Carlo Dolci e il Ritratto ideale del Beato Angelico: per una lettura critica

Il dipinto, olio su tela, realizzato nel 1648 ed esposto oggi nella rinnovata Sala del Beato Angelico, fa parte della preziosa collezione di opere d’arte del Seicento e disvela quel singolare legame tra i due Maestri toscani che è fondato sulla comune e profonda fede religiosa, nonché sulla diretta vicinanza all’ordine domenicano.

Beato Angelico, da un lato, rappresenta uno dei membri più illustri del suo tempo; Carlo Dolci, dall’altro, appartiene alla Compagnia di San Benedetto Bianco che risiedeva in Santa Maria Novella. Giorgio Vasari scrive per l’appunto che «Frate Giovanni Angelico da Fiesole, il quale fu al secolo chiamato Guido; essendo non meno stato eccellente pittore, e miniatore, che Ottimo Religioso, merita per l’una, e per l’altra cagione, che di lui sia fatta honoratissima memoria» (Vasari 1568, p. 358). Inoltre, continua Vasari, Beato Angelico «fu nelle sue opere molto facile, & devoto; & in vero si può dire, che i Santi non abbino aria più modesta da Santi, che quegli, che da esso furono lavorati» (Vasari 1550, p. 369).

È interessante, nonché fondamentale e proficuo, confrontare le vite – religiose e artistiche – di Beato Angelico (Vicchio di Mugello, ? – Roma, 1455) e Carlo Dolci (Firenze, 1616 – ivi, 1687) perché entrambi, sine dubio, intendono esprimere su tela i princìpi morali e i sentimenti religiosi che permeano le loro opere. Vasari, a tal riguardo, è invero piuttosto chiaro: «Certamente chi lavora opere ecclesiastiche e sante, doverrebbe egli ancora del continovo essere ecclesiastico e santo, perché si vede che, quando elle sono operate da persone che poco credino e manco stimino la religione, fanno spesso cadere in mente appetiti disonesti e voglie lascive; onde nasce il biasimo dell’opre nel disonesto, e la lode nell’artificio e nella virtù» (Bellosi, Rossi 2015, p. 344). Gaspare Celio ricorda parimenti nelle sue Vite che il Frate pittore «fu dell’ordine di San Domenico, e molto divoto, e quello che guadagnava dava alli poveri. […] assiduo nel dipingere […]» (Gandolfi 2021, pp. 131-132). La visione umanistica di Beato Angelico compete perciò con l’indiscutibile solennità di Piero della Francesca e Domenico Veneziano, contemporanei al Maestro da Fiesole, sicché Vasari afferma fierissimo che: «Veramente fu fra’ Giovanni santissimo e semplice ne’ suoi costumi» (Bellosi, Rossi 2015, pp. 344-345). Giovanni Serafini spiega inoltre che molti sono i «punti di tangenza tra l’estetica e l’etica dell’Angelico e quella del Dolci» (Carlo Dolci 1616-1687 2015, p. 222) se si considera che ambedue definiscono l’arte sacra come «meditazione spirituale privata, condotta per figure dipinte» (Ibidem).

Carlo Dolci, Ritratto del Beato Angelico, 1648, Sala del Beato Angelico, Museo di San Marco, Firenze

Dalle fonti, nello specifico dalle Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua di Filippo Baldinucci (1625-1696) – letterato e accademico fiorentino -, pubblicate postume nel 1728, si apprende che: «Avea il Dolci fin da fanciullo tolta a frequentare la Compagnia di San Benedetto, nella quale crescendo ogni dì più nella devozione, aveva fatto un molto fermo proponimento di non mai in vita sua voler altro dipignere che Sacre Immagini, o Sacre istorie, talmente rappresentate, che potessero partorir frutti di Cristiana pietà in chi le mirava […]» (Baldinucci 1728, p. 497). Baldinucci è puntuale nel rammentare che nel 1648, all’apice della carriera artistica, Dolci «fu […] con grande applauso ascritto al numero degli Accademici del Disegno; ed avendo sentita la lodevole usanza di farsi da ogni novizio alcuna opera di sua mano, o ritratto di antico pittore, o altra qualsifosse; e quella donare alla medesima, subito gli cadde in mente un pensiero di fare il ritratto del Beato Giovanni Angelico da Fiesole dell’Ordine de’ Predicatori; e si stava con tale ferma deliberazione, quando disciolto il congresso, e partitisi gran parte degli Accademici, restarono solamente il Cavalier Rimbotti Provveditore, il Vignali, con Matteo Rosselli suo maestro, e ‘l nostro Carlo; e si stavano fra di loro ragionando sopra i ritratti de’ Pittori che adornavano quella stanza; e parve veramente speciale provvidenza del cielo; perché avendo, senza esserne punto sollecitati, fatta reflessione, che fra tanti ritratti di pittori antichi, quello solo mancava del Beato Angelico […]» (Ivi, p. 498). Dolci, conclude Baldinucci, esegue «con gran diligenza, il ritratto, avendone a questo effetto fatta venir di Roma l’effigie in disegno, tale quale si poté ricavare dall’antico bassorilievo, che nella Minerva, presso al suo sepolcro tuttavia si conserva» (Ibidem), vale a dire la lastra tombale di Beato Angelico dalla quale, secondo la testimonianza dell’accademico fiorentino, Dolci trasse ispirazione per il ritratto recuperando determinati elementi fisionomici. Padre Vincenzo Fortunato Marchese nelle Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani chiarisce che il Ritratto di Beato Angelico di Dolci, nonostante non riproduca fedelmente i veri lineamenti del Frate, esprime ugualmente «a maraviglia l’indole soavissima e grandemente religiosa» (Marchese 1878, p. 389).

