Il turismo di massa è un problema

Tempo fa la rivista The Vision ha pubblicato la notizia relativa al comune di Venezia che, per arginare la quantità ingestibile di turisti, permetterà l’accesso alla città tramite prenotazione.
La soglia massima raggiunta dalla città veneta è stata di ben 160 mila presenze in un giorno.

Radio Tabù
7 min readMay 27, 2022

Turismo di massa: quanto c’entrano i social?
Il turismo di massa rappresenta un problema per le nostre città e per l’ambiente e non è così facile da arginare. A contribuire al suo incremento giocano un ruolo importante i social e le figure dei cosiddetti content creator o instagrammer. Molti di loro, infatti, per lavoro viaggiano sponsorizzando alberghi, hotel e altre strutture ospitanti. Questi viaggi, costantemente documentati sui social, sono corredati da foto e stories che mostrano luoghi suggestivi, angoli pittoreschi e scorci di paese romantici, un utilizzo del food porn (la “pratica” di fotografare e mostrare cibo in modo glamour e accattivante, talmente diffusa da aver dato vita a questo termine) sempre più massiccio.

Il martellamento continuo di queste immagini suscita desiderio nel fruitore e, tra questi desideri, quello di partire.
Se “l’utilizzo” d'influencer e simili per pubblicizzare un posto turistico, un evento culturale o altro, può sembrare una buona mossa di marketing volta a far conoscere le bellezze dei nostri luoghi, c’è sempre il risvolto della medaglia. Come abbiamo detto, infatti, questa pubblicità va a incrementare una forma di turismo massiccio e irresponsabile, con gravi conseguenze sul patrimonio culturale e naturalistico.

Un esempio dell’assalto delle masse, dovuto alla pubblicizzazione tramite social, è rappresentato dal Lago di Braies, con picchi di 18mila presenze giornaliere.

Una tecnica, e conseguenza al tempo stesso, di questo richiamo delle masse turistiche, è rappresentata dalle “mostre” create ad hoc per essere teatro di selfie da mostrare sui social (com’è il caso di alcune mostre allestite dal Chiostro del Bramante a Roma), le mostre interattive dedicate ai più famosi pittori con frasi a effetto e riproduzioni video senza l’ombra di un vero dipinto od opera dell’artista; o ancora, fuori dai centri culturali, la creazione di locali con arredamento e pietanze dai colori sgargianti.

Palloncini, pareti colorate, scale decorate e giochi di specchi: un’estetica abbagliante e instagrammabile, per attirare ancora più gente.
Ma non sono solo queste mostre dal contenuto più ludico che culturale a essere prese d’assalto: la pubblicizzazione di chiese, luoghi ed eventi culturali, fa sì che anche questi ultimi siano presi d’assalto.

Overtourism e classe borghese: le cause economiche
Ovviamente non sono i social i soli responsabili: quando si parla di turismo di massa è bene tenere a mente che vi sono coinvolte una serie di concause sviluppatesi nel corso degli ultimi decenni.
Tra le cause dell’overtourism troviamo anche film e programmi televisivi che hanno dato vita a un vero e proprio cineturismo: le persone si riversano in quei luoghi esotici protagonisti di pellicole e programmi, andando a scardinare gli equilibri di luoghi naturalistici e culturali.

Un esempio è il set del film The beach, con Leonardo di Caprio, che ha spinto migliaia di persone a riversarsi sulla piccola spiaggia tailandese Maya Bay. I turisti sono diventati talmente tanti e invasivi, da spingere il governo tailandese a chiudere la spiaggia per preservare l’equilibrio ambientale della piccola baia.

Esempi come questo, e come il già citato Lago di Braies, sono innumerevoli: basti pensare alle nostre città culturali come Venezia, Roma, Firenze; alle distese di lavanda in Provenza; all’esotica montagna arcobaleno del Perù; al Taj Mahal in India e via discorrendo.
Ma il turismo di massa non ha preso d’assalto solo le mete più famose: esso arriva a toccare anche luoghi più remoti e poco frequentati, piccoli borghi di provincia e cittadine sconosciute, portate alla ribalta dal fenomeno social.

A influire sull’overtourism, ovviamente, c’è anche il fattore economico: con il forte sviluppo della classe media e il suo crescente benessere, il mercato si è adeguato per soddisfare i bisogni di un ceto medio numeroso e benestante, che mira all’accumulo, materiale e immateriale, di oggetti ed esperienze. Parliamo della borghesia novecentesca, media o alta che sia, caratteristica della nostra epoca e fautrice dei consumi di cui tutti ci rendiamo complici. Ecco che viaggiare è diventato piuttosto economico e più o meno alla portata di tutti noi: voli low cost, offerte di viaggio, crociere dai costi irrisori con il conseguente sfruttamento del personale di bordo.
Se tutto questo ci ha potuto permettere di viaggiare in lungo e in largo, conoscere nuovi luoghi, riempirci gli occhi di bellezza e ricordi, è anche vero che ci ha trasformati in una fiumana di persone consumistiche e ingombranti, difficile da gestire.


