4 febbraio 2020 - 08:04

Porta Ticinese, l’arco medievale occupato abusivamente. Tutti i misteri del palazzo «Area 51»

Abitazione che si fonde con l’edilizia dell’antichità. Un’abusiva pagava 230 euro al mese. E poi c’è un bar, proprietà pubblica e contratto d’affitto col Comune, che incassava la cifra stratosferica di oltre mezzo milione di euro l’anno

di Gianni Santucci

(foto Duilio Piaggesi/Fotogramma) (foto Duilio Piaggesi/Fotogramma)
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C’era anche la targhetta sul citofono. Nome e cognome. Dell’occupante abusiva nelle case pubbliche del Comune forse più suggestive di Milano. Case-museo, sviluppate in uno di quei palinsesti architettonici che a volte si creano nei centri storici più antichi, con le abitazioni proprio a ridosso dei monumenti, o che si fondono all’edilizia dell’antichità: in questo caso, l’antica Porta Ticinese medievale, l’arco e la torre costruiti nel XII secolo, nell’area della Basilica di San Lorenzo Maggiore, a pochi metri dalle Colonne. In quel complesso ci sono due locali commerciali e cinque appartamenti, alcuni dei quali (i due più prestigiosi, e di cui il Corriere mostra le foto in questa pagina) inglobano il corridoio sull’arco medievale, le stanze della torre, le grandi terrazze.


L’ingresso è proprio sotto il portico e bisogna notare l’indirizzo, corso di Porta Ticinese 51/A: i tecnici (prima quelli dell’Aler, poi quelli di Mm) quel palazzo lo definivano «Area 51», proprio come la base militare americana nel Nevada al centro da decenni di misteri e complottismi. «Area 51» perché quel palazzo comunale emanava, tra le pieghe del suo fascino, trame di interessi e segreti. Come mai, ad esempio, per anni, nessuno s’era preoccupato della donna che pagava poco più di 230 euro di «indennità di occupazione», ed era appunto un’abusiva, come quelle del Giambellino, del Corvetto o di Niguarda? Forse perché il suo cognome vantava amicizie importanti e un grosso potere economico nella zona, amicizie che provò a tirar fuori quando gli ispettori di Mm nel 2016 andarono a sgomberarla. O forse per quel bar, proprietà pubblica e contratto d’affitto col Comune, secondo l’antica dizione di «equo canone» (intestato a un componente della stessa famiglia): che però negli anni dell’ultimo Risorgimento milanese, l’«Expo da bere», incassava la cifra stratosferica di oltre mezzo milione di euro l’anno.


Non c’è illegalità, in questo secondo pezzo della storia, ma il giro d’affari nello scenario storico e nella proprietà comunale merita d’essere raccontato. Per farlo bisogna tralasciare i due atti notarili con i quali il Comune di Milano acquisì prima l’arco e la torre (nel 1863, «regnando Vittorio Emanuele II, Re d’Italia, per grazia di Dio e volontà della Nazione...», prezzo d’acquisto: 28 mila lire), poi in seguito gli appartamenti (nel 1934, «anno XII dell’Era Fascista...»), e saltare al 30 luglio 2015. Quel giorno, durante l’Esposizione universale, la società che da anni gestisce il baretto sulle Colonne concede lo stesso bar in gestione a una seconda società. Affitto di ramo d’azienda. Canone: 102 mila euro l’anno. Dunque la prima società, titolare del contratto d’affitto col Comune, mette a frutto quella «concessione» e ne ricava un guadagno piuttosto elevato. Ancor più interessante è però andare a scartabellare il bilancio di questa seconda società, quella che affitta (poche centinaia di euro di capitale): il ricavato è di 116 mila euro nei soli primi tre mesi d’attività, e si impenna sopra i 515 mila euro nel 2016 (l’utile arriva intorno ai 45 mila). Ecco quanto può fruttare un banale contratto d’affitto con un’istituzione pubblica.


E infatti la famiglia che ha messo la firma su quel contratto l’ha conservato per anni. Nel 2009, ad esempio, ci fu una cessione d’azienda tra parenti e questo, sempre secondo la legge sull’equo canone del 1978, prevedeva un subentro del contratto (come si legge nell’atto notarile) «stipulato con il Comune di Milano - Settore demanio e patrimonio - in data 22 giugno 2005». Non è stato possibile recuperare negli atti depositati in Camera di commercio a quanto ammontasse l’affitto dovuto alle casse pubbliche; dai bilanci e dagli atti emerge però la moltiplicazione degli incassi «privati». I locali commerciali dove ha sempre avuto sede il bar (più tutti gli appartamenti) compaiono oggi sul portale di Cassa depositi e prestiti dedicato alla «valorizzazione del patrimonio immobiliare», dove risultano ancora in concessione alla stessa società che nel 2015 aveva ceduto la gestione. Le case invece sono vuote, affascinanti e «pericolanti».

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