L’accento


Innanzitutto, bisogna distinguere, in Italiano, tra due tipi di accento: grave e acuto. La differenza tra i due non è solo grafica ma anche fonica, ovvero l’accento acuto segnala una vocale chiusa, quello grave una vocale aperta. Ma in realtà pochissime persone sono in grado di pronunciare correttamente le parole tenendo conto di questa distinzione, senza contare che a seconda delle regioni d’Italia c’è la tendenza a pronunciare tutte le vocali chiuse o aperte, senza distinzione alcuna. Mi rendo conto, tuttavia, che si tratta di una pratica che dovrebbe essere imparata attraverso dei corsi di dizione perché nemmeno a scuola si insegna a pronunciare nel modo giusto le vocali, proprio perché gli stessi docenti (me compresa!) non sono in grado di farlo.

Nella nostra lingua dobbiamo poi distinguere tra accenti tonici e grafici. I primi servono a pronunciare correttamente le parole ma quasi mai si scrivono (ad esempio, nel caso in cui le parole omografe cambiano significato a seconda della posizione dell’accento: prìncipi e princìpi, capitano [nome] e càpitano [verbo], ma solo se nel contesto si può creare confusione tra una parola e l’altra). Quelli grafici, invece, sono obbligatori solo nelle parole tronche o nei monosillabi che possono essere confusi con parole omografe.
Altro discorso è quello del cosiddetto circonflesso (^) che non è propriamente un accento e oggigiorno è usato pochissimo e solo sulla vocale “i”.

A seconda della posizione dell’accento, le parole si dividono in:
 TRONCHE: l’accento è sull’ultima sillaba. In realtà queste parole in origine erano piane ma hanno perduto una sillaba; tale “perdita” viene segnalata con l’accento.
 PIANE: l’accento cade sulla penultima sillaba. Sono le parole più comuni e si chiamano “piane”, ovvero “lisce”, perché si pronunciano senza difficoltà.
 SDRUCCIOLE: l’accento è sulla terzultima sillaba. Si chiamano così perché la voce “scivola” (traduzione di “sdrucciola”) sulle due sillabe che seguono quella tonica.
 BISDRUCCIOLE (accento sulla quartultima sillaba) e TRISDRUCCIOLE (accento sulla quintultima): sono tutte forme verbali, spesso con l’aggiunta di enclitiche (rècitamelo)

Ho già anticipato che spesso con l’accento grafico ci si confonde fra l’acuto e il grave. Ora vediamo quali sono le parole che devono necessariamente essere scritte con l’accento acuto sulla “e” finale:

affinché
benché
cosicché
finché
giacché
perché
poiché
purché


ventitré, trentatré
, ecc.

Al contrario, i nomi con la “e” finale vanno accentati usando l’accento grave: caffè, . Stessa regola vale, ad esempio, per alcuni avverbi come “cioè” che è costituito dal pronome “ciò” e dalla terza persona singolare del presente indicativo del verbo essere “è” che correttamente porta l’accento grave (mai scrivere “é”!).

Ora veniamo ai monosillabi che devono essere accentati (la maggior parte non vuole l’accento!):

è: verbo, per non confonderlo con la congiunzione copulativa “e”
: pronome riflessivo, per non confonderlo con la congiunzione ipotetica “se”. Quando il pronome è rafforzato da “stesso/a” generalmente non va accentato, mentre al plurale sì: sé stessi / sé stesse per non confonderlo con la congiunzione e il congiuntivo
: congiunzione negativa, da non confondere con la particella pronominale o avverbiale “ne”
: avverbio affermativo, da non confondere con “si” pronome riflessivo
: nome (giorno), per non confonderlo con “di” preposizione o con “di’”, imperativo di dire
: avverbio, da non confondere con il pronome personale “li”
: avverbio, da non confondere con l’articolo
: verbo, da non confondere con la preposizione
ché: forma abbreviata di perché, da non confondere con “che” pronome o congiunzione

Un’ultima osservazione: spesso leggo gli avverbi di luogo qui e qua scritti erroneamente con l’accento. Forse è bene rispolverare una vecchia filastrocca che la maestra mi ha insegnato per non sbagliare: Su lì e là l’accento va, su qui e qua l’accento non va. Facile, no?

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  1. Molte grazie imparare le regole è bellissimo qui.

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