L’assalto dei luoghi naturalistici

Migliaia di persone stanche, stressate e fin troppo “civilizzate”, stanno cominciando a capire che andare in montagna è tornare a casa e che la natura incontaminata non è un lusso ma una necessità. (John Muir)

A risentire fortemente del turismo di massa, come abbiamo detto, sono anche i luoghi naturalistici: dai più celebri, ai rifugi di montagna più piccoli e sconosciuti. A dare una spinta a questo rinnovato interesse per la natura e i piccoli borghi è stata anche la pandemia da covid-19. Le forzate chiusure in casa hanno spinto molte persone a prediligere attività all’aria aperta e vicinanza alla natura, con un conseguente accrescimento di presenze in rifugi, montagne, boschi e via dicendo.

Se da un lato l’implemento del turismo in queste aree favorisce entrate economiche e una maggiore occupazione, è pur vero che comporta un maggiore inquinamento e cattiva conservazione delle aree naturalistiche. Comporta, inoltre, una maggiore cementificazione delle zone verdi per accontentare l’indotto turistico, nonché un incremento di servizi per questa tipologia di utente che comporta la diminuzione di quelli essenziali per i residenti fissi. E, nonostante l’affluenza, questo tipo di turismo non risolve il problema del lavoro che, in molti luoghi, rimane prevalentemente stagionale portando, quindi, grandi masse di persone a concentrarsi in pochi periodi dell’anno.

Senza considerare l’impatto ambientale per l’inquinamento lasciato dal turista in sé, che non è sempre rispettoso dei luoghi visitati e non ha contezza dei comportamenti da adottare in montagna o in spiaggia, non sempre scontati.

Turismo cannibale e snaturante
Questo turismo è cannibale, come lo definisce Der Spiegel: “divora” e assalta i luoghi d'interesse senza rispetto per la cultura, l’ambiente e gli abitanti; è un turismo di consumo, massivo, che non vuole comprendere la realtà che va a visitare, della quale è ospite, ma la colonizza e si comporta da padrone egomaniaco. Diventa, in questo senso, fondamentale l’intrattenimento da mostrare poi sulle foto patinate dei social.

La rivista MarieClaire ne dà una definizione interessante:

trasformare il viaggio da lusso da centellinare accuratamente a convinzione quasi politica di massimo picco di democrazia e del diritto alla vacanza.

Ecco, allora, che la mania del viaggio diventa distintiva di uno status sociale che non mette in mostra solo la ricchezza e il benestare della persona, ma la sua apertura, la sua cultura, il suo incessante desiderio di nomadismo. Tutto per accrescere il nostro ego tramite la messa in mostra della nostra quotidianità.
E proprio a questo mostrare, a questa sorta di messinscena, si stanno tristemente conformando molte città, convertendo i loro storici quartieri in cartoline da dedicare all’occhio del turista mordi-e-fuggi.

Un esempio tra tutti: il quartiere romano Trastevere, oggetto di spopolamento di locali, in favore di affitti brevi per turisti, con locali a loro dedicati in una accezione sempre più pittoresca e snaturante.


Esistono delle soluzioni?
Chi vive in luoghi turistici, meta a ogni stagione di fiumane di persone, sa bene quanto sia difficile convivere con questo aspetto del turismo. Il problema è diventato talmente impattante da diventare d'interesse mondiale: sono anni, infatti, che si cercano soluzioni a livello globale e locale a questo fenomeno.

Tra le soluzioni si configurano il cosiddetto turismo sostenibile e l’undertourism.

Il turismo sostenibile, o ecoturismo, è un modo di viaggiare che tiene maggiormente in considerazione l’impatto ambientale. I turisti sostenibili pianificano i viaggi in modo tale da rispettare il più possibile il posto ospitante, il suo ambiente e la sua cultura: si informano sul territorio e cercano di vivere a pieno la comunità locale, al posto di favorire realtà svalutanti come villaggi vacanze, crociere e pacchetti per turismi “mordi e fuggi”.

La seconda soluzione, l’undertourism, si focalizza sulla predilezione di mete meno conosciute. Questo tipo di turismo si concentra su destinazioni raggiungibili in poco tempo, senza dover affrontare lunghe tratte in nave o aereo. Chi lo pratica sceglie mete poco note, fuori dal caos, assecondando i propri ritmi e godendo di tempi più calmi.
L’undetourism è usato, per esempio, per riportare l’attenzione sui piccoli borghi italiani a rischio spopolamento, senza andare a snaturate le caratteristiche locali. Come detto a inizio articolo, però, questi luoghi sono portati alla ribalta anche da fenomeni legati al turismo di massa. Il filo che separa queste metodologie, quindi, è molto sottile.
Chi sceglie di organizzare viaggi da undertourism si concentra anche sull’uso di mezzi di trasposto meno impattanti a livello ambientale. Si tratta di un turismo più lento e consapevole, poco consumistico, che si propone di conoscere e dare valore a luoghi meno blasonati.

Nonostante le soluzioni proposte, però, c’è chi crede che una vera soluzione al turismo di massa sia molto difficile da perseguire. Come sempre, ognuno può fare qualcosa nel suo piccolo e molto dipende dalla sensibilità personale. A questo, però, vanno affiancate iniziative culturali ed educative, investimenti adeguati, che vadano a riconsegnare ai luoghi la loro identità e al turista la sua responsabilità.

E tu, credi ci sia una soluzione al turismo di massa?

Articolo di Marianna Nusca

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