Canada, Gentiloni a lezioni di antiproibizionismo?

Oggi il presidente del Consiglio italiano incontrerà il Premier canadese Justin Trudeau. Durante l’incontro Trudeau potrebbe parlare a Gentiloni del suo progetto di legalizzazione della cannabis.

NonMeLaSpacciGiusta
6 min readApr 21, 2017

di Andrea Oleandri

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è impegnato in questi giorni in un viaggio in Nord America dove oggi incontrerà il presidente del Canada Justin Trudeau, dopo aver incontrato ieri quello degli Stati Uniti Donald J. Trump.

Due paesi confinanti ma — pare — mai così distanti come in questo momento.

Tra i tanti temi che separano Stati Uniti e Canada ora c’è anche quello della cannabis.

Proprio alla vigilia di questo incontro con Gentiloni il Premier canadese ha annunciato che il suo paese legalizzerà l’utilizzo a scopo ricreativo (dal 2001 è legale quello a scopo terapeutico).

LA LEGALIZZAZIONE IN CANADA

Una notizia tutt’altro che secondaria. Il Canada diventerà infatti il secondo paese, dopo l’Uruguay, a regolamentare e rendere legale coltivazione, produzione, possesso e consumo di marijuana. Ma se l’Uruguay è un piccolo paese del Sud America con un peso internazionale relativo, e dunque il suo esempio è passato spesso inosservato e non molto discusso, mentre il Canada è una delle grandi potenze mondiali, membro del G7, del G8 e del G20, capace quindi di influenzare le politiche globali.

Trudeau, leader del partito liberale, aveva fatto della legalizzazione della cannabis uno dei punti principali del suo programma elettorale, cosa che gli aveva permesso di conquistare il voto di molti giovani.

Fin dalla vittoria, avvenuta nel novembre 2015, il Premier si è mosso in questa direzione nominando un’apposita commissione, presieduta dall’ex ministra per la giustizia Anne McLellan, incaricata di studiare la migliore strada per giungere a questo risultato.

Il lavoro ha portato alla presentazione di due proposte di legge che il governo sottoporrà al parlamento per la loro approvazione: una per regolamentare l’uso ricreativo, la vendita e la coltivazione della marijuana, l’altra per rendere più severe le misure contro la guida sotto l’effetto della marijuana.

La prima proposta, la cui stesura è stata curata da Bill Blair (ex capo della polizia di Toronto e ora parlamentare liberale) permetterà ai canadesi di più di 18 anni di possedere fino a 30 grammi di marijuana e di coltivare fino a quattro piante. Tuttavia sul limite di età le singole province del Canada potranno imporre il loro al rialzo.

La seconda prevede invece multe e pene più severe per chi dovesse vendere marijuana a minorenni, nonché la possibilità per la polizia di effettuare test della saliva a ogni autista sospettato di aver fumato marijuana.

Nei prossimi giorni dovrebbero essere chiariti anche gli aspetti su cui ancora non sono stati dati dettagli: quanto costerà la marijuana, come verrà tassata e dove ne sarà consentito l’uso. Si sa invece che le licenze per i produttori saranno rilasciate dal governo federale, mentre le singole province si occuperanno della distribuzione e della vendita al dettaglio stabilendo, ognuna, le modalità in autonomia.

Data prevista per l’entrata a regime del provvedimento: metà del 2018 (si parla del 1° luglio).

Una rivoluzione figlia della constatazione di come la guerra alla droga abbia fallito.

Ha fallito nel proteggere i giovani, sottolinea il Ministro della Salute Jane Philpott, secondo cui

“la legge sulla cannabis aiuterà a mantenere i nostri figli sicuri e permetterà di affrontare i rischi per la salute associati alla cannabis. La legislazione proposta permetterà agli adulti canadesi di possedere e acquistare cannabis regolamentata e di qualità controllata, mentre proibirà la vendita ai giovani canadesi di qualsiasi prodotto a base di cannabis, nonché la pubblicità, l’imballaggio o un’etichettatura che potrebbero essere attraenti per loro “.

Alla Philpott fa eco lo stesso estensore della proposta, Bill Blair:

“come ex ufficiale di polizia, conosco in prima persona quanto sia facile per i nostri bambini acquistare cannabis. In molti casi è più facile per i nostri figli ottenere cannabis che le sigarette. Il piano di oggi per legalizzare, regolamentare rigorosamente e limitare l’accesso alla cannabis, metterà fine a tutto questo. Terrà la cannabis lontana dalle mani dei bambini e della gioventù e impedirà ai criminali di trarne profitto”.

