Perché le orbite dei pianeti non sono cerchi perfetti?

La risposta ha a che fare con la storia evolutiva dei sistemi planetari e col fatto che, in natura, la simmetria perfetta è estremamente rara

Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia
8 min readApr 14, 2018

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Le orbite dei corpi celesti sono il risultato di un complesso interscambio determinato dalle masse in gioco, dall’inerzia e dalla gravità. A seconda delle condizioni iniziali, questo interscambio conduce a quattro possibili tipi di orbita: iperbolica, ellittica, circolare o a spirale.

(ScienceAbc)

Il primo caso si verifica quando un oggetto possiede una velocità iniziale così elevata da superare la velocità di fuga che serve per sfuggire all’attrazione di un corpo anche molto più massiccio. Abbiamo avuto nel sistema solare un esempio molto recente di orbita iperbolica: è quella seguita dall’asteroide di origine interstellare ’Oumuamua. L’asteroide, scoperto nel 2017, è stato fortemente deviato dalla gravità del Sole. Ma, dopo aver raggiunto il massimo avvicinamento a settembre 2017, ha fatto una specie di inversione a U e si è diretto nuovamente verso lo spazio interstellare. Non tornerà mai più a farci visita e ciò perché la gravità solare, dopo il passaggio al perielio dell’asteroide, non è riuscita a rallentarlo al punto da indurlo a ricadere di nuovo verso il Sole, cosa che lo avrebbe obbligato a seguire un’orbita chiusa.

La linea tratteggiata bianca mostra l’orbita iperbolica seguita dall’asteroide ’Oumuamua nel suo passaggio attraverso il sistema solare (ESO/K. Meech et al.)

Nel caso dei pianeti le cose stanno diversamente. La velocità eliocentrica (cioè rispetto al Sole) che ciascuno di essi possiede è minore di quella necessaria a sottrarsi per sempre alla sua attrazione gravitazionale. Ciò che succede è che, mentre un pianeta si avvicina al Sole, la gravità solare lo attira accelerandolo di continuo. Pertanto, una volta che il pianeta ha superato il perielio, cioè il punto di massima vicinanza al Sole, possiede, grazie all’accelerazione ricevuta, un surplus di velocità, che gli consente ora di allontanarsi dal Sole, un po’ come un bimbo su un’altalena spinto dalla mano del padre.

Ma, mentre il pianeta si sta allontanando, la gravità solare agisce stavolta come un freno, non più come un acceleratore. Il pianeta perde perciò a poco a poco tutta la velocità in eccesso che aveva acquistato in fase di avvicinamento, finché raggiunge una distanza massima dal Sole (detta afelio), in cui non ha più l’energia sufficiente per allontanarsi ulteriormente. Da quel punto in poi comincia a precipitare di nuovo verso il Sole, acquistando sempre più velocità, così come aveva fatto nel passaggio precedente. Le due metà dell’orbita, quella in cui il pianeta si avvicina al Sole e quella in cui se ne allontana, sono come due parabole saldate insieme a formare un’ellisse. Se, giunto all’afelio, il pianeta avesse un po’ di velocità in più, la parabola non si chiuderebbe su se stessa e il pianeta si perderebbe nello spazio, senza tornare più verso il Sole.

Le orbite ellittiche dei pianeti sono dunque il risultato del fatto che essi possiedono una velocità orbitale un po’ inferiore a quella che dovrebbero avere per sfuggire all’attrazione del Sole alla distanza alla quale si trovano. La Terra, per esempio, possiede una velocità orbitale media di circa 30 km/s; se qualcosa accelerasse il nostro pianeta fino a una velocità eliocentrica di oltre 42 km/s, riuscirebbe a sfuggire all’attrazione del Sole, perdendosi nello spazio, proprio come fece la Luna nella fortunata serie televisiva Spazio 1999.

La velocità orbitale di ciascun pianeta è la conseguenza della sua storia evolutiva, cioè di come si è formato.

