Sulle guerre tra Savoia e Genova nel Settecento

Triora (IM) – Fonte: Wikipedia

Nell’estate del 1624 il duca di Savoia Carlo Emanuele I, con l’appoggio della corte di Francia, decise di attaccare la Repubblica di Genova per impadronirsi dei territori della Riviera ligure che erano ancora sotto il dominio genovese.
In particolare, il casus belli fu rappresentato dall’acquisto nel 1622, da parte del governo genovese, del marchesato di Zuccarello, ambito fortemente dal duca di Savoia.
Nel mese di settembre si tenne un convegno a Susa, a cui parteciparono il duca Carlo Emanuele I, l’inviato della regina di Francia Maria de’ Medici maresciallo Lesdiguières, l’ambasciatore francese in Piemonte e l’ambasciatore della Repubblica di Venezia.
Nel corso del convegno venne deciso di muovere una guerra contro la Repubblica di Genova, al termine della quale i francesi avrebbero avuto la Corsica e lo stato di Genova fino a Savona, mentre al duca di Savoia sarebbe spettato il marchesato di Zuccarello e tutte le terre da Ormea e Oneglia fino a Nizza. Fu inoltre stabilito di attaccare subito lo stato genovese attraverso l’appennino ligure.
Una volta varcato il confine che divideva il genovesato dal Monferrato, sul cui territorio il duca di Mantova diede libero accesso all’esercito sabaudo, le truppe franco-piemontesi ottennero subito delle vittorie militari su quelle genovesi a Voltaggio e a Gavi.
Dopo che, per dissensi ai vertici del comando, i franco-piemontesi ebbero rinunciato a porre l’assedio a Genova, Carlo Emanuele I decise di indirizzare gli sforzi delle proprie truppe per la conquista della Riviera di Ponente, inviandovi settemila fanti, quattrocento cavalli e i figli Vittorio Amedeo e don Felice di Savoia.
Il principe Vittorio Amedeo pose subito l’assedio a Pieve di Teco, strenuamente difesa dai fanti genovesi guidati da Girolamo Doria, che però cadde dopo cinque giorni di assedio e venna messa a ferro e fuoco dai piemontesi.
In seguito anche altre città della Riviera, tra cui Albenga, Alassio, Porto Maurizio, Oneglia, Sanremo e Ventimiglia caddero senza opporre resistenza di fronte all’urto delle forze piemontesi, a cui dovettero pagare forti somme di denaro per evitare di essere sottoposte al sacco.
Il 7 agosto 1625 truppe franco-piemontesi con 500 soldati provenienti da Sospello e comandate dal commendatore francese Dandelot e da don Felice di Savoia, posero l’assedio a Triora.
La popolazione triorese decise allora di resistere ad oltranza all’assedio opponendo una resistenza eroica e disperata con l’aiuto anche delle milizie cittadine e di quelle inviate da Genova.
Quando però il 20 agosto i trioresi stavano per arrendersi e consegnare gli ostaggi al nemico, giunsero a Triora delle truppe ausiliarie provenienti da Taggia, Porto Maurizio e Sanremo guidate dal capitano G. Vincenzo Lercari, che costrinsero gli assedianti, tornati alla carica con 4000 soldati agli ordini di don Felice di Savoia, a togliere l’assedio al paese ed a tornarsene a Sospello, dove condussero prigionieri 130 ostaggi.
Durante i durissimi giorni dell’assedio, si distinse in modo particolare nell’incitare la popolazione a resistere agli attacchi del nemico il capitano genovese Pietro Antonio Cornero, che cadde in combattimento il 12 agosto nel corso di uno scontro a fuoco tra soldati genovesi e franco-piemontesi nei primi giorni dell’assedio del paese e venne poi sepolto nei sotterranei della sacrestia della Collegiata triorese, dove un’iscrizione ne ricorda il sacrificio.
La felice conclusione dell’assedio, avvenuta il 20 agosto, giorno della festa di San Bernardo di Chiaravalle, indusse i trioresi ad attribuire all’intercessione del santo il merito principale della vittoria sui franco-piemontesi.
