voti - contro il 35% del candidato conservatore e il 29% dei cristiano-democratici - e divenendo il primo Capo di Stato marxista democraticamente eletto dell’emisfero occidentale. Dopo la promessa nazionalizzazione delle compagnie di rame, avvenuta senza concessione di indennizzi alle multinazionali statunitensi che le possedevano, l’amministrazione Nixon decise di imporre sanzioni di rappresaglia al Paese.
Questo, unito alla decisione di Allende di aumentare i salari dei lavoratori urbani, all’aumento dell’inflazione e al crollo del prezzo del rame sul mercato, portarono a diverse manifestazioni che paralizzarono le riforme dello Stato cileno. Allende si rifiutò di usare la forza per reprimere le rivolte e proseguire con le riforme. Nel dilagante malcontento politico, si fecero strada alcuni membri del corpo ufficiali cileno.

L’11 settembre 1973 la Marina si impossessò del porto di Valparaiso, mentre l’areonautica attaccò il Palazzo presidenziale della Moneda, a Santiago. Allende morì nell’assedio dei militari, mentre l’amministrazione Nixon riconobbe immediatamente la nuova giunta guidata dal generale Augusto Pinochet Ugarte.
Pinochet reagì con una brutale campagna contro gli oppositori del golpe e i sostenitori di Allende, causando almeno tremila vittime e migliaia di imprigionati o esiliati. Tra il 1973 e il 1990 infatti circa 40mila oppositori politici vennero imprigionati nei centri di detenzione - e di tortura - sparsi in tutto il Paese. Il governo cileno creò la DINA, la polizia segreta, con il compito di effettuare arresti sistematici nei confronti di presunti oppositori del regime: gli agenti sequestravano le persone dalle loro case, al lavoro o in strada, e spesso nessuno sapeva più nulla di loro.
Pinochet governò con il pugno di ferro fino al 1988, quando cedette alla pressione internazionale per indire un referendum sulla liberalizzazione politica, che perse con uno scarto del 55% contro il 43%. Le elezioni del 1989 portarono al potere il cristiano-democratico Patricio Aylwin.

Nel 1998 Pinochet venne arrestato a Londra e posto agli arresti domiciliari. Il mandato di arresto era stato emesso dal giudice spagnolo Baltasar Garzón per crimini contro l’umanità e tortura, basato sul principio della giurisdizione universale. Rientrato in Cile per motivi sanitari, nel 2000 fu nuovamente arrestato e inquisito in seguito alla decisione della Corte d’appello di Santiago di rimuovere la sua immunità parlamentare. Il suo caso fu annullato per motivi medici, poi revocati nel 2004, quando Pinochet fu posto agli arresti domiciliari. Nonostante questo, riuscì a evitare un processo vero e proprio e si spense in Cile nel dicembre 2006.

L'ultima immagine in vita del presidente Salvador Allende con la sua scrota durante il colpo di stato, 11 settembre 1973.
Pinochet presiede una riunione della giunta militare nove giorni dopo il colpo di stato, 20 settembre 1973.Lo Stadio nazionale del Cile divenne un campo di prigionia per quasi due mesi, settembre 1973.

Brasile

Dopo il rovesciamento del presidente Joaõ Goulart, che aveva avviato la riforma agraria e quella dell’istruzione e aveva annunciato la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere in un celebre discorso nel marzo del 1964, il Brasile fu governato per ventun’anni da una serie di governi militari.

Il primo presidente dopo il golpe fu, nell’aprile 1964, il maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco, che perseguì una politica basata sulla repressione dei sindacati e sulla messa al bando di tutte le forze politiche. Vennero infatti creati un partito governativo, l’Aliança renovadora nacional (ARENA), e uno di opposizione ufficiale, il Movimento Democrático Brasileiro (MDB).
Dopo l’uccisione di uno studente durante gli scontri con la polizia nel 1968, e dopo la successiva intensificazione delle proteste contro il regime, diversi leader politici, sindacali e degli studenti vennero licenziati, arrestati, torturati o fatti sparire. La protesta si trasformò presto in lotta armata, finanziata anche con rapine e rapimenti (come quello nel 1969 dell’Ambasciatore USA in Brasile, Charles Elbrik). Circa 400 oppositori vennero uccisi, e migliaia torturati.

