martedì 16 maggio 2023

Le sètte «sorelle»: analisi delle caratteristiche di gruppi settari all'interno della Chiesa cattolica

Nel libro, i nomi non li fa,
ma in copertina sì!
Nel
libro "Le sètte «sorelle»", edizioni Messaggero Padova e Facoltà Teologica del Triveneto, a disposizione nelle librerie per chi volesse acquistarlo sia in formato cartaceo sia elettronico, di cui proporremo brevi estratti e di cui consigliamo senz'altro la lettura integrale, l'autore, don Giorgio Ronzoni (*), presentando alcune caratteristiche problematiche dei nuovi movimenti post Conciliari, cerca di individuare le ragioni in base alle quali accogliere o respingere determinate prassi in uso all’interno delle nuove aggregazioni ecclesiali, ritenendo che un esercizio di vigilanza e di discernimento sia più che mai necessario nell’attuale stagione ecclesiale caratterizzata dalla presenza di una miriade di gruppi e movimenti. 

Non possiamo che concordare, e, leggendo l'ottimamente documentato ed equilibrato lavoro del sacerdote, ritroviamo esposti molti degli elementi critici che anche il nostro blog ha contribuito ad evidenziare nelle prassi e nella struttura del gruppo ecclesiale neocatecumenale: proselitismo, segretezza, elitarismo, autoritarismo, formazione di sacerdoti legati a doppio filo al gruppo, abusi di potere, abusi liturgici, abusi fisici eccetera

Tutto ciò contrasta con la visione ideale coltivata a bella posta nei fans del Cammino neocatecumenale, i quali sono convinti che il successo del proprio movimento sia senz’altro e interamente opera dello Spirito Santo, e quindi indebitamente deducono che tutto ciò che fanno è bene perché pensano di agire per il trionfo della buona causa per eccellenza, cioè il regno di Dio, visto che i frutti della loro azione, le conversioni e le adesioni, sono abbondanti.

Scrive infatti in premessa l'autore:

"Non è facile infatti, anzi è molto spesso arduo stabilire un limite oltre il quale l’evangelizzazione diventa proselitismo, la formazione condizionamento, l’annuncio propaganda.(...)

A posteriori, è stato facile a molti identificare i segni premonitori del penoso fallimento di imprese iniziate con grandi idealità. Segni che però all’inizio erano tutt’altro che chiari e univoci, dato che anche i santi fondatori di grandi ordini religiosi spesso hanno incontrato dubbi, resistenze, o persino aperta ostilità da parte dei contemporanei. Spesso è stata una condotta sessuale riprovevole a permettere di formulare un giudizio definitivo su relazioni che fin dall’inizio erano segnate da profonde ambiguità, oppure uno scandalo finanziario: viene spontaneo chiedersi se si debba necessariamente arrivare a riscontrare peccati sessuali o ruberie per mettere in questione prassi pastorali, comunitarie, vocazionali ed educative.(...)

Non sarà inutile stabilire comunque delle soglie di attenzione e delle convergenze pericolose di più indicatori sommati insieme. Analogamente a quanto avviene per le diagnosi psichiatriche, dove l’esistenza della malattia è indicata dalla presenza contemporanea di un certo numero di sintomi tra tutti quelli possibili, la valutazione pastorale di un’esperienza, di un gruppo o di un movimento potrà fondarsi sulla presenza o assenza di alcuni di questi indicatori, non necessariamente sulla totalità di essi.(Ndr: noi però possiamo assicurare che questi "indicatori" il Cammino Neocatecumenale li ha TUTTI)

Lo scopo è tentare di abbozzare un inventario delle prassi pastorali tendenzialmente criticabili o per lo meno discutibili, indicandone i motivi.
Non si vuole quindi spegnere lo Spirito, ma esaminare tutto e tenere ciò che è buono (cf. 1Ts 5,19-21)."

Di seguito, presentiamo alcuni passi tratti dal libro "Le sette sorelle" riferiti ad un gruppo di questi indicatori, riferiti a prassi più  che discutibili, per ciascuno dei quali dovrebbe scattare il campanello d'allarme: la segretezza, o per meglio dire l'assenza di trasparenza quando non la vera e propria menzogna, che il Cammino  neocatecumenale ha addirittura istituzionalizzato con il nome di "arcano"; l'invasione dell'intimità personale (o foro interno); la mancata trasparenza (nel caso del Cammino il totale arbitrio) nella gestione economica.

Meglio prestare attenzione a certi segnali d'allarme...

Dire o non dire la verità?

Prima metà del XX secolo. Uno scocciatore bussa alla porta della canonica. La domestica del parroco va ad aprire. Lo scocciatore chiede: «C’è il parroco?» La domestica, opportunamente istruita, risponde: «No» e mentalmente soggiunge: «Per te, in questo momento».

Il buon parroco che ha studiato bene i manuali dì morale e che non vuole essere disturbato ma non vuole autorizzare la domestica a mentire, le ha insegnato a praticare la «restrizione mentale», In pratica è una bugia, ma in teoria è una restrizione della verità comunicata a una persona che non ha titolo a conoscerla interamente. Perché mentire è peccato, ma non si è obbligati a dire a tutti tutta la verità, specialmente se l’interlocutore non ha diritto a conoscerla.


Ai tempi di Pascal, ì gesuiti erano maestri in questo genere di stratagemmi, tanto che il termine «gesuita» un po’ alla volta era venuto a significare persona falsa e ipocrita. Questo significato, con il tempo, è stato ormai dimenticato, segno che i gesuiti hanno abbandonato questi trucchi.
È possibile, però, che altri abbiano raccolto il testimone della restrizione mentale.

1. La reticenza

Oltre alla menzogna, infatti, esiste quella distorsione della verità più sfumata che è la reticenza: si possono tacere, magarì per un periodo più o meno breve, delle informazioni rilevanti come ad esempio la paternità di una îniziativa o l’appartenenza di singoli o gruppi a un determinato movimento ecclesiale. Come si è visto in precedenza, una modalità di reclutamento di nuovi adepti da parte di alcune sette è chiedere a qualcuno di compilare un questionario o di partecipare a una conferenza, senza dichiarare le loro vere intenzioni, In un secondo tempo si propone di partecipare ad attività più coinvolgenti e soltanto quando le persone sono state stabilmente «agganciate» si comincia a presentare la setta e si propone di farne parte.

L'eventuale uso di procedure simili da parte di gruppi o movimenti cattolici dovrebbe suscitare forti perplessità; perché nascondere la propria identità sotto sigle anonime?

Manifesti delle catechesi iniziali: non dicono che sono neocatecumenali!

 

È giusto dichiarare di voler offrire gratuitamente servizi a determinate categorie di persone, quando in realtà si stanno cercando nuovi affiliati? È vero che i pregiudizi potrebbero tenere alcune persone lontane da esperienze che permetterebbero loro di capire meglio con chi hanno a che fare e di dissolvere le loro precomprensioni sfavorevoli, Ma cercare di aggirare la loro diffidenza con la reticenza sulla propria identità rischia di generare altri
pregiudizi ancora più sfavorevoli.

Perciò le attività e gli eventi organizzati da un’associazione o un movimento per avvicinare - ed eventualmente per reclutare - nuove persone non dovrebbero mai dissimulare l'identità dell’ente organizzatore con nomi o sigle che nulla hanno a che fare con l’associazione o il movimento.