La comunità di Triora e quella delle tre frazioni, Molini, Andagna e Corte, decisero allora che da quell’anno in poi il 20 agosto sarebbe stato un giorno festivo per commemorare l’intervento di San Bernardo a favore di Triora, e che gli abitanti dei quattro paesi, in quell’occasione, si sarebbero recati in processione alla chiesa dei Santi Pietro e Marziano di Triora, che sarebbe stata restaurata in onore di San Bernardo, a cui sarebbe stato dedicato anche un altare nello stesso edificio religioso. Fallito anche un tentativo di impadronirsi di Genova attraverso una sollevazione interna, Carlo Emanuele I stipulò la pace con Genova nel 1641.
Nel maggio 1631, sei anni dopo l’assedio del 1625, il magistrato di Guerra di Genova inviò a Triora il commissario alle Armi della Repubblica Giovanni Vincenzo Imperiale con il compito di compiere un’ispezione delle fortezze del borgo.
Imperiale stese quindi un’ampia relazione della sua visita in cui erano sottolineate la posizione strategica dei forti trioresi e il valore militare, unito alla tenacia e l’intraprendenza nel lavoro, dei suoi abitanti.
L’anno successivo venne edificato su pilastri altissimi per portarlo all’altezza della piazza della Collegiata l’oratorio di San Giovanni Battista.
In seguito, con decreto della Repubblica di Genova e relativo atto di divisione rogato dal commissario Giacomo Negrone il 2 maggio 1654, i paesi di Molini, Andagna e Corte ottennero la piena autonomia amministrativa da Triora con facoltà di dotarsi di un proprio consiglio o parlamento, che sarebbe rimasto in vigore fino alla proclamazione della Repubblica ligure il 14 giugno 1796.
Nel 1656 la popolazione triorese venne letteralmente decimata da una grave peste, che, partita dal porto di Villafranca, dilagò in tutta la Liguria. Dieci anni dopo, nel 1666, in relazione alla necessità di riformare le leggi ecclesiastiche locali, il pontefice Alessandro VII emanò una bolla, intitolata Provisionis canonicatus collegiatae et parochialis loci Triorae, che trattava degli obblighi e degli onori canonicali del parroco e degli altri prelati residenti a Triora.
Nel 1670, essendo sorte delle contese fra Triora e Briga in merito all’intricata questione dei confini tra i due comuni, il re di Francia Luigi XIV inviò a Triora in qualità di legato con il compito di risolvere la questione confinaria tra i due paesi l’abate Ugo Servient.
Dopo esser giunto a Triora ed aver attentamente esaminato i termini giuridici della contesa confinaria, l’abate francese pronunciò un laudo o arbitrato sulla questione sulla sommità del monte Marta.
Il tentativo di mediazione compiuto dall’abate Servient non risolse però affatto la contesa inosorta tra i due paesi tanto che l’anno successivo il duca di Savoia Carlo Emanuele II, prendendo proprio a preteso la situazione permanente di attrito tra Triora e Briga per la questione dei confini e dei pascoli ai confini dei loro territori, dichiarò nuovamente guerra alla Repubblica di Genova.
Per tutto il 1672 il territorio di Triora divenne dunque teatro di una serie di sanguinosi scontri militari tra le truppe piemontesi e quelle genovesi, nel corso dei quali le campagne circostanti il paese vennero pesantemente devastate e le masserie sparse sul territorio saccheggiate e messe a ferro e fuoco.
A Triora vennero inoltre stanziati migliaia di soldati genovesi, cinquecento dei quali ingaggiarono uno scontro armato con le forze piemontesi sul colle del Pizzo.
Dopo due anni di aspro conflitto sulle montagne prospicienti Triora, il duca di Savoia pervenne infine ad una nuova pace con Genova che venne stipulata il 18 gennaio 1673.