Dopo Castelo Branco, i militari che seguirono (Artur da Costa e Silva, Emílio Garrastazu Médici, Ernesto Beckmann Geisel, João Figueiredo) continuarono una politica economica basata sull’incoraggiamento di prestiti e investimenti stranieri e sull’espansione delle esportazioni. Il boom economico che ne seguì durò fino agli anni ’80, quando l’enorme debito estero costrinse il Paese all’inadempienza. Nel frattempo la crisi economica, la riorganizzazione delle opposizioni con la nascita del Partito dei Lavoratori di Luis Ignácio da Silva e le tensioni sociali portarono alla fine del governo militare. ARENA e MDB vennero sciolti, si crearono nuovi partiti e, nel 1985, si tennero le prime elezioni libere, con la vittoria di Tancredo Neves.

Nel 2011 è stata annunciata la creazione - avvenuta poi nel 2012 - di una Commissione per la verità, con il compito di indagare sui crimini contro l’umanità commessi durante la dittatura. Solo nel 2014 l’esercito brasiliano ha riconosciuto i crimini commessi dai suoi membri.

Il presidente Humberto de Alencar Castelo Branco con il generale Artur da Costa e Silva, ministro della Guerra (a sinistra), ed Ernesto Geisel, capo della Casa Militar (dietro il presidente), a Rio de Janeiro, 18 agosto 1964.

Il presidente Humberto de Alencar Castelo Branco con il generale Artur da Costa e Silva, ministro della Guerra (a sinistra), ed Ernesto Geisel, capo della Casa Militar (dietro il presidente), a Rio de Janeiro, 18 agosto 1964.

La polizia militare uccide lo studente Edson Luís nel centro di Rio de Janeiro, 28 marzo 1968. Il suo omicidio segnò l'inizio di intense mobilitazioni contro il regime militare.

La polizia militare uccide lo studente Edson Luís nel centro di Rio de Janeiro, 28 marzo 1968. Il suo omicidio segnò l'inizio di intense mobilitazioni contro il regime militare.

Uruguay

Nel 1966 alla presidenza del Paese fu chiamato il generale in pensione Oscar Gestido, candidato del Partito Colorado. Il cambio di sistema governativo (dopo 15 anni di Colegiado, un sistema di governo collettivo), tuttavia, non apportò quei miglioramenti che tutti si attendevano e meno ancora modificò le vecchie strutture. Sorse quindi il movimento di guerriglia urbana dei tupamaros (da Tupac-Amaru, martire peruviano dell'indipendenza sudamericana), formato da intellettuali e proletari appoggiati da studenti ed elementi della borghesia. Dopo la morte di Gestido nel 1967 il potere fu assunto da Jorge Pacheco Areco, che combatté in tutti i modi i guerrilleros, sciogliendo i partiti di sinistra e sospendendo i quotidiani dell'opposizione. La guerriglia si intensificò portando a clamorosi furti e sequestri (celebre quello dell’Ambasciatore britannico in Uruguay, Geoffrey Jackson).

Il presidente eletto nel 1972, Juan Maria Bordaberry, dichiarò lo stato di guerra interna e riuscì ad annientate la guerriglia, arrestando anche il leader dei tupamaros, Raúl Sendic Antonaccio. Il 27 giugno 1973, con un discorso alla radio, Bordaberry annunciò un colpo di stato insieme ai militari, sciolse il Parlamento (creando un organo ex novo, il Consejo de Estado) e sospese le garanzie costituzionali. Da quel giorno ebbe inizio un’escalation di violenza e un regime totalitario destinato a durare oltre un decennio. Sconfitti e imprigionati i tupamaros, la repressione divenne feroce anche contro i comuni cittadini: lavoratori, studenti, attivisti e oppositori - reali o presunti. La Convenzione Nazionale dei Lavoratori venne sciolta, e i suoi leader arrestati.
In seguito alle frizioni tra Bordaberry e i vertici delle forze armate, un nuovo colpo di stato  il 12 giugno 1976 portò provvisoriamente al potere l’allora vicepresidente Alberto Demicheli. Al suo posto venne poi insediato, a settembre dello stesso anno, Aparicio Méndez - eletto dal Consiglio della Nazione, nuovo organo formato prevalentemente da militari - che come primo atto ufficiale privò dei diritti politici tutti gli esponenti dei partiti e dei sindacati.