Ma non ha fallito solo in questo. Quello della passate politiche è stato un fallimento totale. Per questo la proposta di legge di Trudeau punta anche — come si legge sul sito del governo canadese — a impedire e ridurre l’attività criminale; a proteggere la salute pubblica attraverso severi requisiti di sicurezza e di qualità del prodotto; a ridurre l’onere sul sistema giudiziario penale; a migliorare la consapevolezza dei rischi sanitari associati alla cannabis.

DALL’ALTRA PARTE DELLA FRONTIERA

Oltre il confine le cose non vanno proprio nello stesso modo.

Lo scorso 8 novembre sembrava che anche gli Stati Uniti si potessero avviare ad un cambio netto nella politica sulle droghe: i cittadini di quattro stati votarono per legalizzare la cannabis a scopo ricreativo — sommandosi agli altri quattro, più il Distretto di Columbia, dove era già legale.

Tuttavia a rendere meno rosea quella giornata ci fu la contemporanea vittoria di Trump. Benché i suoi intenti in materia non fossero chiari, ad esserlo erano quelli di chi lo circondava, a partire da Jeff Sessions, nominato poi nuovo Procuratore Generale, la cui linea sulla droga ricalca il motto della ex first lady Nancy Reagan “Basta dire no”. E per chi non dice no, l’unica linea possibile è quella dura.

Una linea che, tuttavia, non è condivisa da tutti all’interno dell’amministrazione Trump, dove c’è chi si fa fautore di un approccio più morbido. A dimostrarlo c’è la nomina di Chris Christie, governatore del New Jersey, a capo di una nuova commissione sulla lotta contro la tossicodipendenza istituita pochi giorni fa dalla Casa Bianca. Benché questa rappresenti un segno di continuità con le politiche di lotta alla droga degli Stati Uniti, Christie ha dimostrato in passato un approccio meno duro rispetto a quello che vorrebbe imporre Sessions al Paese.

Insomma, almeno per il momento, pare che se non si vada avanti, negli Stati Uniti, non si torni neanche indietro.

E IN ITALIA?

Nel nostro Paese le cose procedono con molta lentezza e ci troviamo dinanzi al più classico dei bivi.

Da una lato c’è chi guarda al Canada. È l’intergruppo parlamentare Cannabis Legale che ormai da tempo ha presentato un disegno di legge per la legalizzazione. Tuttavia l’accelerazione — quanto meno al dibattito — offerta dalla presentazione di questa proposta si è in buona parte arenata e ritirata nelle stanze delle commissioni. L’ultima novità è di circa un mese fa quando è stato nominato un comitato ristretto per discutere del testo.

Dall’altro invece c’è chi ha lo sguardo rivolto agli Stati Uniti, credendo ancora fermamente alle politiche di repressione come strumento utile per contrastare il fenomeno droghe. E, proprio come gli Stati Uniti, anche in Italia sembrano esserci (almeno) due anime nell’attuale maggioranza di governo. Da una parte chi lavora all’ipotesi legalizzazione nell’intergruppo e dall’altra chi sul tema segue una linea diametralmente opposta. Così, ad esempio, nel decreto sicurezza di recente approvazione vengono introdotti provvedimenti limitativi della libertà personale e di movimento per chi viene sorpreso a vendere o cedere sostanze stupefacenti, da potersi applicare anche senza una condanna definitiva.

Eppure anche in Italia le evidenze che i dati forniscono segnalano come le attuali politiche abbiano fallito: l’utilizzo di cannabis tra i giovani è diffusissimo, afferma una ricerca recente (un terzo degli studenti intervistati ha provato la cannabis almeno una volta nella vita); l’impatto sul sistema penale e penitenziario è pesante e favorisce il sovraffollamento degli istituti (oltre 18.000 persone sono attualmente in carcere per aver violato le normative sulla droga); l’ingente mole di denaro che questo mercato produce finisce esclusivamente nelle mani della criminalità organizzata (le attività connesse agli stupefacenti rappresentano quasi il 70% del complesso delle attività illegali stimate dalla contabilità nazionale e pesano per circa lo 0,9% sul Pil).

In tal senso c’è da augurarsi che durante la sua visita in Nord America, Gentiloni possa raccogliere spunti preziosi (ovviamente dal suo omologo canadese) e, tornato in Italia, lasciarsi alle spalle il bivio cui il nostro paese si trova di fronte, imboccando la strada più razionale, quella del superamento totale della war on drugs.

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Campagna della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili - per un dibattito informato e una riforma delle politiche sulla droga.