Il giudizio si fa ovviamente più sicuro quando la reticenza riguarda obblighi e doveri, anche di tipo economico, di cui i neofiti vengono a conoscenza soltanto dopo che hanno assunto un qualche impegno all’interno dell’organizzazione che li ha accolti.
Infatti, l'aspetto economico, insieme ai comportamenti sessuali, è quello che con maggiore certezza contribuisce a formulare il giudizio conclusivo su persone e gruppi che hanno agito male in ambito ecclesiale. A questo aspetto economico sarà dedicato il terzo paragrafo di questo capitolo, mentre su quello sessuale ben poco resta da dire: il verificarsì di condotte peccaminose o scandalose richiede un intervento dell’autorità ecclesiastica per far cessare gli abusi, ma proprio il desiderio di «impedire gli scandali», cioè di occultare ì peccati di ecclesiastici e religiosi, ha causato i più grandi scandali in cui sono state coinvolte intere chiese nazionali.

Perciò, nascondere la verità del tutto o in parte è sempre un segnale preoccupante. Quasi ovunque è comunemente accettato l'assioma che «non si può sempre dire tutto». Come motivazione si adduce di volta in volta la delicatezza verso le persone che hanno diritto alla loro riservatezza oppure la necessità di discrezione per portare a termine determinate operazioni senza interferenze da parti ostili alla causa. A volte, però, le motivazioni sono molto meno nobili e la reticenza , può coprire verità scomode, comportamenti illeciti o comunque difficilmente giustificabili.

Nelle Regole di vita cristiana che chiudono gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola ce n’è una che dice: Il demonio si comporta come un frivolo corteggiatore che vuole rimanere nascosto e non essere scoperto. Infatti un uomo frivolo, che con discorsi maliziosi circuisce la figlia di un buon padre o la moglie di un buon marito, vuole che le sue parole e le sue lusinghe rimangano nascoste; è invece molto contrariato quando la figlia rivela le sue parole licenziose e il suo disegno perverso al padre, o la moglie al marito, perché capisce facilmente che non potrà riuscire nell'impresa iniziata. Allo stesso modo, quando il nemico della natura umana presenta a una persona retta le sue astuzie e le sue lusinghe, vuole e desidera che queste siano accolte e mantenute segrete; ma quando essa le manifesta a un buon confessore o ad altra persona spirituale che conosca gli inganni e le malizie del demonio, questi ne é molto indispettito; infatti capisce che non potrà riuscire nella malizia iniziata, dato che i suoi evidenti inganni sono stati scoperti.

Sant'Ignazio si ispira alla propria esperienza di vita: il silenzio e il segreto da parte di una persona onesta possono coprire le intenzioni disoneste di qualcun altro. Il demonio è il più grande menzognero ma non l'unico: membri e leader di gruppi, movimenti e comunità possono mentire come qualsiasi altra persona perché lo ritengono opportuno o addirittura necessario, ma si tratta pur sempre di un giudizio soggettivo.

Soprattutto quando si chiede o si ordina ad altri di mentire o di tacere, proprio allora devono nascere delle domande urgenti: perché questo ordine o questa richiesta? Chi o che cosa si cerca di coprire? Quali sarebbero le conseguenze se la verità fosse di pubblico dominio?

L'esperienza dimostra che prima dello scoppio di scandali sessuali o finanziari, spesso le verità scomode erano state taciute per molto tempo da coloro che le conoscevano. Il segreto e le bugie, anziché proteggere dallo scandalo, avevano permesso il proliferare del male e, alla fine, hanno scandalizzato in misura maggiore.

 



2. Il diritto a proteggere l’intimità personale

L'annotazione di sant’Ignazio, però, apre la strada anche a un’altra riflessione. Nella formazione, soprattutto dei novizi religiosi e dei seminaristi, ma anche di altri soggetti, da sempre sono incoraggiate l'apertura e la confidenza nei confronti dei formatori. La fiducia nel padre spirituale o nel maestro dei novizi permette a chi è in formazione di aprire il proprio animo e di essere aiutata a vincere le tentazioni, come pure ad assimilare lo «spirito», il carisma del gruppo di cui si vuole entrare a far parte.

Ma fino a che punto una persona è tenuta a rivelare il proprio intimo a un’altra persona?

Se è vero che i «padri del deserto» - i primi monaci cristiani nel deserto egiziano - incoraggiavano i novizi ad aprire il loro animo con piena confidenza al discernimento degli «anziani» senza tener nascosto loro nulla, è anche vero che ciò avveniva senza il sostegno di norme o regolamenti che esercitassero una pressione sui novizi: essi andavano a interrogare gli anziani - e non viceversa - se e quando lo desideravano.

Come allora, anche oggi la direzione - o accompagnamento, o guida spirituale - è necessaria ai giovani che si avviano a scelte impegnative come il sacerdozio o la consacrazione per mezzo dei voti. L’accompagnatore o l’accompagnatrice potrà quindi essere certamente un educatore proposto dall’istituzione di cui il giovane desidera far parte, ma dovrà comprendere il proprio ministero al servizio della persona che accompagna e non solo dell'istituzione alla quale consegnare un nuovo membro docile e ben preparato. Perché il rapporto di direzione spirituale possa dare buoni frutti, è necessario che chi è accompagnato abbia piena fiducia che il suo accompagnatore voglia solo il suo bene, disinteressatamente. Solo a partire da questa convinzione il giovane potrà aprire pienamente il suo animo ell'educatore, sicuro che ciò che ha confidato non potrà mai essere strumentalizzato a suo danno.

Le patologie di cui può ammalarsi il rapporto di direzione spintuale sono molteplici e richiederebbero una trattazione a parte, molto lunga. Qui si vuole soltanto sottolineare la convenienza di quanto sancisce il canone 220 del Codice di diritto canonico, quando afferma che «non è lecito ad alcuno [...] violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità».

Sono perciò da considerare negativamente le pretese da parte di un leader di conoscere tendenzialmente «tutto» dei suoi sottoposti attraverso varie modalità: dai colloqui personali alla lettura del «diario spirituale» o di una relazione scritta periodica concernente il proprio vissuto (pratica chiamata anche con il nome di «comunione di anima»). È da considerare alla stessa stregua anche la pratica di colloqui inquisitivi (o «scrutini») in cui la persona sia obbligata mettere a nudo ogni particolare della propria vita davanti al gruppo: ognuno deve essere libero di difendere le propria intimità.

Per quanto riguarda il sacramento della riconciliazione, invece, la completezza della confessione, almeno per quento riguarda i peccati mortali secondo il loro numero e la loro specie, è necessaria per la valida celebrazione del sacramento. Il confessore, però, è tenuto a mantenere un segreto assoluto su quanto ha ascoltato, mentre il penitente è libero di scegliere il proprio confessore.

Perciò l'imposizione da parte del gruppo o della comunità di un ben preciso confessore o di un gruppo di confessori all’interno del quale scegliere il proprio è da ritenere una forzatura molto pericolosa e una violazione della libertà individuale. Infatti, anche senza dubitare che il segreto del confessionale possa essere infranto, è possibile che il gruppo voglia orientare la scelta del confessore facendola cadere su una persona che condivida pienamente l'ideologia del gruppo stesso e che quindi possa suggenre al penitente riflessioni e comportamenti approvati dal gruppo. Si inserirebbero in questo modo nella celebrazione del sacramento dei fini eterogenei al sacramento stesso.

Parlando di confessione, infine, si deve anche accennare alla «confessione pubblica» che è una delle pratiche in uso nelle sette per raggiungere la piena sottomissione degli adepti e cementare lo spirito di gruppo.

Nei conventi e nei monasteri, un tempo esisteva effettivamente il «capitolo delle colpe»: si trattava di un'usanza secondo la quale ogni religioso si accusava davanti alla comunità riunita in capitolo o davanti a una parte di essa (novizi, professi anziani, ecc.) di mancanze contro la regola, come ad esempio aver rotto il silenzio o essere arrivato in ritardo in coro. Il superiore o l’abate comminavano la pena che in genere era lieve, come ad esempio recitare una preghiera, dato che le colpe più gravi e segrete non venivano manifestate in capitolo, ma nel confessionale.