da Cultura-Barocca

A ceve, Teico, Teicum, Teucho, Teyco, Pieve di Teco (IM)

Scorcio di Pieve di Teco (IM) - Fonte: Wikipedia
Scorcio di Pieve di Teco (IM) – Fonte: Wikipedia

Il centro di PIEVE DI TECO (IM), la cui posizione strategica e topografica fu di rilevante importanza per la Repubblica di Genova, costituisce da sempre un punto storico di incrocio fra due assi viarie provenienti dalla piana di Albenga e dal territorio di Imperia [vie che fanno naturalmente riferimento ai cardini storici di COSIO – PORNASSIO – NAVA (COLLE DI NAVA)]; il punto ove si intersecavano i molti antichi PERCORSI “MAR LIGURE-PIANURA PADANA”. La prima parte del toponimo è infatti PIEVE che nella dizione locale suona come A CEVE quindi la PIEVE per antonomasia.
Col termine PIEVE nel CRISTIANESIMO ORIGINARIO si indicava storicamente, all’interno di una DIOCESI CRISTIANA, una STRUTTURA BATTESIMALE MINORE: la notazione è importante perchè rende possibile iscrivere dalle prime organizzazioni cristiane in Liguria la dipendenza di PIEVE DI TECO dalla grande DIOCESI DI ALBENGA in cui l’ISTITUTO PIEVANO fioriva alla maniera tipicamente italica e non alla DIOCESI DI VENTIMIGLIA la cui straordinaria conformazione già segnalata da N. Calvini di DIOCESI SENZA ORGANISMI PIEVANI la trasformava in un COMPLESSO GIURISDIZIONALE DI TRANSIZIONE tra AMBIENTE ITALICO ed AREA GALLICANA sì da replicare in AMBITO AMMINISTRATIVO RELIGIOSO la caratteristica di AREA DI PASSAGGIO TRA DUE AMBIENTI ETNICI E CULTURALI DIVERSI tipica, nell’ambito dell’ IMPERO DI AUGUSTO, delle PROVINCE OCCIDENTALI DELLA ALPI e dell’ESTREMO CONFINE OCCIDENTALE D’ITALIA reso in qualche modo caratteristico dalle particolari caratteristiche del MUNICIPIO DI ALBINTIMILIUM particolarmente se viste in relazione al MESSAGGIO POLITICO-CULTURALE emesso dal TROFEO DELLA TURBIA.

La II parte del toponimo PIEVE DI TECO rimanda ad un “TECO” [citato quale “TEICO” nel 1170, “TEUCUM” nel 1194, “TEUCHO” nel 1204, “TEYCO” nel 1235) con cui si indicava il CASTELLO e la CASTELLANIA che da esso dipendeva.

La Petracco Sicardi (nel suo intervento su PIEVE DI TECO nel DIZIONARIO DI TOPONOMASTICA edito dalla UTET di Torino) giustamente, come al solito, usa prudenza e oscilla fra due ipotesi: suppone ciè che il termine possa derivare da una base ligure indoeuropea o che possa derivare dal greco “TEIKOS” nel senso di “MURO DI DIFESA”.

Nino Lamboglia, forse meno prudente, sapeva però spesso dare il via ad ipotesi lungimiranti: senza soffermarsi troppo sui “distinguo” che di frequente non concludono interpretava senza esitazioni TECO come un derivato da TEIKOS e sosteneva la sua ipotesi con osservazioni di strategia e di topografia per nulla peregrine: alla logica dell’arte bellica greco-bizantina stava infatti la possibilità -come scrisse l’illustre archeologo- che fosse stata organizzata una postazione militare greca sul colle sovrastante il paese proprio dove sarebbe poi stato eretto il castello dei Clavesana.
Questa osservazione si rafforza peraltro alla luce di quanto lo stesso Lamboglia individuò per CAMPOMARZIO DI VALLE ARGENTINA e per quanto si va osservando in merito alle ORIGINI del CASTELLO COMITALE di DOLCEACQUA.
Se poi si fa cenno alla peculiare logistica, in tapporto al centro di PIEVE DI TECO, dei paesi di ARMO e di TORRAZZA (in riferimento soprattutto alla frazione di CALVI) [oltre al fatto che verisimilmente la vicina località di PORNASSIO era ancora un importante insediamento romano innestato sulla VIA DEL NAVA] si forgia davvero l’idea di un complesso organismo bizantino che risaliva la VALLE DEL PRINO per incentrare il suo cuneo difensivo verso l’Oltregiogo nella VALLE D’ARROSCIA, nell’area soprattutto di COSIO D’ARROSCIA.

La storicità medievale di PIEVE DI TECO in base ai documenti data dal 1233.

A tale data ricorre la fondazione del paese fatta attorno alla PIEVE, ad un POZZO e ad un MULINO in quel sito della pianura dell’importante VALLE che vede confluire le strade della zona destinate a superare il NAVA ed a procedere verso il PIEMONTE.
La ragione che presiedette a questa scelta fu chiaramente di natura mercantile e commerciale, fatta in un momento storico, in cui, spegnendosi lentamente col medioevo la sua economia chiusa e curtense, si scopriva la nuova esigenza di scambi commerciale.
Dopo le esperienze del MERCATO APERTO ROMANO il principio dei viaggi e dello sfruttamento degli antichi percorsi fu dapprima intrapreso dai BENEDETTINI e quindi praticato anche da CROCIATI e CAVALIERI oltre che da PELLEGRINI DI FEDE.
Su questo percorso si sarebbero comunque presto innestati i MERCANTI TARDO MEDIEVALI sì che PIEVE DI TECO divenne un’importante piazza mercantile ed una sede di manifatture della carta, delle calzature, del sapone, delle corde, del panno e del cuoio: per tale mercato, da una carta del XVI secolo, si apprede che passò una certa quantità di involti di carta prodotta dalla CARTIERA DEI DORIA DI ISOLABONA (forse per l’alto quantitativo e l’ingombro delle merci non ci si era potuti servire del meno comodo tragitto della VIA DELLE NEVI DEL NERVIA).
Da queste note è chiaro che molte potenze ambirono a controllare la piazza commerciale di PIEVE DI TECO.
Dapprima essa fu un possedimento dei CLAVESANA anche se il borgo già a fine XIV secolo (precisamente nel 1386) sarebbe entrato a far parte del DOMINIO DI GENOVA.
Naturalmente l’area non mancò di essere causa di altre interferenza, soprattutto ad opera dei SAVOIA in piena espansione dal PIEMONTE verso la costa: soprattutto nel 1600, precisamente nel 1625 e quindi nel 1672 l’area fu al centro di grossi scontri tra GENOVA E PIEMONTE in cui cominciarono a far prova gli ESERCITI DELL’ETA’ MODERNA.

