CONOSCERSI - RICONOSCERSI - CAPIRSI

CONOSCERSI - RICONOSCERSI - CAPIRSI

Eccoci, come promesso, all’approfondimento: “CONOSCERSI – RICONOSCERSI – CAPIRSI”.

Ieri vi ho introdotto il personaggio della settimana. L’ORSO.

Quella di ragionare per immagini e analogie è una caratteristica che troverete spesso nei miei post.

Non amo molto elaborare elenchi di istruzioni, uno perché non voglio essere un manuale ma una fonte di riflessioni, due perché al momento del bisogno non mi è mai capitato di ricordarmi “il segreto numero 5” svelato dal maestro di turno per gestire quella situazione specifica.

Quindi per me è più facile ricordare dei concetti associandoli a storie o immagini che ho visto e sentito.

Ma torniamo al nostro orso. 

Come abbiamo detto, pur essendo un animale solitario, l’orso dimostra una significativa capacità di adattamento alla convivenza con i suoi simili quando la situazione lo necessita, come durante la stagione degli amori o quando l'approvvigionamento di cibo è limitato ad una certa area.

Questa capacità deriva da un training che inizia fin dai primi mesi di vita. Attraverso incontri e scontri (sotto forma di giochi e sfide), marcature, sguardi, vocalizzazioni e posture, l’orso impara a conoscere se stesso, l’altro… e se stesso in relazione con l’altro.

Tra i diversi esemplari pian piano si definiscono REGOLE RELAZIONALI SOLIDE, il cui rispetto è fondamentale per poter poi gestire in maniera pacifica e funzionale i momenti di convivenza e scambio.

La conoscenza reciproca e la condivisione di uno stesso linguaggio, dunque, sembrano essere la chiave per una interazione efficace.

Arriviamo dunque alla mia riflessione: anche noi umani siamo altrettanto bravi a conoscere i nostri simili e a sfruttare il linguaggio comune per instaurare con loro relazioni rispettose e proficue? Noi, che siamo passati dai disegni alla parola, dalla parola alla scrittura e poi alle varie forme di comunicazione multimediale, abbiamo mantenuto LA CAPACITA’ DI LETTURA E COMPRENSIONE DELL’ALTRO?

Questa evoluzione, che ci ha portato a gestire tante forme diverse di interazione e a vivere dentro una sovraesposizione continua di input, ci ha aggiunto o ci ha tolto qualcosa in termini di conoscenza reciproca?

La mia impressione è che la distanza imposta dai mezzi di comunicazione digitale e la necessità di doversi districare tra diversi canali, ci abbia fatto un po’ perdere la capacità di leggere chi ci sta davanti (o dall’altra parte dello schermo), di riconoscere il suo background utilizzando i nostri sensi e le nostre sensazioni e di adeguare di conseguenza il nostro linguaggio verbale e paraverbale.

Adesso che non abbiamo più i tempi e gli spazi di una volta per prepararci adeguatamente al contatto con l'altro ci siamo abituati, un po’ per comodità e un po’ per necessità, a modelli di comunicazione preimpostati che danno più importanza alla velocità che alla singolarità della relazione.  

Per fare un esempio banale, quando scriviamo un messaggio o un’email al nostro cliente, possiamo dire con sicurezza che saprà interpretare il contenuto nell’esatto modo in cui noi lo abbiamo pensato? Sappiamo creare, anche a distanza, lo stesso legame che nasce in uno colloquio faccia a faccia o in una telefonata?  

Abbiamo anche inventato le emoticon per cercare di compensare la carenza del contatto visivo o vocale (“sto scherzando” = 😊, oppure “mi dispiace” = ☹), ma è davvero abbastanza? Considerando anche il fatto che le faccine non sempre sono consigliabili (non le usate proprio sempre e con tutti vero?!).

 

La capacità di interagire correttamente con qualsiasi mezzo va acquisita, allenata e custodita. Il mezzo di comunicazione va scelto accuratamente in base al tipo di interazione e di approccio che vogliamo avere con quella specifica persona e in ogni caso il nostro tone of voice deve poter emergere ed essere riconoscibile da chi riceve il messaggio.

Per quanto possibile, dobbiamo tornare ad osservare l’altro prima di parlare, a considerare il contesto prima di rispondere e a recuperare il piacere di una comunicazione più lenta, più diretta e meno artefatta.

Non dobbiamo sempre “vendere” la nostra idea a qualcuno il prima possibile per poter poi passare oltre. A volte, come l’orso, dobbiamo darci il tempo di studiarci a vicenda, noi e il nostro cliente, in modo da arrivare ben preparati al nostro incontro.

Grazie alla sua profonda esperienza, un orso riconosce la presenza (e le intenzioni) di un altro orso a chilometri di distanza e in base ai segnali che manda e riceve sa come impostare con lui il giusto approccio. Noi? Mandiamo un emoticon e pensiamo sia tutto chiaro?

Il contatto veloce può essere efficace a volte, ma anche pericoloso e controproducente… come le infatuazioni. Una conoscenza più lenta e approfondita, invece, non farà magari un “effetto wow” ma porterà ad una relazione più sicura e longeva.

Tu quanto pensi di conoscere il tuo cliente da 1 a 10? Sai, per esempio, se preferisce il messaggio o la telefonata?

E quanto credi invece che lui conosca te? PENSI CHE SAPREBBE RICONOSCERE UN TUO MESSAGGIO ANCHE SENZA LEGGERE IL NOME DEL MITTENTE?

Non so tu, ma io da ora in poi voglio impegnarmi ad ascoltare e osservare di più il mio cliente per prepararmi a rispondere al meglio alle sue richieste, con il mezzo e il linguaggio a lui più consono.  

 

Se hai piacere di riflettere insieme a me su questo aspetto, scrivi il tuo pensiero nei commenti.

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