Proprio perché le colpe vere e proprie erano riservate all'ascolto del confessore, il capitolo delle colpe molto spesso si svuotava di significato e venivano manifestate in esso soltanto mancanze molto lievi o dovute a disattenzione. Sono pochi, quindi, se pure esistono, i monasteri o i conventi dove ancora si pratica regolarmente questa usanza,

Indurre i membri di una comunità o di un gruppo a confessare pubblicamente le proprie colpe o accusarsi davanti a tutti è da considerare una prassi deprecabile perché lede il diritto della persona a salvaguardare la propria intimità (cf. can. 220 dei Codice di diritto canonico), soprattutto se tale prassi è riproposta con una certa frequenza e se la confessione pubblica riguarda anche aspetti di vita che solo l'interessato conosce. 



3. La gestione dei beni economici

Trattando il tema della verità, non si può omettere di parlare di denaro, giacché non si comprende - o forse si comprende anche troppo bene - perché una comunità che vuole essere particolarmente impegnata e fervorosa chieda ai suoi membri di confessare tutto, diventando «trasparenti» agli occhi gli uni degli altri, mentre magari non pratica la trasparenza in materia di bilanci economici. Quello della correttezza e trasparenza in materia finanziaria, dallo IOR in giù, è un problema che si pone a tutti i livelli della vita ecclesiale: diocesi, vescovi, istituti religiosi, parroci... Tutti gestiscono cifre più o meno importanti e dovrebbero renderne conto perché non si tratta di soldi personali, ma di beni che appartengono a vario titolo a comunità più o meno grandi. Molto spesso
invece, a tutti questi livelli, la situazione patrimoniale e i bilanci non vengono pubblicati o lo sono in maniera così sommaria de rendere impossibile una vera comprensione del modo in cui i beni e i soldi sono stati amministrati. 

«Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta».
Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
(Luca 15,11)

Nuovi movimenti, comunità e istituti religiosi purtroppo fanno eccezione molto raramente: magari i loro membri si impegnano in modo encomiabile - come singoli e famiglie “a vivere la povertà evangelica; in alcuni casi versano del tutto o in parte (la «decima») i loro guadagni a una cassa comune, oppure destinano ai poveri - non chiamandolo elemosina, ma «restituzione» - tutto il denaro che non spendono per vivere in modo assai austero. È però molto difficile trovare gruppi, movimenti o comunità che facciano certificare i propri bilanci o che almeno li pubblichino in modo dettagliato.

Certamente, c'è differenza tra una piccola comunità religiosa che vive di lavoretti artigianali venduti visitatori e di qualche offerta, e un ordine religioso internazionale o un movimento che possiede molti beni immobili e promuove anche attività commerciali e operazioni finanziarie: nel primo caso si può dare quasi per
scontato (ma le sorprese non sono mancate!) che il bilancio comprenda poche entrate e uscite legate alla sussistenza o poco più; nel secondo caso la situazione patrimoniale e finanziaria può essere talmente complessa da sfuggire a qualsiasi verifica ordinata dall'autorità ecclesiastica o dalla magistratura.

Sembra però abbastanza chiaro - tranne che ai diretti interessati - che sono ormai trascorsi i tempi in cui l'appartenenza a un istituto religioso o alla gerarchia ecclesiastica era garanzia sufficiente per sapere che eventuali offerte sarebbero state usate a fin di bene. L'opinione pubblica è oggi scandalizzata non soltanto dalle malversazioni di singoli, ma anche dall’intreccio tra religione e finanza, dalle comuni e sospette appartenenze di imprenditori, politici e banchieri a un’unica «famiglia» religiosa.

Nelle barzellette antiebraiche di un tempo erano le sinagoghe i luoghi in cui si combinavano lucrosi affari: il sospetto che oggi tali affari vengano conclusi in qualche chiesa o cappella non fa ridere nessuno, ma getta discredito sulla Chiesa perché si teme che imprenditori o finanzieri cattolici possano fare lobby e godere di illeciti appoggi. Per dissolvere tale sospetto le strade possibili sono solo due: un deciso cambio di direzione nel caso che i sospetti siano veri, oppure una maggiore trasparenza nel caso che i sospetti siano infondati. L'attuale situazione di frequente opacità nei bilanci di soggetti ecclesiali vecchi e nuovi favorisce qualsiasi tipo di illazione ed è di grave ostacolo alla credibilità della Chiesa e quindi all'annuncio del Vangelo.

Il difficile rapporto con le ricchezze di questo mondo non si gioca soltanto sul piano dell’austerità personale di vita: i cristiani che operano nel mercato e nel mondo della finanza sono tentati — come tutti! - di accettare come ineluttabili e adottare gli usi invalsi in tali ambienti, che non a caso vengono spesso chiamati «leggi».

Persone estremamente corrette e caritatevoli sul piano personale potrebbero adottare criteri decisamente mondani - o, per meglio dire, disonesti - quando si tratta di agire per conto della propria organizzazione. Corruzione, concussione, evasione ed elusione fiscale... Tutto può sembrare, se non lecito, almeno inevitabile quando si opera in un'organizzazione commerciale al servizio del regno di Dio, non accorgendosi che in tal modo si sta favorendo l'avvento di ben altro regno.

Quando ci si interroga sull'effettiva bontà ed «evangelicità» di un gruppo o di un movimento o di una comunità religiosa, non si dovrebbe considerare solo l’austerità di vita dei suoi membri, ma ci si dovrebbe chiedere anche quanti soldi guadagna o riceve, quale sia la loro provenienza e come vengono impiegati. La maggiore o minore facilità nel rispondere a queste domande è già un indice significativo: chi non può o non vuole praticare la trasparenza può essere sospettato di usare i soldi in modo non onesto.

Perfino l’elemosina - cioè l’atto più disinteressato che si possa realizzare con il denaro - può non essere priva di secondi fini. Nella primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, «quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (At 4,3435). Oggi qualcuno può «deporre ai piedi» di vescovi e parroci doni cospicui nella speranza di ottenere favori o per lo meno di crescere nella loro considerazione.

Se una nuova comunità religiosa che voglia trovare spazio in una diocesi o in una parrocchia, o un movimento che desideri ottenere un riconoscimento da parte dei pastori della Chiesa locale dona loro molto denaro magari per opere di carità - anziché provvedere direttamente a esse - si può sospettare riguardo alle sue reali intenzioni.

Perché vale anche oggi ciò che scrisse il Siracide: «Regali e doni accecano gli occhi dei saggi, come bavaglio sulla bocca soffocano i rimproveri» (Sir 20,29).

Inoltre sarebbe importante capire - anche se spesso è tutt'altro che facile - da dove provengono i soldi che vengono donati o impiegati per le «opere» del movimento o della comunità: la cronaca purtroppo ha registrato casi in cui anche imprenditori, finanzieri e politici dichiaratamente cattolici sono stati indagati e condannati per vari reati di natura economica, finanziaria e fiscale.

Ma anche quando i soldi del gruppo provengono dalla libera contribuzione dei propri membri, è necessario appurare se l'offerta sia stata effettivamente spontanea o se invece le persone siano state oggetto di pressioni di vario genere da parte del gruppo o dei suoi leader.

Particolarmente ripugnante è la richiesta rivolta ai membri di farsi anticipare l'eredità familiare (prima della morte dei genitori o dei parenti) per devolveria al gruppo.

