Lo sguardo bambino e la mente del principiante

Nicoletta Cinotti
7 min readSep 21, 2015

Ho molto presente il momento in cui ho iniziato a praticare mindfulness — o, se preferite — vipassana. L’ho fatto con curiosità ma senza particolari aspettative. Stavo cercando qualcosa ma non mi era chiaro cosa. Dopo pochissimi minuti ho avuto l’intuizione di averlo trovato.

Mi sono vista bambina, nel piccolo paese di montagna in cui vivevo. Era appena nevicato. Una di quelle nevicate farinose che mi facevano impazzire di gioia. In quel momento, immersa nella neve come se fosse panna montata, ho sentito che nella vita si poteva essere felici.

In quell’attimo di mindfulness il ricordo è tornato vivido, come se non fosse un ricordo ma proprio il luogo in cui mi trovavo in quel preciso momento della mia esistenza.

Trovare il genio e lo sguardo bambino

La parola genio è una parola che, almeno a me, ha sempre spaventato. Mettendomi nella categoria dei non geni, diffidavo di chi invece genio lo era davvero. Ero anche convinta che potevo incontrare un genio dietro ogni angolo e la cosa, almeno da piccola, mi spaventava abbastanza. Nella mia fantasia, il genio mi avrebbe aspramente rimproverato, con il dito puntato, per la mia stupidità!

Ma la parola genio, in latino, significa “spirito del luogo”genius locii. E allora acquista, per me, tutto un altro significato. Significa cogliere il senso di quello che stiamo vivendo. Un senso che è più grande del nostro limitato beneficio o della nostra limitata prospettiva.

Quel giorno in mezzo alla neve, quando ho sentito che nella vita si poteva essere felici, sono entrata nel genius locii, in quella prospettiva che ci rende felici perché siamo aperti, in contatto con il mondo interno e con il mondo esterno, in una radicale e assoluta semplicità, che va al di là dei soliti confini e delle solite definizioni.

Sono rimasta nella neve fino a non sentire più gambe e braccia. Le mani sembravano caldissime, giocavo con la neve. Nessuna capacità di fare un pupazzo, solo giocare.

Quando sono rientrata in casa e ho iniziato a scongelarmi ho capito quanto freddo avevo preso. Ma nulla poteva turbare quella profonda convinzione che avevo catturato in quel momento: la felicità è possibile.

E’ a causa della natura impermanente del dolore che possiamo trasformarlo. E’ a causa della natura impermanente della felicità che possiamo nutrirla. Thich Nath Hanh

Gli anni successivi

Gli anni successivi non sono stati così divertenti. Una adolescenza ribelle, qualche guaio inevitabile. Penso di aver percorso la strada del dolore e dell’inquietudine moltissime volte. Qualche volta quella bambina e la sua convinzione mi sembravano totalmente scomparse. Segni di una ingenuità che mi esponeva a ferite e delusioni e che era meglio abbandonare. Quella mattina in cui ho provato per la prima volta la mindfulness ero sulla soglia dell’adolescenza di nuovo. Quella di mio figlio.

Sembra che l’adolescenza sia, nella mia storia, il motore di tutto. Della gioia e del dolore ma, soprattutto del cambiamento. Non comprendevo cosa stava succedendo nel rapporto con mio figlio e non comprendevo come io reagivo a quell’essere tanto amato e, improvvisamente, tanto estraneo. Per cui quando la bambina è tornata, insieme alla sorpresa e al piacere, c’è stata anche una sorta di diffidenza. “No — ho pensato — tornare così vulnerabile e inesperta? Abbandonare tutte le cose che so per entrare in un territorio sconosciuto? ” E quello è stata la prima vera intuizione: il territorio sconosciuto ero io. Anni di studio, ricerca, forsennata e intensissima come direbbe Leopardi, e mi trovavo lì, seduta con una sconosciuta. Me stessa.

Le persone che conosco e hanno accolto stabilmente la mindfulness nella loro vita ricordano molto nettamente che cosa le abbia condotte a questa decisione, quale fosse il loro umore e quali circostanze della vita erano presenti al momento di iniziare. Anche per me è così. Jon Kabat Zinn

La mente del principiante

Io e quella sconosciuta avevamo vissuto tutta la vita insieme senza davvero conoscersi. Potevo dire che io ero la sorella vincente e lei — la sconosciuta — la bambina ribelle e sognatrice. Alla fine però aveva vinto lei. Dovevo tornare a riprenderla se volevo andare avanti. Se volevo attraversare quella crisi senza distruggere e distruggermi.

L’idea di tornare al bambino non mi era affatto nuova. E’ la base della bioenergetica, quella che pratico da più di trent’anni. E’ a causa delle nostre difese — che costruiamo dopo aver provato dolore — che limitiamo il contatto con le nostre emozioni e la nostra natura di base. Ritornare all’affetto che rimane bloccato dalle difese permette di prendere contatto con quella sorgente di vitalità e autoregolazione che risiede dentro ognuno di noi.

Mi sembrava anche di averlo già fatto. Ma mancava un pezzo che forse oggi chiamerei, con un’altra parola che mi spaventava moltissimo, ispirazione.

Avevo lasciato venire a galla le emozioni bloccate ma avevo pensato che quell’ispirazione iniziale fosse una sciocchezza infantile. In questo modo avevo trattato quella bambina con la superiorità benevola che molto spesso abbiamo nei confronti dei bambini. Ci affascinano e li amiamo ma non apparteniamo davvero allo stesso mondo. Spesso facciamo anche molto per tenere quei due mondi separati, anziché in comunicazione. Perdiamo così la saggezza che nasce da quella mente del principiante che è sempre disponibile. Che è la nostra capacità di vivere le cose nella loro assoluta e continua novità .

