Il mito di Ganimede

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Ganimede era un giovane di straordinaria bellezza, figlio del re Troo, che diede il suo nome alla città di Troia e alla stirpe dei troiani, e di Calliroe, oltre che fratello di Ilo e di Assaraco. Ganimede si occupava di custodire le mandrie del padre e di portarle nei pascoli intorno a Troia. Il ragazzo, purtroppo, era così bello che anche Zeus se ne invaghì e desiderò averlo per sé; un giorno, quando Ganimede era al pascolo con il gregge sul Monte Ida, nella Troade, Zeus inviò la propria aquila divina a rapirlo o, in altre versioni del mito, assunse egli stesso le sembianze di un’aquila, per portarlo sull’Olimpo, dove ne fece il suo coppiere.

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Ganimede del British Museum

In seguito, per compensare Troo per la perdita del figlio, Zeus inviò Ermes che gli donò due splendidi cavalli divini o un tralcio di vite d’oro, opera di Efesto, assicurandogli che Ganimede era diventato immortale. Il mito di Ganimede, cantato, tra i tanti, da Omero, Ibico, Teognide, Pindaro e Ovidio, divenne ben presto molto popolare in Grecia e poi a Roma, perché offriva una giustificazione mitica al rapporto amoroso tra uomo adulto e ragazzo, tanto diffuso tra i greci.
Eratostene, nei Catasterismi, collocò già anticamente Ganimede tra le stelle, identificandolo con la costellazione dell’Acquario, che è posizionata proprio vicino a quella dell’Aquila che lo rapì.

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Ganimede dei Musei Vaticani, copia della scultura di Leocare

A testimonianza della diffusione del mito, le tante sculture greche e romane che raffigurano Ganimede e l’aquila. Celebre era il perduto gruppo bronzeo di Leocare, scultore ateniese attivo tra il 370 e il 320 a.C., nel quale Ganimede, ghermito dall’aquila, era raffigurato con i piedi già sollevati da terra, e di cui esiste una copia nei Musei Vaticani. A questo proposito, Plinio il Vecchio scriveva:

Leochares fece il gruppo dell’Aquila e Ganimede; L’Aquila dimostra di sentire che cosa rapisce nel rapire Ganimede e a chi lo porti e cerca di non ferire con le unghie il fanciullo attraverso la veste” ¹.

NOTE

¹ Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXXIV, 79)

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