La povertà e il distacco affettivo ed effettivo dal denaro e dei beni di questo mondo sono grandi valori evangelici non riservati esclusivamente ai religiosi, ma non tutte le richieste di spogliarsi di questi beni sono sicuramente motivate dal desiderio di far crescere nelle persone la libertà dall'idolatria del denaro. Può accadere che il bisogno di soldi per determinati scopi spinga alcuni gruppi e i loro leader a forzare la contribuzione dei membri.

Tale forza di obbligazione può essere notevole nel caso in cui l’attività lavorativa dei membri si svolga all’interno di imprese afferenti al proprio gruppo o un movimento o associazione.

I motivi più vari possono spingere i membri dì uno stesso gruppo religioso a condividere un'attività lavorativa: dalla pura e semplice necessità di fare reddito - come nel caso di uns comunità religiosa che deve mantenersi in qualche modo - alla volontà di aiutare persone disagiate; dalla promozione di contenuti culturali all'erogazione di servizi di vano genere.

Ma avere come datori, colleghi e partner di lavoro i propri «fratelli e sorelle» può comportare diversi rischi, soprattutto quello di fare lobby, cioè di stringere alleanze al limite della legalità per favorire i propri alleati e addirittura penalizzare coloro che - all'esterno o perfino all'interno del gruppo - non fanno parte della «rete» o non ne accettano le linee direttive.

All'interno di imprese formate da persone dello stesso gruppo o movimento è quindi importante verificare non solo il rispetto di tutte le leggi e della deontologia professionale - che potrebbero essere violate come in ogni altra impresa - ma anche la capacità di collaborare con persone non appartenenti al gruppo o movimento.


 

4. Una doppia morale?

Da quanto si è detto finora, può nascere la domanda se anche nei movimenti e delle comunità cattoliche, non meno che nelle sette, si possa instaurare una sorta di «doppia morale»; i rapporti tra i membri, all'interno, sarebbero improntati a valori di trasparenza, dedizione reciproca, altruismo... mentre i rapporti all’esterno sarebbero governati da standard morali molto differenti.

Coerentemente con la sua impostazione, Singer accusa le sette - a differenza delle religioni - di avere un doppio standard morale:
i membri vengono spronati ad essere onesti all'interno del gruppo, e a confessare tutto al leader, contemporaneamente vengono incoraggiati a imbrogliare e manipolare i non membri. Le religioni istituzionali e morali, al contrario, insegnano ad essere onesti e sinceri con tutti, e a rifarsi ad un solo standard morale. Nelle sette la filosofia più importante è che il fine giustifica i mezzi, un punto di vista che permette alla setta di istituire il suo particolare tipo di moralità, al di fuori dei normali obblighi sociali.

Questo giudizio appare però eccessivamente semplificato. L'analisi di Maniscalco è più articolata e sembra più rispettosa della realtà: riconosce che la setta è «una unione  prevalentemente basata su affinità elettive ed inserita in un più ampio contesto con il quale deve sempre misurarsi ed è spesso in contrasto», Per questo i singoli non hanno in essa alcuna autonomia rispetto ai comportamenti prescritti una volta accettati e interiorizzati i valori della collettività se ne considerano parte intercambiabile e sono sempre pronti a sacrificarsi per il gruppo.

Si riconoscono quindi un'articolazione e una contrapposizione interno-esterno, dove il comportamento interno è caratterizzato dalla lealtà e dalla disponibilità al sacrificio, tuttavia definire  morale settaria solamente e unicamente nei termini di una morale della dedizione e del sacrificio significa considerare un solo aspetto delle sua molteplici valenze: al contrario è possibile osservarne ulteriori altri tratti significativi. 

Così, per esempio, la tipica esasperazione della separatezza e il profondo senso della distanza che ne deriva [...] fanno sì che il gruppo tenda a formulare sistemi ideologici, normativi e culturali «puri», cioè concepiti ed elaborati in assenza di mediazioni provenienti dall'esterno. Le reazioni tendono allora a concatenarsi senza alcun meccanismo di mediazione e di moderazione; razionalità e ragionevolezza vengono meno con esiti che distorcono pesantemente la sensibilita empirica e morale dei membri”. 

Per quanto riguarda la gerarchia dei valori, essa tende a porre un’enfasi eccessivamente selettiva solo su alcuni elementi a discapito di altri: i singoli per esempio sono portati (anche per far fronte al più volte sottolineato inevitabile senso di sacrificio e di rinuncia che l'entrata in unioni così esigenti determina) a spingere all'eccesso il processo di idealizzazione e di sacralizzazione del gruppo (talvolta rappresentato dalla figura del capo) ed a formulare una stima eccessiva delle relative potenzialità. Emerge così una sorta di «egoismo di gruppo» che, alimentando una serie di comportamenti ad esso coerenti, tende ulteriormente ad irrigidire la struttura della configurazione setteria. Quest'ultima non può essere mutata, né può scendere a compromessi con il mondo esterno; al contrario i processi interni tendono ad intensificarsi lungo tutte le direzioni già esaminate: l'egoismo di gruppo mira a ripetere l’esistente, con sempre maggiore incisività e fanatismo fino alle estreme conseguenze.

Non si tratta quindi - come sembra suggerire Singer - di una sorta di associazione a delinquere che però osserva un rigido codice di comportamento al proprio interno: rispetto a un’organizzazione criminale, i membri di una setta hanno un diverso rapporto con gli «esterni» perché la loro associazione non nasce necessariamente con l’intento di ricavare profitto ai danni degli altri membri della società, anche se non è escluso che ciò possa accadere. È possibile infatti che i membri di una setta possano compiere azioni immorali e delinquenziali rispondenti a logiche interne di un gruppo che non vuole rendere conto di sé alla società «esterna».

Per quanto riguarda gruppi, comunità e movimenti in ambito cattolico, si dovrà porre attenzione a quei comportamenti devianti - anche solo di lieve entità - tollerati o addirittura incoraggiati dall'autorità con varie motivazioni.

Come si è detto in precedenza, si deve fare attenzione ai normali aspetti della vita morale cristiana: la veracità nella comunicazione, l'uso del denaro, la sessualità, il rispetto delle leggi, ecc.

 

Il 5° vangelo: quello secondo Kiko?

(*) Don Giorgio RONZONI è parroco di Santa Sofia in Padova e insegna teologia pastorale alla Facoltà Teologica del Triveneto. Con le Edizioni Messaggero Padova ha pubblicato: Una pietra scartata (2014); Via crucis secondo Marco (2015); Il dono perfetto (2017); La storia di Marco e Barnaba (2019); Il Padre Nostro è tradotto bene? (2019); «Prendi e leggi», anzi: no! (2020); I miei occhi hanno visto la salvezza (2021); Testimoni del Natale (2021). Per la collana Sophia in coedizione con la Facoltà Teologica del Triveneto ha curato una ricerca sul burnout tra i presbiteri, Ardere, non bruciarsi (2011) e scritto Le sètte «sorelle». Modalità settarie di appartenenza a gruppi, comunità e movimenti ecclesiali? (2016), tradotto anche in francese; l'ultimo libro pubblicato è "L'abuso spirituale" (2023).

 

53 commenti:

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  2. Un sintomo di settarismo è il parlare ossessivamente di Cammino e, quando si parla di Chiesa, si intende sempre "Cammino", e MAI la realtà ecclesiale che è al di fuori di esso.

    Tanto più un gruppo ha una vita interna forte, tanto più deve essere aperto alla comunione con la Chiesa e le altre realtà della Chiesa, e tanto più deve rallegrarsi per i "successi" degli altri, invece di sminuirli.

    E' indubbio che lo stile del Cammino è stato quello di spaccare le parrocchie, ma "Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui" (San Paolo).
    E per Tempio di Dio San Paolo non intende un membro del Corpo di Cristo che critica continuamente il resto del Corpo, ma la Chiesa universale, che si fa presente in ogni membro.
    Per cui è chi critica gli altri che si stacca dal Corpo, perché vita non appartiene al singolo membro del Corpo.