Ci sono ormai abbondanti prove osservative che i pianeti nascono da dischi protoplanetari: ammassi di gas e polveri che orbitano intorno a una stella e che sono i residui del materiale da cui si formò la stella medesima. Nel corso di milioni di anni, le particelle di polveri e roccia si aggregano sotto l’effetto della loro stessa gravità, formando blocchi detti planetesimi, i quali a loro volta si aggregano a formare proto-pianeti, cioè gli oggetti embrionali che precedono il processo di differenziazione che porta alla formazione dei pianeti. In questa fase caotica può succedere che planetesimi e proto-pianeti collidano, si disgreghino e poi si ri-assemblino di nuovo.

Il disco protoplanetario che circonda la giovane stella TW Hydrae. Le righe più scure sono vuoti che segnalano la presenza di possibili pianeti in via di formazione (S. Andrews / B. Saxton / ALMA)

Alla fine, da questo lungo e complesso gioco dominato dalla gravità e dalle collisioni, emergono i pianeti veri e propri, la cui caratteristica distintiva è la capacità di ripulire col tempo la loro orbita dai detriti, creandosi così un cammino privo di ostacoli intorno alla stella. Nel corso di tale processo, essi conservano il momento angolare che hanno ereditato da tutte le particelle di cui sono composti e da tutte le collisioni che hanno subito: possiedono cioè una certa velocità di rotazione sul proprio asse e una data velocità orbitale, che è influenzata dalla distanza dalla stella alla quale si sono formati.

Talvolta, in seguito a interazioni gravitazionali con altri corpi, un pianeta può finire in una posizione orbitale differente e, se quelle interazioni sono particolarmente violente, può persino essere espulso dal sistema in cui si è formato. Ma, quando ciò non avviene, esso rimane in orbita intorno alla sua stella, percorrendo un’ellisse, cioè una curva chiusa della quale la stella occupa uno dei fuochi.

Questo tipo di orbita è una conseguenza del bilanciamento costante tra la velocità del pianeta e la gravità della stella. In ogni punto dell’orbita, l’inerzia spinge il pianeta a proseguire il suo moto in linea retta. Ma l’inerzia è sempre contrastata dalla gravità della stella, che tira il pianeta verso di sé. La traiettoria reale del pianeta finisce, dunque, per essere una curva chiusa, la cui forma è l’effetto combinato di queste due spinte, l’una perpendicolare all’altra: ogni pianeta del sistema solare cade ininterrottamente verso il Sole, senza però mai schiantarsi davvero su di esso.

Ma perché le orbite planetarie sono proprio ellissi e non cerchi perfetti?

Un’orbita circolare è un caso speciale di orbita ellittica: è precisamente quell’orbita ellittica in cui i due fuochi (cioè i due centri) dell’ellisse coincidono. Perché un corpo celeste orbiti intorno a un altro corpo seguendo un’orbita perfettamente circolare devono verificarsi condizioni molto speciali e rare: il pianeta deve mantenere in ogni punto dell’orbita una velocità tangenziale (quella determinata dalla sua inerzia) esattamente bilanciata dalla spinta centripeta della gravità stellare. Se, per esempio, l’orbita della Terra fosse un cerchio perfetto, non avrebbe un afelio né un perielio: la velocità orbitale sarebbe precisamente la stessa in ogni punto dell’orbita e la Terra si troverebbe sempre alla medesima distanza dal Sole.

Ciò non avviene, né per la Terra né per alcun altro pianeta del sistema solare, perché le traiettorie orbitali sono influenzate da numerose variabili che creano inevitabili asimmetrie e differenze. Le orbite perfettamente circolari sono più che altro il risultato astratto di condizioni ideali, piuttosto che di condizioni fisiche reali.

