Pecios n.122 Immobile intrigo

Diverso il resto
in attesa osserva
il dono che esso nel tornare accontenta.

Eppure lui illuso rimane ebro,
rubino di luce qualcosa riaccende. È umano, sorprendente…Il resto a venire lo attende?

Ora è fermo,
le braccia all’ora aperte ora conserte
non trova, non torna più
vivo e morto quel viso dagli occhi spenti

In attesa osserva
e tutto il resto va.

Pecios n.121 Alla madre e gli altri

Alla deriva della vita siamo
naufraghi di noi stessi;
isolati,infossati,relitti,
derelitti umani
al riparo dalle nostre
colpe
negli incubi i delitti sono degli altri;
Menzogna è rimembranza del passato e l’oggi del presente affossato.
Cosa rimane della vita?
Dissolto
il volto allo specchio
rimane che un brivido
riflesso del corpo ebro
che in ultimo rimanda al cuore
un austero commosso ricordo
come si posa su d’una lapide un fiore.

Pecios n.119 Siamo oblò nell’aspetto.

La resa dei conti.

Tu ed Io.

Il resto conta più del dovuto…

Come volti, nella cornice, non valiamo niente.

Un tono una voce uno sguardo;

ancora accade di ricordare

nei limiti del tempo risorto.

Come fantasma di carne e cuore battente svanisco

nella  festa che celebra la vita.

Unito, schiacciato nell’ombra sono vivo in posa di farsa,

alla lente di rimando.

Immortala un sorriso.

Tu dall’altra parte  immersa nella vita, senza testa, sei solo corpo e carne.

Ci troviamo uniti, curiosi in anonime forme.

Nell’apparire siamo oblò nell’aspetto.

Lì rimaniamo, lì Noi restiamo.  

Pecios n.118 Così nascono i ricordi

Ecco! Così ne cade un alto,

amico di sogni, speranza dei desideri, odori di vita

è il lasso di un attimo il tatto di un momento,

atto soave il suo percorso

tra anima e petto

ha affrontato il tempo

l’eterno dono di dare e aspettare.

In attesa il futuro è già presente,

sancita condanna,

si ignora la morte per la vita, disperato senso d’amore

Lotta e angoscia

rantoli e dolore

posa immobile

passata agonia

aggraziato, guarda il viaggio dei ritorni al cuore.

Pecios n.117 Punto cieco

Fa eco il rumore e riempie il presente,

ode lo iato l’uomo ardente

d’Amore,

pretende dal sogno ore di veglia.

L’inganno lo avvolge e tutto risplende

è finto il momento, reale tormento d’antico ricordo;

abbandonico viaggio, lui torna infrange il miraggio.

“L’amore è morto “ è l’inno alla noia, rimane che niente, ricordi persi senza gioia.

Pecios n.116 Inutili suoni

Maestro,

Ci siamo, sono pronto. È arrivato il momento. Ho preparato tutto. Lei dice di amarmi, io non la amo affatto, però mi è cara, tanto cara. Lei ci tiene, mi cerca sempre non mi lascia mai ed è alquanto singolare se la conoscessi…Io la conosco da una vita, siamo sempre stati insieme, cresciuti insieme. Il grande passo dunque per un “per sempre uniti”. Lo dice sempre, anche adesso mi sembra di sentire la sua voce “non ti lascerò mai”, “ci sarò sempre”. Già, sempre, lei c’è sempre…

È una strada che conosco, piana, spoglia, senza ornamenti, senza indicazioni, senza segnali. Una strada deserta. È l’eterno, in un “per sempre” immutabile. Il mio destino, la mia sorte è quella strada e lo so, ne sono certo e ho certezza. Lei con me ed io con lei.

Maestro, ti confesso però che vorrei tanto lei non ci fosse, che mi lasciasse stare; del suo amore non me ne faccio nulla. Non mi serve! Vorrei dirglielo, urlargli “vuoi andare via! Lasciami in pace, sparisci, vattene fatti indietro e mettiti da parte!”.