    Perciò o il Cammino cambia atteggiamento, o immancabilmente verrà distrutto. Parola dell'Apostolo Paolo (nemico del Cammino? Pare proprio di sì).

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    1. Paolo nemico del Cammino......

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    2. Ricordiamo agli eventuali asini raglianti che eseguissero la solita tattica del fintotontismo neocatecumenale che il problema fondamentale del Cammino è che si spaccia per cattolico ma non lo è.

      Il Cammino non è cattolico perché diffonde eresie, corredate da una liturgia sbagliata, contornate da un'organizzazione settaria che calpesta la dignità e la vita degli adepti, consolidate da una mentalità idolatrica instillata a forza nei suoi adepti.

      Quindi, se il Cammino si dichiarasse protestante (kiko a suo tempo aveva già minacciato: «vogliono [i dicasteri romani] che ce ne andiamo dai protestanti?») oppure se venisse scomunicato, oppure se Kiko si pentisse e rinnegasse le proprie eresie (costringendo di fatto i "camminanti" e soprattutto i suoi scagnozzi a decidere da che parte stare), questo blog non avrebbe più motivo di esistere.

      Ricordiamo ai lettori che lo Statuto non prevede eresie, non consente carnevalate liturgiche, non dà diritto ai cosiddetti "catechisti" di ravanare nelle coscienze (e nelle tasche) degli adepti, non ammette l'idolatria, la disubbidienza ai vescovi e al Papa, le malversazioni finanziarie, la protezione dei pedofili, ecc. Cioè il Cammino non rispetta lo Statuto che era stato concesso dagli amiconi vaticani del Cammino. (Esatto: lo Statuto non lo ha voluto il Papa; il Papa era notoriamente contrario).


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  3. Ciò che ammette don Ronzoni in premessa è il nucleo del problema: "viene spontaneo chiedersi se si debba necessariamente arrivare a riscontrare peccati sessuali o ruberie per mettere in questione prassi pastorali, comunitarie, vocazionali ed educative".
    Questo è purtroppo ciò che stiamo verificando nella Chiesa, e che segue a ruota ciò che succede nella società, e cioè che certe associazioni con finalità o mezzi poco puliti, non possono essere fermate in nessun modo, anzi, paradossalmente sono approvate e di successo finché non li si "incastra" con qualche scandalo sessuale e/o finanziario. La cosa brutta è che gli scandali sessuali e fimanziari colpiscono purtroppo anche realtà buone e ben orientate.
    Quindi, che dire? Sono stati affermati e pubblicati in più occasioni i criteri di ecclesialità che dovrebbero essere rispettati da movimenti e nuove comunità, ma manca lo strumento di controllo e di verifica, il moderno San Giovanni della Croce investito del compito e della responsabilità di vagliare la presenza o meno di riscontri di adesione ai principi antropologici, morali e spirituali che rendano il tal gruppo veramente Chiesa o meno.
    Certo, il fatto che si parli sempre più di derive settarie all'interno della Chiesa cattolica è un segno che, da più parti, emerge la necessità di correggere ciò che è sviato senza attendere oltre.

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  4. Servono i frutti per qualificare un albero. Se i frutti sono buon ( evangelizzazione del vangelo e della dottrina cristiana, vocazioni, missionari ecc.) l'albero è buono. Se sono cattivi ( sistemi finanziari sessuali e morali) allora l'albero è cattivo.
    L'albero della Croce ha suscitato e suscita scandalo propri perchè non si ha la pazienza di aspettare i suoi preziosi frutti, e non si ha la volontà di riconoscere l bontà delle sue primizie. Cercate i frutti buoni dall'albero sbagliato. Il rutto non deve essere bello. Il frutto deve essere buono.
    Eros

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    1. Te lo sei detto da solo, Eros: "Il frutto non deve essere bello. Il frutto deve essere buono"

      Il Cammino ha dato frutti (ora molto meno). Ma erano solo belli (adunanze, piazzate, chiamate vocazionali alla conoscenza di tutti...) o erano anche buoni?

      L'evangelizzazione è su base sconosciuta. I mamotreti sono segreti. Mai pubblicati. Solo per i catechisti e non per il popolino.
      Le premesse non sono buone. La segretezza nella Chiesa non esiste.
      Da ciò discende che non si tratta della dottrina cattolica (ma del cristianesimo di Kiko), per cui anche le missioni e le vocazioni indotte (tutto molto bello e ben pubblicizzato), non sarei tanto sicuro che fossero un frutto buono. Bello, tanto (secondo quanto voi dite), ma buono?

      E così, proprio come tu hai detto: "Cercate i frutti buoni dall'albero sbagliato".

      Eh sì, cerchiamo i frutti buoni nel Cammino, ma l'albero è sbagliato.
      Cercando i frutti buoni nel Cammino, "cerchiamo i frutti buoni dall'albero sbagliato".
      Lapsus linguae o lapsus mentis?
      Marco

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    2. Quindi i frutti del Cammino sono buoni o no?

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    3. I frutti del Cammino sono pessimi.

      E cominciano con l'idolatria e le eresie e i sacrilegi eucaristici.

      Per di più i kikolatri chiamano "evangelizzazione" la diffusione dell'idolatria, delle eresie e dei sacrilegi, chiamano "vocazioni" gli idolatri che donano la propria vita all'idolo (e che non fanno nulla per impedire i sacrilegi), chiamano "missionari" i diffusori dell'idolatria, eccetera. Adoperano i termini del lessico cristiano per definire le proprie malvage opere.

      In più, sono imbottiti anche di scandali finanziari e sessuali (vedi ad esempio il caso Guam).

      Ha ragione il fratello Eros: il frutto non deve essere "bello" (nel senso di "ehi noi abbiamo le vocazioni l'apertura alla vita cento seminari siamo una squadra fortissimi"), ma deve essere "buono". E nel Cammino non ci sono frutti buoni. Non ce ne possono essere perché il Cammino inquina la fede e calpesta i sacramenti e la dignità delle persone. Non può nascere nulla di buono dall'eresia e dai sacrilegi e dall'idolatria. L'unica cosa buona del Cammino è il buon cuore di certi fratelli, ma è una virtù personale che avevano già indipendentemente dal Cammino.

      Il Cammino è gradito solo al demonio - quello vero, non il simpatico portasfortuna che ti fa trovar pioggia in autostrada quando vai alla convivenza.

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  5. @Anonimo 16 maggio 2023 alle ore 12:13

    Frutti presunti buoni:
    -evangelizzazione del Vangelo? Il Cammino
    "evangelizza" quasi esclusivamente la Bibbia.
    -Dottrina Cristiana? No, il Cammino utilizza catechismi segreti ed eretici.
    -Vocazioni? Il Cammino condiziona e talvolta forza le vocazioni, sempre comunque, utili ai propri subdoli scopi.
    -Missionari? Si ma con tutti i gli agi e lussi; baby sitters e personale di servizio non retribuiti.

