Sandro Ciotti: il Profeta del Calcio.

Oggi il Campionato di serie A sta per concludersi ed emetterà gli ultimi verdetti, lo scudetto è andato all’Inter, sono retrocesse in B, Parma, Crotone e Benevento; in lizza per un posto in Champions League ci sono tre squadre: Milan, Juventus e Napoli.

Quello a cui assistiamo è un calcio sempre più differito nel tempo e diventato per certi versi poco credibile, dai costi elevatissimi, con le Società di calcio sotto il giogo di procuratori e televisioni; mi ha molto colpito un episodio, il rigore assegnato allo «Juventus Stadium» nell’ultima gara di campionato, quale inequivocabile segno di un livello di guardia abbondantemente superato.

Sono stato accusato di moralismo, di ritenermi comunque soddisfatto che la mia squadra (l’Inter) abbia vinto il titolo, ma è proprio in virtù di ciò che spero il mio commento sia spoglio oltre che da possibili errate interpretazioni, da qualunque sentimento di amarezza o frustrazione.

Non è l’episodio in sé che mi ha colpito, ne l’esito del risultato naturalmente, bensì l’amara considerazione che questo «sistema» insieme all’aria che respiriamo, al cibo che mangiamo, al pianeta che abitiamo, abbia inquinato anche lo sport che più amiamo; chiunque abbia calcato anche i più infimi campetti di calcio amatoriale sa bene che quel rigore assegnato è stato una farsa, i commentatori esteri hanno riso quando è stato concesso, ancora una volta come nel caso della celebre «nipote di uno statista africano», abbiamo dovuto bere l’amaro calice della sfrontatezza del potere e l’ilarità del mondo intero.

Il pensiero va agli anni belli dell’infanzia e della spensieratezza, quando la liturgia calcistica domenicale del campionato seguiva i riti della contemporaneità e della popolarità; chiunque in diretta, con le orecchie incollate alla radiolina poteva seguire la sua squadra del cuore e tutte le altre, nell’arco di un’ora, in un «sol sorso», bere tutto d’un fiato la giornata calcistica; in estate poi «si riposava e ci si caricava» per l’annata successiva.

Non che all’epoca non ci fossero scandali, ma tutto era filtrato dalla radio e ovattato dai pochi articoli di giornali e dalla «Domenica Sportiva», rimaneva intatto l’interesse e la passione sportiva.

Mi domando dove andrà il nostro beneamato pallone, chissà, per intanto ripercorriamo le tappe di quei magici momenti, quando alla domenica pomeriggio, andava in onda per radio «Tutto il calcio minuto per minuto».

Sarà bello ricordare la vita ed il pensiero di Sandro Ciotti uno degli officianti di quel rito domenicale, di quella fortunata trasmissione radiofonica che allora sembrava immutabile nel tempo, memorabili poi i duetti di Ciotti col collega Enrico Ameri, «scusa Ameri», «la linea passa a Ciotti sino alla fine», che rimarranno per sempre impressi nella memoria di quanti hanno veramente amato il calcio e forse lo amano ancora, malgrado tutto.

Sandro Ciotti (foto Unità)

«Tutto il calcio minuto per minuto»

La prima voce del racconto calcistico radiofonico fu quella di Nicoló Carosio (1907-1984), fu lui per primo a dettare una linea di conduzione radiofonica, memorabili furono i suoi neologismi come ad esempio: «quasi rete», narrato col suo aplomb immutabile e confidenziale, oppure il suo saluto: «Gentili ascoltatori buongiorno. Qui è Nicolò Carosio che vi parla e vi saluta».

A quei tempi il pomeriggio calcistico andava avanti con la cronaca di una partita e con la sede milanese della RAI che passava a Carosio — per leggerli a fine partita — l’elenco dei risultati ottenuti sugli altri campi, il famoso radiocronista guardava per tutti e a tutti raccontava, forse non tutto corrispondeva — come insinuarono i maligni — però egli raccontò il calcio con epica e poesia adattandole alla nuda cronaca degli avvenimenti.