Lastra tombale di Beato Angelico, Santa Maria sopra Minerva, Roma

Matteo Rosselli e Jacopo Vignali, maestri di Dolci, decisero dunque di commissionargli la realizzazione del Ritratto del Beato Angelico come opera di affiliazione all’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze avvenuta nel 1648.

Il dipinto raffigura l’immagine ideale di Beato Angelico sormontata da un globo vibrante e raggiante, sospeso nella fissità del momento, simbolo della Lux Divina che troneggia al di sopra del devoto pittore. Lo sguardo penetrante del soggetto, ritratto di tre quarti, trasmette all’osservatore un particolare senso di calma sospesa e contemplativa – altresì riscontrabile nelle opere di Beato Angelico -, rivestendo l’intera composizione di un’aura introspettiva. Lo sfondo tenebroso, infatti, non ospita elementi naturali né abitazioni e non rivela neppure la presenza di altri soggetti che diversamente avrebbero alterato il delicato equilibrio formale del quadro. Il ritratto ricorda in tal senso l’Annunciata di Antonello da Messina, opera datata agli anni Settanta del Quindicesimo secolo, in cui la Vergine è colta in un momento intimo, privato, a tratti psicologico, ma visivamente carico di significato religioso. Nel ritratto di Dolci, dallo stile apparentemente più semplice rispetto al virtuoso gusto barocco contemporaneo, la luce è radente, avvolgente, drammatica e pare quasi che la figura dell’Angelico, già nascosta sotto l’abito domenicano, con il volto glabro, le guance infossate, le labbra congiunte e il naso pronunciato, riemerga dalla profonda oscurità che fa da cornice alla scena. La fonte luminosa, di sacra e divina origine, illumina il Frate pittore espandendosi a ventaglio dalla parte superiore, con il vertice nella sfera dorata, sino a quella inferiore del quadro, accentuando le velature, il dialogo tonale del panneggio che spicca nelle pieghe nere della veste e nel bianco rivestimento interno del cappuccio, e il sapiente chiaroscuro con cui Dolci modula il ritratto.

Si deve riconoscere a Carlo Dolci, che incarna fieramente la figura del christianus pictor, la sua abilità di ritrarre i soggetti dipinti nella loro essenza ideale, nella loro silente staticità, quasi scultorea, cogliendoli tramite occhi e pennello divini, attraverso dunque una visione spirituale in grado di rivelarne la natura individuale e, al contempo, di celarne l’ermetica verità esistenziale che affligge e insieme appaga i cristiani.

Giovanni Arsenio

Carlo Dolci, Autoritratto, 1674, Gallerie degli Uffizi

Per saperne di più:

Storia dell’opera secondo le fonti

Fonti

Giorgio Vasari, Le vite de più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, In Firenze, Appresso Lorenzo Torrentino, 1550.

Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori. Prima, e Seconda Parte, In Fiorenza, Appresso i Giunti, 1568.

Filippo Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua. Opera postuma di Filippo Baldinucci Fiorentino. Accademico della Crusca, In Firenze, Nella Stamperia di S. A. R. Per li Tartini, e Franchi, 1728.

Bibliografia

Vincenzo Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani. Del P. Vincenzo Marchese, Bologna, Presso Gaetano Romagnoli, 1878, vol. I.

Giorgio Vasari. Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, Firenze, Lorenzo Torrentino, 1550, a cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Torino, Einaudi, 2015, vol. I.

Carlo Dolci 1616-1687, catalogo della mostra (Firenze, Galleria Palatina – Palazzo Pitti, 30 giugno – 15 novembre 2015), a cura di Sandro Bellesi, Anna Bisceglia, Livorno, Sillabe, 2015.

Riccardo Gandolfi, Le Vite degli artisti di Gaspare Celio. «Compendio delle Vite di Vasari con alcune altre aggiunte», Firenze, Olschki Editore, 2021.

vedi anche l’articolo sul blog con il video di Angelo Tartuferi

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