    Frutti cattivi:
    -Sistemi finanziari? Estorsione verso gli
    adepti, gestione al limite del legale e di conseguenza assoluta mancanza di trasparenza.
    -Sistemi sessuali? Le alte sfere, i responsabili ed i Catechisti del Cammino,
    si compiacciono e si crogiolano nel VI, IX e X Comandamento.
    -Sistemi morali? Confessioni pubbliche e
    reiterata violazione del foro interno degli
    adepti.
    Ruben.
    ---

    RispondiElimina
  6. Ecco come conclude il proprio libro "Il Cammino neocatecumenale. 50 anni di iniziazione cristiana degli adulti" don Ezechiele Pasotti, il presbitero neocatecumenale che ha seguito la redazione del Direttorio, degli Statuti, la revisione dei Diari di Carmen, molto vicino insomma ai vertici del CN.
    "Sempre più le parrocchie, gli spazi dove operava la cristianità, si stanno non solo svuotando ma non sono più significativi, non parlano più all'uomo di oggi.
    Mentre la casa, la famiglia cristiana è un luogo ancora capace di accogliere di riunire chi è solo e alla ricerca di un senso per la sua vita.
    Agli inviti alle catechesi fatte nelle parrocchie -è una constatazione facile da fare- risponde sempre meno gente mentre sempre più persone sono disposte a raccogliersi in una casa per ricevere un annuncio e formare una comunità cristiana.
    Dio ha suscitato insieme ad altri carismi il Cammino per rispondere a questa urgenza pastorale delle parrocchie, per far giungere una speranza all'uomo di oggi.
    I frutti sono sotto gli occhi di molti.
    Il fatto sconcertante -cecità? malavoglia? superficialità? orgoglio? peccato contro lo Spirito Santo (Mt 12,32)?- è che spesso si apprezzano i frutti ma non si vuole l'albero che li produce."
    Insomma, a quanto pare le promesse di rivitalizzare le parrocchie mostrano la corda: era il Cammino a dipendere dalla parrocchia per alimentare le comunità; ora che le parrocchie sono state sfruttate al massimo senza appunto ottenerne alcun vantaggio, ecco che i neocatecumenali "minacciano" di astrarsi del tutto dalla parrocchia "evangelizzando" nelle case.
    La verità è che non esistono questi numerosi gruppi di lontani che si ritrovano nelle case, se non nei racconti delle famiglie in missione che attirano persone con difficoltà familiari e sociali a casa propria, con la scusa che la parrocchia è troppo lontana, e i numeri sono così piccoli da non poter formare una comunità.
    Questi sarebbero i frutti, secondo Pasotti. E la lamentela rispetto al fatto che "non si vuole l'albero che li produce" a chi è rivolta? Chi impedisce loro di evangelizzare "folti" gruppi di atei in casa propria? È chiaro che in realtà si lamenta del fatto che siano molte, e sempre più numerose, le parrocchie che, per preservare i propri fedeli e non farsi vampirizzare, hanno chiuso le porte agli evangelizzatori neocatecumenali. E dal momento che il Cammino non si sviluppa più per attrazione, secondo Pasotti dovrebbe crescere per costrizione, sempre a carico delle tanto disprezzate parrocchie.
    In sintesi: nelle parrocchie nessuno abbocca più alle vetuste e piene di eresie catechesi neocatecumenali?
    La colpa non è del Cammino che non ha saputo cambiare, correggere i propri errori, fornire una proposta adatta ai tempi ed autenticamente cattolica: la colpa è della parrocchia, è la parrocchia che 'non sa più parlare all'uomo d'oggi', solo perchè non si fa più parassitare dai kikos.
    La logica settaria di questo sconclusionato ragionamento è questa: I frutti che il Cammino sostiene di dare, non vanno a vantaggio delle parrocchie, ma, come un rivolo segreto, vanno ad alimentare un'altra realtà, che si pone nei confronti della Chiesa non con una logica di servizio, ma di conquista e di svuotamento.
    Questa pretesa, le altre sei "sette cattoliche" di cui ai cartelli sulla copertina del libro di don Ronzoni, pur avendo molti dei problemi segnalati nel libro, non ce l'hanno.
    Per questo, a mio parere, il Cammino è la più setta delle sette sette.

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    1. la più setta delle sette sette.....

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    2. Quindi : Pasotti è ancora amico del Cammino o nemico??????

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    3. Leggi il commento delle 16:33 e capirai.

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    4. Aggiungo, dal punto di vista di uno che conosce un pochino l'Opus Dei, che a differenza del CN non ci sono tenativi di reinventare nulla. Da un punto di vista liturgico e dottrinale è un movimento molto fedele a quella che è la dottrina della Chiesa Cattolica.
      Poi magari ha altri problemi, ma non troverete mai qualcuno dell'OD che tira strafalcioni teologici come quelli di Kiko e dei suoi sodali.

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    5. L'Opus Dei non è un movimento ecclesiale, è una prelatura personale della Chiesa Cattolica. Non confondiamo la storia con la geografia, come diceva Don Camillo in un famoso film................................

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    6. Infatti è proprio il tipico asino ragliante e kikolatra a confondere la storia con la geografia.

      Escrivà fondò un'Opera di cui egli stesso non avrebbe saputo delineare correttamente i contorni "canonici". Ricordare che successivamente sia stata inquadrata come "prelatura personale" (cioè come una diocesi senza territorio, fatta di persone, guidata da un prelato che ha il suo clero) serve solo a chiarire come è organizzata.

      Ne approfitto per ricordare che a suo tempo i capicosca del Cammino e i loro burattinai fecero molte pressioni per trasformarsi in prelatura personale. C'erano anche altre entità ecclesiali che avrebbero desiderato un tale privilegio ma i più facinorosi erano senza dubbio i neocatecumenali. L'unico effetto concreto che i kikolatri conseguirono fu quello di far applicare diverse restrizioni canoniche sulle future prelature personali (l'Opus Dei era organizzata sufficientemente bene da non esserne colpita; si volevano solo evitare furbate e colpi di mano da entità molto danarose come il Cammino dell'epoca), cioè di rendere di fatto quasi impossibile erigere una nuova prelatura personale.

      E di questo ne ringraziamo il Signore, poiché in qualità di cattolici abbiamo un particolare orrore all'idea che un vescovo "oliato" e responsabile della formazione di sacerdoti, vada ordinando sacerdoti e diaconi letteralmente senza freno e senza discernimento (visto che nel Cammino sono i cosiddetti "catechisti" laici a discernere le presunte vocazioni neocatekike). Approvare l'ipotetica prelatura personale kikizzata sarebbe stato come dare un permesso di scisma e di eresia al kikismo-carmenismo.

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  7. Ma chi legge questi noiosissimi thread?Lunghi, prolissi?Secondo me nessuno.

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    1. Nel thread è riportato parte di un capitolo del libro di don Ronzoni. Il libro è molto interessante e tratta di argomenti di una certa importanza, che in qualche modo, diretto o indiretto, riguardano molti cattolici.
      Per noi di Osservatorio, si tratta più che altro di una ripetizione di argomenti già più volte trattati, e nello stesso tempo di una conferma ai vari ragionamenti, osservazioni e conclusioni che vertono in particolare sul Cammino neocatecumenale.
      Credo che più che noiosa, questa lettura possa risultare fastidiosa per chi non vuole mettere in moto la ragione e cominciare ad accettare che tante pratiche in uso nel Cammino neocatecumenale non discendono né da Maria Vergine né dallo Spirito Santo, ma sono invece ordinate alla crescita e al mantenimento di un ambiente settario, disfunzionale, tossico, e che non c'è nulla in esse di originale, né di casuale.

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    2. L'asino ragliante delle 22:50 non sa che questo blog è rintracciabile dai motori di ricerca, cioè quei cosi strani di internet, come google, in cui uno inserisce delle parole da cercare e si ritrova le pagine più pertinenti, anche se sono state pubblicate 16-17 anni fa.

      Essendo un asino, non sa nemmeno che a volte non è necessario leggere tutta una pagina e tutte le discussioni. A volte bastano pochi paragrafi sparsi, presi quasi a caso.

      Ed essendo un kikolatra, l'asino delle 22:50 ha il terrore che qualche altro fratello di comunità si informi sul Cammino e capisca la grande truffa. Non c'è niente di peggio, per i cosiddetti "catechisti", di un fratello di comunità che "sa cosa viene dopo", che è già informato sugli "arcani", sui contenuti del Cammino, sugli obblighi che pioveranno addosso, sugli scandali che tentano di insabbiare...