La poesia è conoscenza e passione”. Un bambino di otto anni; “E’ bello vedere l’aria felice”. Fatema, bambina rom ;”L’addio è la fragilità tra gli amici?” La bambina Iulia. Raccolte da Chandra Livia Candiani

Tornare all’ispirazione

Tornare all’ispirazione è stato il vero ritorno alla mia bambina interiore e il vero percorso verso la mente del principiante. Questo credo che sia il livello di consapevolezza che offre la mindfulness: la possibilità di imparare da noi stessi e dalle nostre intuizioni. L’intuizione è un processo singolare: essendo frutto della creatività nasce dall’essere e non dal fare. Anzi il fare incessante può far sparire o nascondere l’intuizione dentro una tana profonda. E quando la nostra intuizione è nascosta, attraversiamo sempre un periodo di aridità. Non possiamo procedere senza intuizioni

perché vorrebbe dire che non abbiamo più aspirazioni ma solo obiettivi. Vorrebbe dire che diventiamo macchine produttive piene di automatismi, efficienti quanto sterili.

Oggi, come dice Byung-Chul Han ne “La società della stanchezza“, non c’è più limite allo sfruttamento che facciamo di noi stessi. Non c’è più limite perché siamo diventati tutti freelance, tutti liberi professionisti, tutti lavoratori a partita Iva. Dobbiamo rispondere a noi stessi della nostra produttività e questo ci spinge in una spirale in cui il fare assorbe tutto lo spazio e isola il contatto con l’essere, con la contemplazione, con l’ozio creativo e il silenzio. La mindfulness inverte questa tendenza e sposta l’attenzione all’essere, alla pausa.

Possiamo attraversare la crisi dell’aridità in qualsiasi momento della nostra vita. Ha gli stessi sintomi della crisi di mezz’età che spesso è una crisi di identità. Ci sembra che tutto sia già scritto e già detto. Che non ci sia che una lotta per mantenere quello che abbiamo raggiunto con un po’ di dignità. Vedo molti adolescenti in crisi di mezza età. Succede perché gli abbiamo rubato il presente, economicamente ma non solo. Abbiamo rubato il presente ogni volta che educhiamo alla distrazione, alla dimenticanza, all’assenza nella propria vita.

Torniamo adolescenti non quando plastifichiamo il nostro viso o aggiorniamo il nostro guardaroba ma quando pratichiamo una vera disciplina della memoria: quella che nasce dalla consapevolezza del respiro, dal tornare al nostro oggetto d’attenzione senza distrazioni. Coltiviamo la disciplina della memoria ogni volta che ricordiamo ciò che è essenziale nella nostra vita.

La mindfulness come dialogo

La mindfulness così è stata, per me, una specie di dialogo con la mia parte più autentica. Un dialogo fatto di molti silenzi e di parole semplici ed essenziali. E’ difficile stare in silenzio con qualcuno, anche quando siamo noi stessi. Sorgono ogni forma di impedimenti: il torpore, la noia, l’irrequietezza, una fame improvvisa, una fantasia creativa che spinge all’azione immediata e così via. Eppure praticando questo ascolto silenzioso, questo andare al di là delle solite storie sull’argomento “me”, ho ritrovato un fare che nasce dall’essere e che non esaurisce ma integra e restituisce un senso nuovo anche alle cose più ripetitive.

Anche questo credo che sia un effetto del tornare a quello che io chiamo “lo sguardo bambino”. Può sembrare una metafora assolutamente banale, e forse lo è, ma quel giorno, tornando a quella bambina, ho capito che avevo sepolto e isolato la parte più viva di me stessa. E non posso dire nemmeno che l’avevo fatto per difendermi. Devo riconoscere che l’avevo fatto perché me ne vergognavo e, qualche volta, me ne vergogno ancora.

Nascondo le parti difettose di me come se fossero una colpa: nascondo la mia ingenuità, la mia timidezza, la mia pigrizia, la mia incessante curiosità intellettuale. Tornando a quella bambina questi aspetti di me hanno ripreso dignità. Credo nella dignità intesa non come senso di importanza o presunzione ma come la facoltà di rimanere aderenti a se stessi, senza tradirsi. Anche quando non siamo belli. Anche quando sbagliamo. Amo Bukosky così letterale nelle sue descrizioni da suscitare ribrezzo e paura. Vorrei essere altrettanto onesta. E per esserlo pratico ogni giorno la dignità della posizione seduta.

All’inizio della meditazione è consuetudine dire — o almeno io lo faccio sempre — assumiamo una posizione confortevole e dignitosa. E’ la dignità del non svendersi e del non colludere. Ci sono cose che non posso fare — giuste o ingiuste che siano. Confini che non posso varcare e soldi che non posso guadagnare. E’ la dignità che nasce dal sapere chi sono davvero, al di là di qualsiasi immagine e apparenza. La dignità del conoscere i lati luminosi e quelli in ombra e mantenere con questi aspetti un dialogo continuo che mi cambia nello stesso momento in cui avviene. Perché, riconoscendo tutte le parti di me, acquisto dignità e mi apro all’infinità novità della vita.

La consapevolezza è con noi dalla nostra nascita e in virtù del nostro essere umani. Dobbiamo solo imparare a fare amicizia con questa innata capacità che è parte integrante di noi. Ed è proprio qui che la coltivazione sistematica della mindfulness entra in gioco. Jon Kabat Zinn

© Nicoletta Cinotti 2015

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Nicoletta Cinotti

Ho iniziato ad occuparmi di regolazione delle emozioni molti anni fa attraverso la bioenergetica e la mindfulness.Scrivo di fronte al mare