È evidente che più la società si fa tecnologica, più si riducono i posti di lavoro. E paradossalmente quello che è sempre stato il sogno più antico dell'uomo: la liberazione dal lavoro si sta trasformando in un incubo. Siccome il processo è irreversibile, nonostante i correttivi, i finanziamenti mirati, i contratti d'area, i lavori socialmente utili e altre ideazioni che la politica tenta di escogitare per scongiurare l'incubo, forse non c'è altra via d'uscita se non quella di ripensare il concetto di lavoro, che l'economia capitalistica da un lato e l'apparato tecnico dall'altro hanno identificato con l'esistenza tanto da rendere a tutti evidente l'equazione secondo cui chi non lavora, dal punto di vista sociale, non esiste. Ma è davvero così?
Se Marx, a suo tempo, denunciava l'alienazione "nel" lavoro, oggi siamo in presenza di un'alienazione più grande, quella "da" lavoro, che consiste nel completo appiattimento dell'uomo sulla sua attività lavorativa, come se questa fosse l'unico indicatore della riconoscibilità dell'uomo.
E allora la domanda che dobbiamo porci è questa: "I fini della tecnica e dell'economia capitalistica sono anche i nostri fini?"
Umberto Galimberti, Il segreto della domanda