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  8. @blog,
    Ormai non sapete più cosa inventarvi e se tanta gente grazie al Cammino Neocatecumenale incontra Cristo e recupera o accresce la sua fede, voi la state perdendo.
    Fallacio Asino Vinicio

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    1. Eccolo qua, il tipico Asino Ragliante che si sveglia al mattino solo per giudicare le coscienze altrui e per mentire.

      Ora, come dice il proverbio napoletano, «Pascà, è inutile che aggiungi rum: nù strunz nunn' addeventa nù babbà». Che tradurremmo gentilmente con: "Pasquale, è inutile che aggiungi rum: una cacca non diventerà [mai] un babà".

      Cioè che è inutile usare un milione di volte l'espressione "incontrare Cristo": nel Cammino la gente incontra solo Kiko, le eresie e le ambiguità, i cosiddetti "catechisti" e le Decime, gli strafalcioni liturgici e le confessioni pubbliche, la disubbidienza al Papa e la guerra clandestina ai vescovi e parroci, l'idolatria per gli autonominati "iniziatori" e l'alzatina ipocrita al momento della Comunione... insomma: una religione protestante-ebraica che di cattolico ha solo la decorazione.

      Per farsi un'idea di cosa significa veramente l'espressione "incontrare Cristo" occorre considerare la vita dei santi. Che non hanno mai stravolto la liturgia. Che non hanno mai pagato Decime. Che non si sono mai fatti dettare le scelte personali e vocazionali da dei cosiddetti "catechisti" arroganti, laici, eretici, idolatri. Che non hanno mai fatto l'Alzata davanti a un santone o l'Alzatina Ipocrita davanti al Santissimo Sacramento. Che non hanno mai dovuto superare "tappe" e "passaggi", come i santi pastorelli di Fatima che ancora non avevano neppure fatto la Prima Comunione...

      La gente che incontra il Cammino, incontra solo Kiko, l'arroganza di Kiko e dei suoi scagnozzi, l'eresia e gli strafalcioni liturgici di Kiko e della defunta Carmen, e i millemila obblighi (a cominciare dalla Decima) che la Chiesa non impone né propone.

      Il tipico Asino Ragliante crede che a furia di ripetere una panzana, diventerà vera. Si illude che a furia di aggiungere rhum su una cacca, la farà diventare un pregiato babà. Tenta di convincere anzitutto sé stesso che il Cammino avrebbe almeno qualcosina di buono, poiché gli rode tremendamente il fegato a ricordare quanti anni della sua vita ci ha investito, quanti affetti, quanti soldi, quanto tempo, quanta pazienza, quante risorse, quante iniziative... È letteralmente terrorizzato dal ricordo di essere stato non solo truffato (che è vero), ma anche di essere stato indotto a truffare i suoi cari, i parenti, gli amici, i colleghi, i conoscenti, i passanti.

      È questa paura di essere stati fregati da Kiko e Carmen il vero leitmotiv di tanti neocatecumenali che ragliano forsennatamente come asini che non vogliono ascoltare neppure i propri pensieri. In cuor loro lo hanno capito che il Cammino è una bidonata ciclopica, un disordinato guazzabuglio di eresie, strafalcioni, ambiguità, panzane, vere e proprie fandonie.

      Lo hanno capito benissimo che non basta aggiungere rum (cioè menzionare continuamente Nostro Signore, la Chiesa, il Vangelo...) per dare una dignità alla truffa (la cacca). E però non si arrendono ma si incapricciano, si intestardiscono a voler perseverare nell'errore, si danno da fare per convincere sé stessi.

      E intanto per ognuno di loro si avvicina il momento in cui urleranno: «Signore, ma come ti permetti? io davo la Decima! io facevo l'Ambientale! io andavo a tutte le Convivenze! io ho fatto le CentoPiazze! io avevo comprato il copribibbia made in Kiko e la fascetta reggichitarra di Kiko! io usavo ogni opportunità per difendere il Cammino sul blog! ma come ti permetti, Signore? Tu giudichi!»

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    2. FAV, non scrivere........................

      Elimina
    3. Puntini, non scrivere......... (anche perché non dici nulla)
      Fallacio Asino Vinicio

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    4. non dice nulla per questo non viene censurato. I gestori del blog sui temi caldi non ammettono contraddittorio.
      Eros

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    5. Oggi il tema caldo è fornito dai passaggi riportati dal libro di don Ronzoni, e sono certa che sarebbe pubblicato qualsiasi intervento serio che smentisca o argomenti su quanto ciò che scrive l'autore (fra l'altro un parroco, che conosce bene i suoi polli) eccepisce proprio al Cammino neocatecumenale (vedi il cartello in copertina) in materia per esempio di trasparenza, anche finanziaria e di foro interno, scrutini e confessioni pubbliche.
      Il fatto è che non hai nulla da dire, nessun contributo serio da portare all'attenzione del blog, che possa in qualche modo spiegare il perché nel Cammino neocatecumenale siano utilizzate strategie degne delle peggiori sette.

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    6. venti puntini dicono più di venti parole.........................................

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    7. @valentina, non esistono "strategie", lo dico ormai da qualche anno ma evidentemente siete un po' di coccio. Non esistono le confessioni pubbliche, è una leggenda. Esistono invece gli scrutini che nel neocatecumenato sono ripresi dal catecumenato, ed hanno la funzione di verificare la fede dei neocatecumeni (o catecumeni per il catecumenato...). Non i peccati che non interessano a nessuno se non al confessore, ma i segni della fede. Succede a volte che il neocatecumeno parlando della propria vita per mostrare i segni della fede, riveli qualcosa di sé più intimo, ma lo fa in modo assolutamente non richiesto e soprattutto liberamente. Può darsi che questa leggenda delle confessioni pubbliche, sia nata perché qualche bigotto abbia ascoltato, si sia scandalizzato, sia saltato sulla sedia e abbia pensato che sia sempre così. In realtà è molto raro, perché i catechisti lo dicono sempre all'inizio di astenersi da cose troppo intime e soprattutto di parlare di sé stessi e non della moglie / marito. Poi lo sai, la sfera della procreazione è molto importante per la morale cristiana, per esempio il divieto degli anticoncezionali o l'apertura alla vita che non sono invenzioni del cammino, ma sono scritte nel catechismo della chiesa cattolica e la verifica della fede da parte dei catechisti, passa spesso anche da questo tema. Uno, a parole, può descrivere la sua vita come quella di un santo, ma se poi usa il preservativo oppure la pillola, capisci da sola che la sua fede è solo teorica, forse frutto di una sua idea filosofica, ma all'atto pratico non ti fidi affatto di Dio. Non credi nella provvidenza, non credi che i figli sono di Dio e tu sei tenuto solo ad "accoglierli" (così si dice nella formula del matrimonio) e fargli da custode e quindi pensi che un figlio in più ti possa togliere la vita. Poi sul termine setta... Se a voi piace a me non dà fastidio, soprattutto se penso alle prime comunità cristiane che erano viste come sette dai pagani o dai giudei. Anche se il significato del termine "setta" non si addice affatto al Cammino, capisco che come diceva San Tommaso d'Aquino "l'idiota considera falso tutto quello che non è in grado di comprendere", per cui quando un giorno finalmente capirete il cammino sono sicuro che vi ricrederete.
      Fallacio Asino Vinicio

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    8. Le confessioni pubbliche sono una realtà, e non solo nel segreto delle salette, pure nelle esperienze in piazza dove si confessano peccati sessuali e altro.
      Per quanto riguarda gli scrutini, don Ronzoni sta riferendosi proprio al CN. Solo il termine "scrutinio" è ripreso dal RICA, per il resto certi interrogatori (veri e propri, con domande specifiche che ledono il foro interno oppure che impongono obbedienza non alla Chiesa ma al CN) non hanno nulla a che vedere con ciò che è previsto e lecito fare.
      Il solo fatto che tu consideri normale e lecito che si debba confessare per esempio di aver fatto ricorso alla contraccezione, prova il fatto che negli scrutini del CN si pretende di parlare di problemi intimi che riguardano la coppia', di peccati sessuali e di altri peccati.
      Infine, non siamo noi in questo caso a definire il Cammino setta, visto che non risponde a fondamentali criteri di ecclesialità, ma sono le stesse Conferenze episcopali, che riprendono e ribadiscono tali criteri, a definirvi tali, e il libro di don Ronzoni ne é testimone.
      Per quanto riguarda l'idea del tutto sballata che le prime comunità cristiane fossero delle sette, rileggi
      questo articolo.

