Aspettando i Tartari

Eugenia Bardanzellu
5 min readJul 24, 2023

È meglio aspettare tutta la vita l’occasione per diventare eroi, o scegliere di vivere una vita normale?

Giovanni Drogo, appena nominato tenente, viene inviato nella lontana Fortezza Bastiani, avamposto militare al confine con le terre del nord. Edificio isolato e tetro, la Fortezza si erge davanti al cosiddetto deserto dei Tartari, un’immensa piana di rocce bianche al di là della quale vivono popolazioni ignote. Drogo, sentendosi minacciato dalla prospettiva di una vita di segregazione, tenta in un primo momento di sfuggire al proprio incarico, ma rimane poi soggiogato dal mistero del luogo. Alcuni soldati credono che laggiù, dietro le montagne, ci siano i Tartari, e che un giorno compariranno sulla linea dell’orizzonte per fare guerra al nostro mondo. Che alla Fortezza ci sarà una grande battaglia, in cui diventare eroi. Tutte fantasie, naturalmente. Ma se fosse vero?

La tentazione di vedere l’arrivo dei Tartari incatena Drogo alla Fortezza. Convinto di essere sempre in tempo per andarsene, passa giorni, mesi, anni su quelle mura, a scrutare l’orizzonte, con la speranza che qualcosa di grande sia in serbo per lui, la convinzione di avere tutta la vita davanti. Ma la vita passa, e i Tartari sembrano non arrivare mai. Ma chi sono questi Tartari per cui Drogo si gioca l’intera vita?

Dal deserto del nord pareva giungere la loro fortuna, l’avventura, l’ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita.

L’ambientazione fantastica è tipica della narrativa di Buzzati. Anche qui, sebbene in un primo momento sembra che abbiamo a che fare con un paesaggio realistico, a ben vedere siamo circondati da simboli. Ogni riferimento spaziale è rarefatto, perché a Buzzati interessava solo raccontarci precisi ambienti: la città, con le sue mille occasioni; la fortezza, con le sue regole ferree; le terre del nord, cariche di fascino e illusioni. In quest’ottica, il riferimento ai Tartari non è legato alla popolazione nomade dell’Asia centrale, è semplicemente un simbolo che evoca un mondo ignoto, magari dal sapore barbarico, latore di pericolo, avventura e onore. Ponendola in questi termini, Drogo sarebbe disposto ad attendere tutta la vita l’occasione che cambia la vita.

Fino a rovinarsi gli occhi a furia di guardare il deserto, i soldati della Fortezza aspettano il grande avvenimento. Eppure, il loro desiderio di gloria è completamente astratto: non ci sono fondamenta reali che possano giustificare la fantasia di un arrivo dei Tartari. Fra i soldati, quelli più realisti decidono di chiedere un trasferimento, di abbandonare le chimere di grandezza. Scelgono di far carriera altrove, in maniera più banale, magari. Altri, come Drogo, no. Vogliono credere nell’improbabile momento di svolta, abbandonando famigliari, amici, amori. Nessun’altra scelta di vita pare avere più attrattiva. Perché nessuna altra scelta implica una perdita più grande, o uno sforzo così piccolo.

Non si erano abituati all’esistenza comune, alle gioie della solita gente, al medio destino.

Ecco il segreto che si cela dietro l’attesa dei Tartari: l’incapacità di vivere una vita normale. È molto meglio illudersi di poter diventare un eroe, piuttosto che accettare di essere una persona qualunque. Intrappolato nella routine della vita militare, Drogo si è abituato a non scegliere, a eseguire ciò che gli viene ordinato, a conformarsi al pensiero comune. Per questo finisce per credere che oscure forze lo incatenino alla Fortezza, perché in fondo non riesce a decidere per sé stesso e si lascia trasportare dalle imposizioni altrui, di nuovo lassù, a spiare il deserto.

Gli antichi amici di Drogo, sulla soglia della casa che si sono costruita, amano adesso soffermarsi a osservare, paghi della propria carriera, come corra il fiume della vita e nel turbine della moltitudine si divertono a distinguere i propri figli, incitandoli a fare presto, sopravanzare gli altri, arrivare per primi. Giovanni Drogo invece aspetta ancora, sebbene la speranza si affievolisca ogni minuto.

Gli altri, nel frattempo, sono cresciuti. Hanno preso delle scelte, rischiato, e sono diventati adulti. Adesso, insegnano ai propri figli a non sprecare tempo. Drogo non ha famiglia, non ha casa, non ha carriera. Per Drogo il tempo è passato, ma il suo animo è rimasto quello di un ragazzo che crede di avere tutta la vita davanti. Che il buono debba ancora venire. Rifiutando quella che sembrava una vita mediocre, non ha vissuto affatto.

Drogo guardò ancora verso il settentrione; le rocce, il deserto, le nebbie in fondo, tutto gli pareva vuoto di senso.

Buzzati pian piano ci fa capire che è solo per dare un senso al vuoto angosciante di quel deserto, e di quello che sembrava il futuro, che Drogo si è immaginato i Tartari. Ma adesso, vicino alla fine, inizia a capire che il vero nemico da affrontare non sono i Tartari, ma la vita stessa. Drogo, anziano, malato, costretto a forza ad allontanarsi dalla Fortezza, vede davanti a sé l’ultimo nemico. Capisce subito che non era quello che immaginava, che non ci sarà onore, che sarà pietoso e difficile. Ma è sfuggito per troppo tempo a ciò che gli sembrava penoso. Solo affrontando la malattia, la solitudine e la morte potrà veramente diventare — non eroe — ma uomo.

Vendicati finalmente della sorte, nessuno canterà le tue lodi, nessuno ti chiamerà eroe o alcunché di simile, ma proprio per questo ne vale la pena.

Durante la lettura del libro, anche noi aspettiamo i Tartari, sperando con tutti il cuore che il protagonista li veda arrivare, li fronteggi, ne esca vittorioso. Anche noi speriamo, inutilmente, tante volte, quando la vera battaglia è altrove. Su un fronte molto meno affascinante, un orizzonte meno carico di mistero, contro un nemico ben più prosaico. Drogo, che ha perso tutta la sua vita dietro a un sogno, riesce a cogliere l’ultima occasione, a combattere la battaglia che gli spettava. Riusciremo noi a riconoscerla, o, sulle mura di un’antica fortezza, aspetteremo ancora i Tartari?

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