Campi lavici e solfatare dell’Islanda settentrionale

Dopo la deviazione rispetto alla Ring Road per raggiungere l’imponente cascata di Dettifoss e l’incantevole canyon di Asbyrgi, gli stranieri generalmente scelgono di ignorare la costa dell’estremo nord-est e tornano sulla strada principale spostandosi verso ovest in direzione lago Myvatn e Akureyri. Tuttavia, per quanto il lago rappresenti indiscutibilmente il baricentro dell’interesse turistico nell’Islanda nord orientale, anche i 40 km necessari per raggiungerlo dopo aver lasciato una delle piste che conducono alle cascate sono a loro volta ricchi di mete interessanti. In particolare questa zona è una delle più attive dal punto di vista geotermico nell’intera regione.

Le solfatare di Hverarond; anche se dalla foto si nota appena, una minuscola figura umana al centro dell’immagine fornisce un’idea della vastità del luogo

La prima destinazione che a mio parere valga una sosta è quella di Hverarond, annunciata già ad una certa distanza dai ripetuti sbuffi di vapore candido. Quest’area geotermica è vasta, circondata e quasi racchiusa da alture arrotondate color ocra rossiccio e giallo-bianco in forte contrasto cromatico sia con i monti più lontani (che appaiono decisamente più scuri), sia con l’estrema propaggine della regione vulcanica di Krafla (caratterizzata da appuntiti rilievi rosso scuro, coperti da una fitta vegetazione verdissima).

Solitamente i turisti che arrivano qui sono già stati in almeno uno o due campi geotermici del Sud, tuttavia le pozze di fango di Hverarond (spesso indicato anche come Hverir o Namafjall) rappresentano comunque una delle attrazioni maggiori di questa zona. Ciò accade sia perché questo è uno dei più estesi campi geotermici di zolfo del Nord, sia perché si trova ad appena una mezza dozzina di chilometri dal lago Myvatn, sia infine perché l’area è tuttora molto attiva (al punto che nel 1977 fu costruita una centrale elettrica, ancora attiva e ben visibile, per sfruttarne l’energia geotermica).

Tecnicamente Namafjall è un monte (in realtà alto soltanto 485 metri, quindi più che altro un colle) che con la sua molte giallo-arancione domina la zona geotermica circostante, che si estende per circa 4 chilometri quadrati ed è una delle più grandi sorgenti sulfuree d’Islanda. Hverarond o Hverir è la brulla zona geotermica ad alta temperatura con le più grandi fumarole ad est del monte Namafjall.

Una delle enormi pozze ribollenti del campo geotermico di Hverarond

L’intera area è bollente, gorgogliante e sibilante: la formazione di un così elevato numero di solfatare è dovuta alle acque sotterranee, che penetrano profondamente fino a raggiungere il magma del sottosuolo, in condizioni tali per cui il calore le trasforma in vapore, che fuoriesce poi in superficie a temperature prossime ai 200 gradi. Disseminate ovunque ci sono quindi pozze di fango ribollente, con colori che vanno dal grigio al bluastro e letteralmente ribollono sotto gli occhi dei visitatori, spesso esplodendo in piccoli getti fumanti.

Oltre alle pozze grigie o biancastre, che si formano sul brullo terreno color nocciola o su rocce chiare solcate da striature color canarino arancione e ocra, ci sono anche getti di vapore e persino un piccolo geyser, ma lo spazio è tanto che il vapore si disperde velocemente. Solo le sorgenti a più alta temperatura sono talvolta sovrastate da sfilacciate corone di vapori chiari, mentre in quelle più grandi l’acqua color piombo ribolle senza sosta gonfiandosi e scoppiando, alzandosi ed abbassandosi a lambire i bordi irregolari delle cavità che la contengono.

Ovunque domina un pungente ed acre odore di uova marce, tant’è che questa zona a volte è chiamata anche “eldhús djöfulsins“, che in islandese significa cucina dell’inferno (o del diavolo) proprio a causa delle pozze bollenti e del forte odore di zolfo presente nell’aria. Oltre che da un punto di vista olfattivo, ci si può rendere conto di quanto lo zolfo sia presente qui per via del colore giallo spesso presente sulle rocce: si tratta di depositi di zolfo, che le sorgenti calde producono in notevoli quantità.