Ma perché invece di passare gli altri risultati a Carosio non li diamo direttamente? L’idea parve subito buona a Bortoluzzi, Sergio Zavoli ed altri e fu realizzata, si passò dalla singola voce di Nicolò Carosio ai campi collegati, nacque così «Tutto il calcio minuto per minuto», era il 3 gennaio del 1960 quando andò in onda il primo numero di una rubrica veloce e completa, con un ritmo capace di tenere in tensione per più di un’ora quanti l’ascoltavano e che raggiunse un indice di gradimento altissimo.

Il giorno dell’esordio della trasmissione Nicolò Carosio era a Milano per Milan-Juventus, Enrico Ameri a Bologna per Bologna-Napoli, Andrea Boscione ad Alessandria dove si gioca Alessandria-Padova. Non erano previste interruzioni per i gol, un protocollo che toccherà ad Ameri stravolgere tre mesi dopo, da Milano, per segnalare una rete di Pedro Manfredini in Inter-Roma = 1 – 3.

La trasmissione prevedeva in origine il collegamento da quattro campi, per il solo secondo tempo, mentre gli altri risultati venivano aggiornati dallo studio centrale dove per ventotto anni, un record, le operazioni furono dirette da Roberto Bortoluzzi che coordinava una redazione composta da sedici collaboratori che matita in mano, orecchio incollato al telefono, stipati in uno stanzone, ascoltavano, chiedevano, scrivevano in continuazione, fino a riempire fogli su fogli ciclostilati preparati apposta per loro, e sui quali c’era tutto: città, partita, arbitro, radiocronista, spazi vuoti nei quali scrivere progressivamente gol, espulsioni, rigori, calci d’angolo, risultato alla fine del primo tempo, risultato finale; Bortoluzzi in persona raccogliere le notizie per riferirle, mentre la trasmissione dal vivo era in corso.

Per lunghi anni e per otto mesi su dodici, ogni domenica pomeriggio — alle 13.30 in autunno e d’inverno, mezz’ora o un’ora più tardi quando le giornate ricominciavano ad allungarsi — milioni di italiani smanettavano sulle manopole degli apparecchi radio e dei transistor, ovunque si trovassero, in casa, in auto o allo stadio, per sintonizzarsi sulle stazioni del programma nazionale. La trasmissione molti lo ricorderanno iniziava con la pubblicità di una nota marca di brandy, buono per ogni occasione: vittoria, pareggio o sconfitta della squadra del cuore.

All’inizio «Tutto il calcio minuto per minuto» sospendeva le proprie trasmissioni alla quart’ultima giornata di campionato, infatti i dirigenti calcistici temevano che iI risultato di una partita in corso potesse influenzare lo svolgimento di un altro incontro nel quale si lottava per lo scudetto o per la salvezza. Quando ci si rese conto che, in mancanza della trasmissione radiofonica, le Società si erano organizzate con comunicazioni telefoniche puntuali e tempestive, il veto fu rimosso, «Tutto il calcio minuto per minuto» poté proseguire fino al termine del campionato.

Nel 1968 la formula fu ampliata per raccontare lo svolgimento di tutte le partite a partire dal primo minuto. Durante quelle domeniche pomeriggio con l’orecchio incollato al transistor, quanti trasalimenti per un’interruzione «scusa Ameri, scusa Ameri», quanta gente accalcata attorno alla radio in casa o al bar, magari davanti ad una schedina compilata a mano, poche segni per coltivare un sogno, celebravano il rito domenicale di una cerimonia tanto emozionante quanto lontana: una colonna sonora collettiva che accomunava tutta Italia.

L’equipe di «Tutto il calcio minuto per minuto» negli anni ’70, da sinistra: Claudio Ferretti, Sandro Ciotti, Mario Giobbe, Enrico Ameri e Massimo De Luca (foto Unità)

La vita di Sandro Ciotti 

Sandro Ciotti fu uno dei più popolari e ammirati radiocronisti, resterà per sempre «the Voice» della Radio italiana, la sua voce roca e inconfondibile lo rese immortale, le sue forbite e argute radiocronache, lo hanno collocato di diritto nella Storia del Giornalismo sportivo di tutti i tempi.