Le condizioni reali nei sistemi stellari, compreso il nostro, rendono le orbite ellittiche di gran lunga più probabili di quelle circolari, per almeno due ragioni:

  1. i dischi protoplanetari da cui nascono i pianeti non sono mai anelli perfettamente circolari; inoltre possono essere inclinati rispetto all’asse di rotazione della stella e talvolta persino decentrati rispetto alla posizione di quest’ultima (come nel caso di Fomalhaut); ne deriva che le orbite dei pianeti che si formano al loro interno nascono già relativamente irregolari e costrette, pertanto, a seguire traiettorie ellittiche piuttosto che circolari;
  2. in un sistema con più pianeti come il nostro, l’orbita di ciascun pianeta è determinata non solo dalla gravità del Sole, ma anche dall’influenza combinata di tutti gli altri pianeti; ciò non solo impedisce che le loro orbite siano cerchi perfetti, ma rende persino la forma ellittica una semplice approssimazione.

In ogni caso, nonostante il peso di tutte queste influenze combinate, le orbite dei pianeti del sistema solare, fatta eccezione per Mercurio, non sono poi lontanissime dalla circolarità. La Terra, per esempio, su una distanza media dal Sole di 150 milioni di km, ha una differenza di soli 5 milioni di km tra l’afelio e il perielio: l’eccentricità della sua orbita, cioè la misura in cui si allontana dalla circolarità, è appena del 3,3%.

In generale, si può dire che quanto più un pianeta è vicino alla sua stella, tanto più le forze di marea che si generano a causa della distribuzione leggermente irregolare delle masse spingono per circolarizzare l’orbita (stelle e pianeti non sono corpi perfettamente sferici, ma hanno un rigonfiamento equatoriale e irregolarità interne). L’azione delle maree induce cioè una progressiva diminuzione dell’eccentricità dell’ellisse orbitale.

Il tempo necessario perché un’orbita ellittica sia circolarizzata dipende dalla velocità iniziale del pianeta e dalla presenza di eventuali altre influenze gravitazionali esterne. Nel caso delle lune di Giove, per esempio, l’orbita di Io, il più interno dei quattro satelliti medicei, è mantenuta costantemente eccentrica dal suo rapporto di risonanza con le orbite di Europa e Ganimede, due lune più esterne. La tremenda tensione a cui Io è sottoposto, con Giove da un lato che tende a circolarizzare la sua orbita, ed Europa e Ganimede dall’altro che vi si oppongono, ne fanno il corpo di gran lunga più vulcanico di tutto il sistema solare.

C’è infine un’ultima possibilità da considerare: l’orbita a spirale. Questa si verifica quando il corpo minore non ha energia sufficiente per contrastare efficacemente l’attrazione del corpo maggiore, sicché non può mantenersi in un’orbita stabile. A ogni successivo passaggio, l’ampiezza dell’orbita diminuisce, finché la collisione diventa inevitabile (se la differenza tra le masse è enorme, come nel caso dell’incontro tra Giove e la cometa Shoemaker-Levy, il corpo minore viene fatto a pezzi dalla gravità di quello maggiore ben prima dell’impatto).

Orbite a spirale possono verificarsi poi anche quando due oggetti molto massicci finiscono per orbitare a breve distanza l’uno dall’altro. Un caso tipico è quello che porta alla collisione tra due buchi neri o tra due stelle di neutroni. I continui spostamenti dei campi gravitazionali di questi corpi massicci mentre orbitano l’uno intorno all’altro generano l’emissione di onde gravitazionali. Ciò sottrae energia orbitale, con la conseguenza che l’ampiezza delle orbite si restringe progressivamente, causando un moto a spirale che porta immancabilmente alla collisione finale. Possono volerci miliardi di anni per arrivare a questo epilogo, ma si tratta di un destino inevitabile.

Due buchi neri in orbita ravvicinata emettono onde gravitazionali che sottraggono energia orbitale al sistema, inducendo i due corpi a spiraleggiare l’uno intorno all’altro fino all’inevitabile collisione finale (Swinburne Astronomy Productions)

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Michele Diodati
Spazio Tempo Luce Energia

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.