Dopo gli EVENTI POLITICI E MILITARI DEL XVIII SECOLO E DEI PRIMI DEL 1800 la piazza mercantile e viaria di PIEVE fin a quando entrò fra i possessi del REGNO DI SARDEGNA dopo che fu soppressa, coi deliberati del Congresso di Vienna, la vecchia REPUBBLICA DI GENOVA, conobbe straordinari e terribili momenti storici.

Sotto il profilo topografico PIEVE DI TECO, di cui si può utilmente confrontare la splendida CARTA settecentesca del “Dominio della Serenissima Repubblica” del 1773 di Matteo Vinzoni con la STAMPA dal volume statistico del 1824 dello Chabrol, è interessante quanto sotto quello storico e civile.

Pieve di Teco (IM), scorcio dei portici del centro storico - Fonte: Wikipedia
Pieve di Teco (IM), scorcio dei portici del centro storico – Fonte: Wikipedia

Il GROSSO PAESE risulta distinto in due parti dalla VIA CENTRALE PORTICATA su cui davano sia i negozi degli artigiani che le case di nobiltà ed alta borghesia locale: particolarmente interessante è a questo proposito il tratto dei PORTICI DI VIA PONZONI opera di maestranze locali del XIV-XV secolo.
Tra le famiglie che hanno residenza in quest’area privilegiata si possono citare i Clavesana, i Ventimiglia, i Linguilia, i Borelli (il cui palazzo ha dato poi la sede all’attuale Municipio), e l’OSPEDALE DI S. LAZZARO (una delle numerose strutture decentrate appartenenti al SISTEMA SANITARIO ASSISTENZIALE DELLA REPUBBLICA DI GENOVA contraddistinto da un caratteristico PORTALE.

Pieve di Teco (IM), Santuario della Madonna dei Fanghi - Fonte: Wikipedia
Pieve di Teco (IM), Santuario della Madonna dei Fanghi – Fonte: Wikipedia

Interessante è a PIEVE DI TECO il SANTUARIO DELLA MADONNA DEI FANGHI cui si arriva sulla strada che da PIEVE porta ad ARMO.
La CHIESA sta in una zona anticamente paludosa alla confluenza tra i corsi dell’Armo e dell’Arogna.
Inizialmente qui era solo un PILONE in cui era custodita un’immagine della VISITAZIONE: fu eretto da certo Antonio Aicardo di Pieve di Teco.
In seguito il nobile locale Giovanni Domenico Ferrero fece edificare una cappella ottagonale.
La chiesa attuale risale al ‘700: ricalca vagamente uno stile classicheggiante, che spicca soprattutto per la caratteristica dei due avancorpi aggettanti e porticati, e suscita incredibili sensazioni di pace per la quieta della natura incontaminata in cui è inserita tra boschi, laghi, sorgenti.

Pieve di Teco (IM), Chiesa Collegiata di San Giovanni Battista nel centro storico - Fonte: Wikipedia
Pieve di Teco (IM), Chiesa Collegiata di San Giovanni Battista nel centro storico – Fonte: Wikipedia