Nato a Roma il 4 novembre 1928, da una famiglia borghese Sandro, figlio del giornalista e saggista Gino, unico maschio fu avviato a discipline sportive socialmente gratificanti quali nuoto, equitazione, canottaggio, ma ben presto si ribellò giuocando clandestinamente a calcio, la sua passione; figlioccio dell’illustre poeta romanesco Trilussa, romano autentico, visse in un appartamento che s’affacciava sul Tevere e nel quale mostrava orgoglioso un tavolo da bigliardo uno dei suoi hobby preferiti, insieme allo scopone scientifico, fu animato inoltre da un’altra grande passione: la musica Jazz.

Fin dall’età di otto anni, fu violinista e pianista, prendendo lezioni dal Maestro Archibugi, come accennato in seguito si appassionò al Jazz, possedeva oltre quattromila` dischi: tremila di Jazz e mille di musica leggera; in gioventù fu un discreto mediano di spinta nella Lazio, giocò anche nel Forlì, nel Bari, nel Gela e nell’Anconitana, fra i compagni di squadra anche Italo Allodi.

Aveva molti amici anche nel mondo del cinema, fu testimone diretto della «dolce vita» romana, rimase scapolo per tutta la vita ed ebbe molte avventure amorose ma nessun vero legame, soleva dire di «essere insofferente alla vita di coppia».

Famoso per i colletti sproporzionati delle sue camicie, girava tutta Italia con una Mercedes, sempre disponibile se c’era da partecipare a qualche partita fra giornalisti. Molti in Penisola sorrentina, lo ricordano quando trascorreva le vacanze estive a Sant’Agnello e si dilettava ad intrattenere gli amici suonando il piano.

Gli bastava entrare in un bar e ordinare un caffè per sentirsi chiedere: «Lei è Ciotti, vero, quello delle partite di calcio alla radio?». Anche lui, come Ameri, riceveva molte lettere, talune le conservava, quelle spiritose ed intelligenti, ricche di osservazioni acute, molti lo criticavano perché lo ritenevano tifoso della Lazio o della Juventus, ma lui smentiva dichiarandosi tifoso di qualunque squadra che praticasse un bel gioco.

Sandro Ciotti durante una radiocronaca (foto Corriere)

Come detto iniziò tardi, a trent’anni la carriera giornalistica, prima in un quotidiano romano, poi alla RAI nel 1959, dove fu chiamato dai colleghi Paolo Valenti, Enrico Ameri e Nando Martellini, per dare vita alla trasmissione “K.O.” una satira musical-sportiva. Per anni si divise fra festival e partite di calcio, come detto Ciotti possedeva «una voce inconfondibile», che lui definiva «baritonale di petto» e che negli ultimi anni si era un po’ incupita per via di quaranta sigarette fumate al giorno, fu definito scherzosamente «catarro armato».

Dal 1962 fu inviato speciale del Giornale radio, i suoi commenti sempre arricchiti da aggettivi scelti con proprietà linguistica e con ricchezza di vocabolario, diedero vita alle cronache e agli approfondimenti di numerose Olimpiadi, mondiali di calcio e di ciclismo, svariati festival di Sanremo, di Cannes e di Venezia, perché Sandro Ciotti, spaziava dallo sport agli spettacoli con disinvoltura, mantenendo inalterata la qualità dei suoi interventi.

La sua esperienza più esaltante fu la radiocronaca della vittoria olimpica del suo amico Eugenio Monti nel bob a Grenoble, si gareggiò alle quattro del mattino, e fu felice di poter raccontare il trionfo del suo amico. Il ricordo più amaro fu quando dovette mandare in onda un servizio da Sanremo, poche ore dopo il suicidio del suo fraterno amico Luigi Tenco.

Affermava che «Pochi sanno che sono giornalisticamente nato come critico cinematografico e di musica leggera. Lo sport è venuto dopo». Tutti gli invidiavano quella sicurezza nel tenere il microfono per minuti e minuti, senza che la sua radiocronaca «cadesse» come si dice in gergo.