Vorrei correre lontano e non voltarmi mai più, mai più per nulla al mondo e non rivederla.

Eppure quando prendo coraggio, quando la foga della rabbia si riversa su di lei, le parole, le mie parole, non sono altro che inutili suoni. Sono niente, vacui; io sono nulla.

Mi faccio coraggio per il viaggio con lei al mio fianco. Non temo nulla, nemmeno la morte. È lo svanire che mi spaventa.

Caro Maestro, ti presento Solitudine.     

Pecios n.115 Lui e Lei

Caro Maestro,

Sono tornati, Lui e Lei. Lui tutto sognante, onirico, irrazionale al punto di essere illogico e insensato, contro ogni buon senso e buon costume…Lei, bellissima come sempre, raggio di ottimismo, concretezza e determinazione.   Non li sopporto già più. L’uno e l’altra. Cialtroni e fanfaroni, incapaci e perditempo! Non c’è niente da vedere qui!  Non li ho voluti io, sono arrivati e basta; quando meno te lo aspetti. Ci vuole un niente che arrivano. Si siedono e fanno i loro comodi. Parlano e pontificano, complici della loro reciproca concupiscenza.  Ho dato loro da pensare a nulla! Mi dichiaro innocente!… Sono qui per un paio di occhi, solo occhi, ecco tutto. Devo dunque essere condannato per questo? Averli fra i piedi? Ci sono già passato ed è stato un disastro. Non lotto più io, ho perso la voglia e smarrito la fantasia…

Lei sorride tutta e disegna, disegna viaggi, sguardi e ingenue complicità. Lui subito che colora, con quella tavolozza tra le mani e visivo prospettico.  Sono convincenti talvolta. Mi danno calma, io mi sento meno solo con loro…Lo confesso e lo ammetto. Mi faccio pena da solo Maestro, anzi pietà. In quel vaneggiamento sono impacciato anche nel sogno e incespico addirittura nel pensiero. Se Lei vincesse e Lui d’intesa saltasse sul carro del vincitore; chissà che premio spetterebbe a me? Regioni dimenticate da ricostruire e felicità? Che bello il gioco delle parti Maestro, la vita insieme e gli amori e che bella lei! Non lei Lei, l’altra lei; quella inconsapevole di tutto per quanto ne ho io da intendere.  

Accetto il gioco dell’illusione, l’ebrezza dell’ubriacatura per il tempo della gioia; consapevole del malessere a venire. Non tanto il dolore piuttosto la noia che scoccia più di tutto, tornare quiescenti.

Anche quegli occhi, quelli dell’invito indesiderato e dalla reazione spropositata sono fermi. Immobili e seri in un’immagine. E così voglio che rimangano. Il delirio è mio, la dichiarazione anche. Lei non lo saprà mai.

Addio Maestro, a presto. IO

Pecios n. 114 La guerra e la medaglia

Caro Maestro è passato così tanto tempo dall’ultima volta che ti ho visto che nemmeno ricordo il significato di “nostalgia”.  La verità è che tu sei morto ed io sono ancora qui, finto vivo, immobile nell’attesa mentre mi sposto verso il nulla. Sapessi com’è dura qui, com’è difficile. Mi manca la sicurezza delle tue parole e la follia delle tue parole. Sono solo qua. Non è per niente vero che lo siamo tutti, lo siamo per condanna o per volontà.  Voglio però essere sincero Maestro, perché mi recherebbe parecchio dolore se tu pensassi che abbia disatteso i tuoi insegnamenti. Voglio che tu sappia che ho lottato, eccome se ho lottato ma ho perso, miserabilmente perso! E c’è di più ti dirò, io sono pure un bugiardo! Sì, sì un bugiardo bello e buono!  Tutta la mia vita è una menzogna, una storia inventata, una copertina lodevole di esperienze e pensieri. Tutto falso e quella falsità ha riempito la mia non vita, senza quel mentire spudorato io non sarei altro che il nulla.