Fin quasi all’orizzonte il paesaggio è dominato dai fumi e dal ribollire delle solfatare

Lo zolfo è una costante anche nella vicina zona del Krafla, situata una decina di chilometri a nord della Ring Road in prossimità del confine fra le placche tettoniche dell’Eurasia e quelle del Nord America. Il sistema di Krafla è una delle regioni vulcaniche più attive d’Islanda; questo imponente vulcano a faglia possiede una caldera di circa 10 chilometri di diametro mentre la lunghezza della fenditura raggiunge una lunghezza di 90 chilometri (ed una profondità massima di 2).

Il paesaggio in questa zona è desolato e brullo finché l’occhio non si perde nel cielo: un mare di lava nera o grigiastra fuoriuscita nei secoli passati tanto da ricoprire l’intera distanza fra Myvatn e la cittadina settentrionale di Husavik, striature rossastre dove è presente del ferro, rocce parzialmente sgretolate dove la pressione e il calore sottostanti stanno per creare nuove bocche eruttive. In lontananza da un lato si stagliano i ghiacciai punteggiati di estese macchie bianche, mentre basta una camminata di una mezz’ora scarsa per inoltrarsi nel vasto campo lavico, nerissimo piatto e sconfinato.

La desolata distesa di campi lavici nella zona di Krafla

Io e mio marito abbiamo rivisto giusto qualche settimana fa la trilogia de Il signore degli anelli insieme ai bambini e raccogliendo le foto per questo post non ho potuto fare a meno di pensare come queste valli nere, di lava e vapore, desolate e prive di vegetazione, ricordino la terra di Mordor. In netto contrasto coi due crateri che è facile raggiungere a piedi senza particolare sforzo: Leirhnjukur e Viti.

Coi suoi 300 metri di diametro, Viti (che in islandese significa Inferno) è uno dei crateri di origine vulcanica più grandi e di maggior impatto scenico, anche perché attualmente occupato dalle acque. Formatosi nel 1724 a seguito di una massiccia eruzione nel Krafla che durò per ben cinque anni, Viti incanta per il contrasto delle nude pareti (sfumate dall’ocra al rosso al brunito), a tratti levigate e a tratti aspramente rocciose, coll’azzurro intenso e cupo dell’acqua.

Nell’area circostante si trovano anche crateri più piccoli e solfatare, i cui colori fanno risaltare come smeraldi le piccole zone ricoperte d’erba verdissima. Spettacolare quanto Viti, benché decisamente meno imponente, è il cratere di Leirhnjukur. Originatosi nel 1727, è ormai un bacino di fango ribollente striato a causa dell’onnipresente zolfo, come testimonia anche il suo nome che vuol dire proprio “picco di fango” o anche “monte d’argilla”. L’altura infatti è un misto di tufo giallo e argilla rossa, con alla base una miriade di sorgenti termali e pozze di fango, fumarole, straordinarie formazioni di lava, fessure di origine lavica e terreno multicolore.

Il cratere di Viti nel mio scatto più riuscito

Più avanti si trova il campo lavico di Gjastykki, che appartiene alla stessa zona vulcanica di Leirhnjukur e rappresenta la propaggine settentrionale della serie di fessura del Krafla. Stando alle guide a Gjastykki abbondando le fragili e coloratissime formazioni di lava causate delle eruzioni vulcaniche e tettoniche del decennio seguente al 1975, tuttavia per problemi di tempistiche noi non ci spingemmo in quell’area.

Termina dunque con i crateri di Leirhnjukur e Viti il mio post odierno: il prossimo pur spostandosi solo di pochi chilometri abbandonerà le meraviglie del fuoco per passare a quelle dell’acqua ed ai misteri delle grotte che si trovano nei pressi del lago Myvatn.

Immagine, presa dalla rete, delle straordinarie formazioni di lava a Gjastykki

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.