Un altro importante edificio religioso è la PARROCCHIALE, l’antica chiesa collegiata di S. GIOVANNI BATTISTA.
La struttura era quella di una fabbrica maestosa a tre navate, con absidi rettangolari tipiche del tardo gotico caratteristico del ponente ligure. A sinistra furono aggiunte in un secondo tempo una quarta navata e numerose cappelle gentilizie .
Secondo la tradizione sarebbe stata eretta nel 1234, ma gli specialisti moderni, documentati anche dal rinvenimento di una lapide, tendono a postdare l’edificazione al 1333.
La chiesa comunque, verso la fine del XVIII secolo ha subito una ristrutturazione tale da lasciare sempre aperti degli interrogativi sulla lettura genuina del suo primitivo assetto architettonico.
Nell’anno 1785, dato il decadimento dell’edificio avvalorato da perizi di mastri carpentieri, superati i contrasti tra le “fazioni” createsi fra restauratori e innovatori, quasi interamente il corpo della chiesa fu abbattuto.
Alcune tracce della vecchia parte absidale sono riemerse nella spazio della canonica, a destra dell’odierna fronte della nuova chiesa. Sullo stesso luogo dell’antico edificio sacro, tra 1785 e 1806, su progettazione dell’architetto Gaetano Cantoni, venne realizzata la nuova collegiata a una sola navata, di stile neoclassico, opera che a detta degli specialisti presenta significativa originalità. La fabbrica ha una stretta facciata con ambulacro e protiro che poggia su dei pilastri ricavati da pietra locale.
Tre archivolti sostengono quindi la grande cupola che s’innalza dietro il campanile.
Le pareti sono invece sorrette da una sequenza armonica di trentadue colonne a capitello corinzio .
Cupola e archivolti sono poi abbelliti con pitture del genovese Michele .
La soluzione per il grande edificio di una pianta centrale a triangolo fu quasi certamente suggerita dalla necessità di utilizzare completamente lo spazio a disposizione.

Pieve di Teco (IM), Oratorio di San Giovanni Battista - Fonte: Wikipedia
Pieve di Teco (IM), Oratorio di San Giovanni Battista – Fonte: Wikipedia

E’ altresì meritevole di una visita l’antico ORATORIO DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE.

Pieve di Teco (IM), Teatro Salvini - Fonte: Wikipedia
Pieve di Teco (IM), Teatro Salvini – Fonte: Wikipedia

Per il Teatro Salvini si rimanda a questo link.

Pieve di Teco (IM), Teatro Rambaldi - Fonte: Wikipedia
Pieve di Teco (IM), Teatro Rambaldi – Fonte: Wikipedia

Un altro edificio interessante è poi il TEATRO CIVICO RAMBALDI, con cupola rinascimentale, ricavato in un’ala del CONVENTO DELLE MONACHE AGOSTINIANE.

Pieve di Teco (IM), Chiesa della Madonna della Ripa- Fonte: Wikipedia
Pieve di Teco (IM), Chiesa della Madonna della Ripa- Fonte: Wikipedia

La CHIESA DELLA MADONNA DELLA RIPA, nonostante sia stata a lungo lasciata in degrado prima di una serie di interventi restauratori, costituisce un monumento di rilievo del ‘400 ligure.
Essa risponde alle caratteristiche dell’architettura ligure tardo-gorica come si può notare dalle colonne in pietra nera, dai capitelli stilizzati, dagli archi ogivali e a doppia ghiera.
E’ inoltre completamente rivestita, negli archi e nelle pareti, di stucco dipinto a fasce bianche e nere, coi muri parzialmente affrescati.
La sua abside è quadrangolare.
N. Lamboglia scrisse di questa chiesa nei Monumenti del Ponente Ligure (Torino, 1970, p.107):”[la chiesa] non possiede più la facciata, conglobata nelle posteriori sovrastrutture dell’Oratorio di S.Giovanni: l’ingresso principale fu probabilmente quello laterale, rivolto verso il borgo e ancor oggi contrassegnato da un grande portale gotico; ha pure quasi integro il campanile, tipico del secolo XV, bisognoso tuttavia di vivere in armonia con la chiesa e la sua architettura, ripristinando i suoi tre piani di bifore che danno il tono al paesaggio della valle“.

Chiostro del convento agostiniano a Pieve di Teco (IM) - Fonte: http://www.cassiciaco.it
Chiostro del convento agostiniano a Pieve di Teco (IM) – Fonte: http://www.cassiciaco.it

Lo stesso Lamboglia scrisse poi: “Pure esterno al BORGO DELLA PIEVE, fin dalle origini, fu il grande CONVENTO DEGLI AGOSTINIANI SCALZI ridotto in stato avvilente negli ultimi decenni, con la chiesa ed il campanile di costruzione cinquecentesca; unico e meravigliosamente integro resta il chiostro del XVI secolo, il più vasto di tutta la Liguria occidentale e il più arioso di proporzioni e di volumi, già largamente permeato di echi rinascimentali; colonne, capitelli ed archi sono tuttavia ancora scolpiti secondo la tecnica tradizionale e completano il panorama dell’arte ligure medievale nella sua espressione più attardata“.

da Cultura-Barocca