Il 30 novembre 1980 vi fu un plebiscito costituzionale indetto dal governo con l'obiettivo di modificare la Costituzione. La proposta venne respinta dalla popolazione con oltre il 56% dei voti validi, favorendo l'inizio di una lenta apertura democratica. Nel 1981 assunse la presidenza il generale Gregorio Álvarez, che nel 1984 concluse un accordo con il Fronte Ampio, il Partito Colorado e l'Unione Civica per nuove elezioni - tenutesi nel novembre dello stesso anno e vinte dal Partito Colorado.  Nel marzo 1985, quindi, il governo tornò ai civili con Julio María Sanguinetti, del Partito Colorado, come presidente.
Durante la dittatura in Uruguay circa 7.000 persone sparirono e furono sequestrate, torturate e uccise dal regime.

Con il processo ai responsabili del Plan Condor, conclusosi nel 2019 a Roma, sono stati condannati al massimo della pena i vertici politici e militari della dittatura, colpevoli di sequestro e uccisione di civili. Tra questi spicca anche il torturador Jorge Nestor Troccoli, responsabile dell’intelligence della Marina militare, che da anni vive in Italia. L’uomo ha da sempre ammesso i soprusi contro gli oppositori politici, in una lettera inviata al quotidiano spagnolo El Pais nel 1996 e in un’autobiografia pubblicata in Uruguay.
«Mi assumo la responsabilità di aver fatto cose di cui non mi sento orgoglioso - si legge nella lettera - e di aver trattato in modo inumano i miei nemici, ma senza odio, come deve fare un professionista della violenza».

Bordaberry, secondo da destra, durante una parata militare davanti al Palazzo del Governo a Montevideo, 1973.

Bordaberry, secondo da destra, durante una parata militare davanti al Palazzo del Governo a Montevideo, 1973.

Paraguay

La dittatura in Paraguay iniziò con un golpe e terminò con un golpe: per 35 anni, il regime civico-militare del generale Alfredo Stroessner tenne in pugno il Paese. Comandante delle forze armate nazionali, attivo nella guerra contro la Bolivia nel 1932-35 e in quella interna del 1947, nel maggio del 1954 Stroessner fu a capo del golpe che destituì il presidente Federico Chaves, membro del suo stesso partito, il Partito Colorado.
Stroessner represse con durezza qualsiasi movimento di opposizione, ma si guadagnò il favore degli strati più poveri della popolazione grazie a un sistema di assistenza pubblica più avanzato che in altri Paesi. Il Paraguay era infatti uno Stato arretrato, con un milione e mezzo di abitanti su un territorio grande quasi quanto la Germania; l’unico insediamento urbano era la capitale Asuncion, dove tuttavia mancavano servizi come l’acqua corrente  o la luce elettrica nelle case. Stroessner costruì strade asfaltate, aprì agli investimenti stranieri e finanziò così alcune opere pubbliche come la diga di Itaipù. Questo rese molto più stabile, rispetto a quelli delle nazioni vicine, il suo regime, che arrivò a creare un vero e proprio sistema normativo per cui il dissenso poteva essere represso “con la ley en la mano” (impugnando la legge).

Vittima di epurazione fu anche il suo stesso partito, con l’eliminazione sistematica di chiunque potesse rappresentare un pericolo per il suo potere. I nemici interni vennero imprigionati e le giovani leve del partito vennero mandate in esilio. Anche l’esercito venne ripulito dagli ufficiali considerati poco affidabili. Stroessner indisse regolarmente elezioni-farsa, chiamate “comizi quinquennali”, alle quali si presentava come candidato unico.
Negli anni 60 e 70, al culmine del suo potere, le violenze e le repressioni crebbero esponenzialmente con migliaia di torture, delazioni, detenzioni forzate. Il numero dei desaparecidos si aggira intorno alle 500 persone, mentre circa 20.000 furono incarcerate o torturate e altrettante esiliate.