E’ merito di quelle falsità se sono riuscito a sopravvivere e irrigidirmi dandomi un tono. L’epilogo? Il fallimento inesorabile. Non riconosco più le mie idee, il mio onore, i miei ideali, i miei concetti e i miei sogni. Le battaglie però le ho affrontate tutte e tu c’eri, mi hai visto sul campo di battaglia mi hai addestrato al peggio ed io ho lottato e lottato anche dopo la tua morte. Tu zitto zitto hai deciso, a un certo punto, quando ti ha fatto più comodo, andare via. Fare i bagagli e andare via. Non ti sei mica penato di pensare a me, no di certo. Abbandonato durante la guerra più tremenda nella quale tu mia abbia mai mandato.

Mi ha fatto male morire sai? Molto e non è per nulla carino. Ora te lo racconto…

 La lama mi ha trafitto da parte a parte, dalla schiena al torace. Ho visto improvvisamente spuntare dal mio petto la punta insanguinata della spada. Mi sono voltato sconvolto, colpito nel mezzo della battaglia da un alleato. Dovevo darti ascolto Maestro, dare ascolto alla tua parola onirica e a quel primitivo rifiuto. Ero in ginocchio, bloccato dal dolore e vedevo la Bestia correre via, veloce, goffa, nuda e disperata. Cavolo se correva, a gambe in spalla. Aveva più terrore di me. Il suo era panico, la mia angoscia. Ho dovuto rimuovere la spada da me, gettandomi violentemente volto a terra. Non una! Ma più volte fino a quando la spada non si è ritratta e con educata cura distruttiva si è congedata sfilandosi dal mio corpo. Sono morto in silenzio, non ho urlato e nemmeno gridato sai? Eppure di sangue ne vedevo e la vita salutava sul palco tra lo scroscio di applausi atoni. Sì, proprio così, non è importato nulla di me, nemmeno alla morte. 

Sapessi le lacrime, il quanto soffrire e la disperazione. Nel più completo deliro d’angoscia cercavo di fermare il sangue che sgorgava dalla fonte e carponi nel sudiciume del campo di battaglia cercavo di rimettere dentro i laceri di anima che uscivano dalla cavità della sanguinosa ferita. Morivo e nessuno se ne accorgeva. Ero disperato e nessuno vedeva il mio avvilimento e la mia irrefrenabile sconfitta. Ho sentito un tonfo e un crepitio. Frantumi e mille pezzi. Ho chiuso gli occhi e riverso tra lacrime e sangue sono morto e lì sono rimasto. Fermo, immobile.

Perché non sei stato onesto come me? Perché piuttosto che dirmi di essere il migliore dei guerrieri non mi hai detto di essere il migliore tra i morti? Ma quali armi? Ma quali armature mi hai mai dato tu?! Potevo risparmiarmi il dolore e non vivere, potevo fingere ed amare. Cosa rimane ora?  Sono fermo, appeso al tempo. Cerco una via che non trovo. Vivo senza il respiro del mio spirito. Come lo vorrei indietro il mio spirito, vorrei che fosse guarito. Ho come il timore che le ferite lo abbiano rattrappito e atrofizzato. Come veterano e invalido mi hanno conferito la mia medaglia. La solitudine.

Ricordare il seguito è difficile Maestro, forse un altro giorno quando sarò ancora più vicino all’invisibilità, sarà mia premura squarciare la cicatrice, vivificarla di rosso sanguigno e ti racconterò come sono morto i giorni a venire.

Dove sei Maestro? Ti scrivo ancora. A presto.

Con affetto Io

Pecios n. 113 Tu, io e i ritorni

Che bello il capo chino e folta chioma, selvaggia rincorre il gioco,

il nostro gioco di adulto e bambina;  effetto ludico di parti:

immutabile Io morto riverso e sorrido,

Tu d’altrove in avanti sei il mio ricordo.

“L’Amore poi torna” tu m’insegni serena e con le braccia mostri

uno spasso per te ma una vita per me.

Torna lì nel caro gesto, a te, fedele per sempre,  il corpo

 vivo nei luoghi della nostra gioia.