«Il trucco sta – spiegava — nel cercare di dare alle frasi che si pronunciano il giusto ritmo, oltre alla scelta di certi aggettivi, verbi e sostantivi che devono formare la frase. Ma si deve sempre parlare di cose importanti non ovvie, scontate. Fare cronaca, anche quando si raccontano episodi del passato».

Come spesso accade ai grandi personaggi in Italia, è rimasta famosa la sua rivalità con un altro grande radiocronista: Enrico Ameri.  

Enrico Ameri, toscano di nascita, genovese di adozione, con una storia professionale tipica dei primi anni della radio e della televisione: gavetta, versatilità, totale dedizione al mestiere, molta improvvisazione. Solo in seguito, e per deciso intervento dei superiori, il suo carattere si ammorbidì, il suo vocabolario si arricchì di frasi di cortesia. Molti ricordano ancora un “coglione” dato a Ciotti che tirava in lungo il suo intervento, a microfono creduto spento.

Non gli piaceva assolutamente firmare i passaggi di linea (in gergo si dice «firmare» quando si cede il microfono a un collega e lo si nomina per nome, ad esempio: «A te la linea, Sandro!», al posto di un generico «Passiamo la linea al Comunale di Bergamo»).

Il mondo delle radiocronache sportive, visse per anni il dualismo, la rivalità accesa tipo Coppi e Bartali, tra gli interventi di tipo forbito, ricco di commenti, con un lessico vagamente colto e distaccato di Ciotti e quelli di Ameri, cronaca pura, basata sul ritmo serratissimo e sulla totale mancanza di pause.

Una partita a carte con Enrico Ameri (foto Corriere)

Per lunghi anni Sandro Ciotti fu anche un «volto televisivo, si ricordano le sue conduzioni della Domenica Sportiva che iniziava sempre con: «Amici miei e non della ventura, buonasera», parafrasando Dante «l’amico mio, e non de la ventura» [Inferno, 11, 61], oltre per i già citati colletti di camicia e le sue collaboratrici in studio Maria Teresa Ruta e Simona Ventura.

Sottile e perfido il suo commento finale di un Lazio-Milan del 1973, quando Lo Bello annullò un gol regolare a Chiarugi e poi espulse Rocco, così sintetizzò l’incontro: «Ha arbitrato Lo Bello davanti a 80 mila testimoni».

Non le mandava a dire, come quella volta che andò apertamente in polemica con le reti Fininvest, quando iniziò in modo insolito la sua serie di interventi a «Tutto il calcio minuto per minuto», subito dopo aver dato le formazioni di Milan-Roma, Ciotti elogiò i colleghi Cucchi e Gentili, per l’ottima radiocronaca in duplex di Genoa-Juve e Parma-Bari e si complimentò con «chi alla Fininvest, ha ritenuto di dover dedicare un intero servizio a un nostro collega, che domenica scorsa aveva commesso un errore. Proprio un esempio di buon gusto. Complimenti davvero».

Era accaduto che la domenica sera la «Gialappa’s», durante «Mai dire gol pillole», aveva sottolineato un errore di Ezio Luzzi, durante la radiocronaca di Piacenza-Ancona, segnalando il Piacenza in vantaggio, nonostante il pallone fosse finito fuori. Una troupe dell’Appello di «Italia 1» era andata persino a casa di Luzzi per farsi spiegare l’errore.

Altri tempi, l’onestà intellettuale di Ciotti resisteva, malgrado il Calcio stava cambiando e con esso il Costume del nostro Paese, iniziava l’epoca delle pay-tv e del Campionato spalmato in ogni ora del giorno e della notte.

1995 – Il simbolo iconico dell’inizio dell’era delle pay-tv (foto Corriere)

Gli ultimi anni

Sandro Ciotti si spense nella Capitale, il 18 luglio 2003, a novembre avrebbe compiuto 75 anni, nel 1996 a Cagliari il suo ultimo intervento a «Tutto il Calcio minuto per minuto», all’uscita dallo stadio una piccola ma gradita sorpresa: «trecento persone ad aspettarlo, saluti, strette di mano, pacche sulle spalle».