Lo stesso meccanismo che aveva portato Stroessner al potere, ovvero la dissidenza interna al Partito Colorado, fu ciò che lo tradì. Il 3 febbraio 1989 il suo stesso consuocero, Andrés Rodríguez, spodestò “El Último Supremo” e lo costrinse all’esilio in Brasile - dove morì nel 2006.
Il processo di identificazione dei desaparecidos è iniziato solo nel 2016. Nel 2019, ossa umane appartenute a quattro persone sono state ritrovate nella residenza estiva di Stroessner a Ciudad del Este - la “casa degli orrori” utilizzata come centro di tortura.

Alfredo Stroessner (a sinistra), presidente del Paraguay, e Juan Peron (a destra), presidente dell'Argentina, salutano le bandiere ad Asuncion, durante una visita di Stato di Peron in Paraguay, 20 agosto 1954.	Il dittatore paraguaiao Alfredo Stroessner (a destra) e quello argentino Jorge Rafael Videla (a sinistra) durante un ricevimento di gala ad Asuncion, 1979.
Cartello con desaparecidos durante una marcia per commemorare i 30 anni di democrazia ad Asuncion, 2 febbraio 2019.

Bolivia

Nel 1964 un colpo di Stato militare portò alla presidenza del Paese René Barrientos Ortuño, che impose una dura repressione sulle organizzazioni dei lavoratori. Questo diede origine alla guerriglia promossa da Ernesto Che Guevara, che nel 1967 venne rapidamente sconfitta.
Lo stesso Che Guevara morì nel villaggio di La Higuera. Alla morte di Barrientos nel 1969 si scatenò un susseguirsi di golpe militari, fino a quello del 1971 che portò al potere Hugo Banzer Suárez. Egli fu responsabile, fino al 1978, di una delle fasi più cruente della dittatura. L'economia crebbe notevolmente, ma le grandi limitazioni alle libertà politiche e civili fecero diminuire il suo consenso popolare. Nel tentativo di rilegittimare il suo regime, Banzer indisse le elezioni nel 1978. Queste diedero la maggioranza al suo candidato, Juan Pereda Asbun, ma i risultati furono contestati dalle opposizioni e successivamente annullati. La Bolivia sprofondò nel caos.

Anche le elezioni del 1979 e 1980 si chiusero senza un vincitore. Seguirono altri colpi di stato, fino all’ennesimo golpe, molto violento, che nel 1980 portò al potere Luis García Meza. Il suo governo divenne noto per le violazioni dei diritti umani, ma soprattutto per il traffico internazionale di droga - fattore che portò anche a una rottura delle relazioni con gli Stati Uniti. Dopo la sua deposizione, nel 1981, e dopo altri governi militari - sempre più illegittimi e corrotti agli occhi della popolazione - il potere fu restituito al Congresso. Nel 1982, dopo 22 anni, Hernán Siles Zuazo fu nuovamente designato presidente della Repubblica.

Sono dovuti passare 35 anni dalla fine della dittatura prima che il governo boliviano annunciasse la creazione di una Commissione per la verità sui crimini commessi tra il 1964 e il 1982. Tale organo è stato istituito nel 2017, con il compito di fare luce su assassini, sparizioni forzate, torture, detenzioni arbitrarie e violenze sessuali commessi durante la dittatura.
Fino a quel momento, solo il processo contro l’ex dittatore Luis García Meza e il suo ministro dell’interno Luis Arce Gomez, condannati a 30 anni di carcere senza possibilità di indulto, e il processo ai responsabili del Plan Condor, avevano cercato di rendere giustizia alle vittime di quel periodo. Lo stesso ex dittatore Banzer Suárez non scomparve mai dalla scena pubblica, ma anzi divenne il leader del partito di destra Acción democrática nacionalista e fu nominato presidente della Repubblica nel 1997.

I militari radunano prigionieri politici durante il colpo di stato, 1971.
Il colpo di stato di Luis García Meza, 18 luglio 1980.Hugo Banzer Suárez torna al Palazzo del Governo come presidente costituzionale, 1997.

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