In quell’epoca Ciotti affermò: «Adesso basta lavoro. Voglio sentirmi libero, andare in vacanza quando mi pare, ascoltare un concerto dopo l’altro», accettò invece di proseguire i suoi interventi radiofonici, specie alla domenica, e si dedicò al racconto della sua vita professionale e le proprie molteplici esperienze in una godibile autobiografia intitolata «Quarant’anni di parole», pubblicata dalla casa editrice Rizzoli. Memorabile è rimasto «Il profeta del gol», un documentario su Johan Cruijff, da lui ideato e realizzato nel 1975.

L’estremo saluto a Sandro Ciotti (foto La Stampa)

Ciotti definì la radiocronaca «un esercizio che rimane più alto della telecronaca, una splendida amante che però va rispettata come se fosse una moglie. Un esaltante modo di comunicare, in diretta, a milioni di ascoltatori che pendono dalle tue labbra. Ma obbliga ad un’attenzione feroce».

Per essere accanto a lui a Milano, in una puntata della Domenica Sportiva, Diego Maradona, che glielo aveva promesso, sfidò scioperi aerei, nebbia e limiti di velocità, per riuscire ad arrivare in tempo; non era ancora l’epoca del gettone di presenza, al Pibe de Oro come ricompensa bastò essere accanto alla «Voce di Tutto il Calcio», il cantore di quando il pallone era ancora sentimento.

Ciotti non amava il calcio moderno: le rotonde linee barocche dei suoi commenti erano rimaste ai terzini, alle ali, allo stopper. Lui era legato al mondo immaginario della radio, a quelle indimenticabili domeniche di Campionato che lui amava raccontare con quel sottile filo di ironia e con un infinito senso dell’umorismo, trattandosi pur sempre di un gioco anche se divenuto industria.

Sandro Ciotti possedeva il lessico e soprattutto la cultura per essere sempre critico e mai cattivo, le sue radiocronache erano esempio di buon italiano, e di onestà intellettuale. Sapeva tirar fuori al momento giusto l’aggettivo che smontava tutto, il verbo che leniva violenze, stemperava i drammi, autorizzava sorrisi e speranze, non per nulla il suo padrino di battesimo si chiamava Alberto Salustri, un certo «Trilussa».

Nella foto si riconoscono Ameri, Martellini, Ciotti, Zavoli, De Zan (Immagine esposta nella mostra: «1924-2014, la RAI racconta l’Italia», tenutasi al Vittoriano di Roma)

Da profondo conoscitore di calcio, Sandro Ciotti, intervistato preconizzava:

«La televisione arricchisce il calcio ma al tempo stesso Io fagocita. La maggior quota dei proventi proviene dalla vendita dei diritti televisivi, ma proprio la sudditanza nei confronti delle televisioni ha partorito un calendario ingestibile. Nelle settimane dedicate agli incontri di Coppa si finirà per giocare quasi tutti i giorni. Senza considerare che in pasto alla concorrenza il tifoso che vuole seguire tutte le gare della propria squadra sarà costretto a sottoscrivere più abbonamenti».

Oggi ci sono troppe partite?

«No, non solo questo. Ormai s’è persa la contemporaneità dell’evento calcistico, tra anticipi e posticipi le squadre non giocano più nello stesso momento. È assurdo che la prima in classifica scenda in campo già sapendo il risultato della seconda».

Si è intrapresa una strada senza ritorno?

«Il calcio ormai ha innanzitutto esigenze d’affari e di business. Guardi, ho settanta anni e non voglio fare il nostalgico. Però non so se questo di oggi è un calcio migliore, dico soltanto che è un calcio diverso».

È cambiato pure il tifoso?

«Certo. Oggi non può più esserci una completa identificazione del tifoso con la squadra composta per la maggior parte da atleti stranieri».

Luigi Russo