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    9. caro fratello FAV io ti stimo per la pazienza che hai con questi elementi ma se anche Gesù Cristo apparisse loro per garantire la bontà del Cammino non cambierebbero idea... quindi lasciamoli nel loro bordino a consumarsi piano piano, altro non puoi fare, non su questo blog almeno....

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    10. @valentina, "Anche i primi cristiani furono considerati una s.r. (setta religiosa ndr) rispetto all’intera società giudaica, alla pari di altri gruppi di particolari religiosità come i sadducei, farisei, nazirei ecc.;". Tratto da enciclopedia Treccani, evidentemente più autorevole del blog.
      https://www.treccani.it/enciclopedia/setta-religiosa_%28Dizionario-di-Storia%29/
      Fallacio Asino Vinicio

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    11. @Fallacio
      "Liberamente" è un avverbio completamente fuori luogo per il Cammino. Di libero nel Cammino neocatecumenale non c'è niente. E tu lo sai meglio di me. I catechisti le domande le fanno eccome. E se non sono soddisfatti delle risposte, ne fanno ancora. Finché non ottengono la risposta che vogliono, e se non la ottengono ti dicono che tu non vuoi aprirti, e ti fanno l'espressione corrucciata e magari se gli gira, ti fermano a un passaggio e ti fanno tornare indietro. Altro che liberamente. E mi spieghi perché i catechisti non chiedono mai ai catecumeni sposati e con prole se esercitano la loro maternità e paternità in modo responsabile, come prescritto dal Catechismo della Chiesa cattolica? Te lo chiedo perché tu affermi che noi non conosciamo e non capiamo il Cammino. Mentre invece tu che lo conosci e lo capisci potrai sicuramente illuminarci.
      Porto

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    12. Questi Anonimi, come quello delle 17:06, andrebbero sempre pubblicati, perché sembrano contraddire le nostre affermazioni, invece le confermano.
      Infatti, oltre a ripetere le stesse argomentazioni instillate dai catechisti (inutile parlare con chi critica il Cammino, vuol dire che non ha fede...lasciateli che cuociano nel loro brodo ecc) chiama Fav "fratello Fav" come tipico dei settari protestanti e massoni esclusivamente fra loro. E infatti sono convinti di avere addirittura un'altra "natura", come assicura il loro guru.

      Elimina
    13. FAV non scrivere......

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    14. @Anonimo 18 maggio 2023 alle ore 11:05
      "Puntini, non scrivere......... (anche perché non dici nulla)"
      Fallacio Asino Vinicio
      ---
      Non è vero; Puntini con il suo ermetismo criptico, fornisce molte
      informazioni utili al blog.
      Ruben.
      ---

      Elimina
    15. @anonimo delle 17.06
      Veramente la pazienza ce l'abbiamo noi (e soprattutto Valentina) che rispondiamo a Fallacio punto su punto quando lui si ostina più e più volte a negare l'evidenza, ad esempio continuando ad affermare che la comunione nelle comunità neocatecumenali si fa in piedi, quando lo sanno anche i muri delle scalette che la comunione nel Cammino neocatecumenale si consuma tutti insieme (e contemporaneamente al sacerdote) rigorosamente seduti. O quando si ostina ad affermare che chi scrive sul blog non conosce il Cammino, quando ci sono persone che lo hanno "finito", matrimonio spirituale compreso, diversi che sono stati catechisti, responsabili o hanno avuto altri ruoli nel Cammino. O quando afferma senza ombra di dubbio che chi lascia il Cammino poi lascia la Chiesa, litiga con il parroco, si separa, divorzia e fa una brutta fine... . Ecc, ecc, ecc.
      Porto

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    16. @anonimo 18 maggio 2023 alle ore 17:06, forse hai ragione, ma non mi è mai piaciuto lasciare le persone nell'ignoranza. A proposito @valentina, veramente anche tra i primi cristiani si chiamavano "fratello" tra di loro, le lettere di San Paolo ne sono una dimostrazione.
      Fallacio Asino Vinicio

      Elimina
    17. Fratello FAV, io il Cammino l'ho capito. Troppo tardi, ma l'ho capito.
      Sono arrivato fino in fondo, al doppione dell'elezione che è il matrimonio spirituale. Stessi luoghi, stessa barca sul mare di Galilea, stesso King David e catechesi simili. Anche il trenino idiota intorno al tavolo alla fine della cena al ristorante super lusso tutti tirati a lucido. Cambia solo che il responsabile deve firmare la ketubah per sposarsi con la comunità. Assentii con riserva mentale, non avevo voglia di tête-à-tête coi catechisti. Dopo un mese o due lasciai il Cammino definitivamente.
      Sono stato catechista e responsabile a lungo. Anche garante, per un tempo (finché caddi in disgrazia per contrasti coi catechisti e fu la mia salvezza). Ho scrutinato in prima persona molti catecumeni e dovrei chiedere perdono ad uno ad uno per la convinzione che avevo di essere più illuminato di loro sulle loro vite. Mi avevano convinto di avere un "ministero", ma non c'è alcun ministero nei catechisti neocatecumenali.
      Conosco i mamotreti quasi a memoria.
      Se fossi rimasto, sarei stato molto più vecchio di te nel Cammino, e avresti potuto essere mio catecumeno.

      Proprio perché lo conosco profondamente e l'ho capito, non mi ricrederò mai.

      Certo che negli scrutini si cercano i segni della fede, ma della fede nel neocatecumenalesimo.
      Dai la decima? Sei aperto alla vita? Ah bravo, 7 figli! Come va il rapporto con tuo marito? E coi tuoi figli? Coi tuoi genitori (se è un giovane)?
      Se andava tutto bene, erano ingannati e ciechi.

      Agli scrutini mia moglie teneva lo schedario, come si deve fare. La vita della gente, scrutinio dopo scrutinio.

      E poi i commenti tra l'équipe.
      Quello è illuminato, quello non ha capito nulla, quello lo bocciamo, quello ha un legame malato coi figli o coi genitori, quello è avaro...
      Tutti giudizi per la non corrispondenza agli standard neocatecumenali.

      Alla fine sai che ti dico?
      Chi ha dichiarato di aver usato i contraccettivi non è stato per niente rimproverato.
      Basta dichiararlo quando ormai è superato: "da giovane io..." (mentre era neo-catecumeno).
      Gente che ha ottenuto credito, di cui si parla bene, che ha avuto ulteriori incarichi. Illuminata.
      Per nulla "ma se poi usa il preservativo oppure la pillola, capisci da sola che la sua fede è solo teorica, forse frutto di una sua idea filosofica, ma all'atto pratico non ti fidi affatto di Dio. Non credi nella provvidenza, non credi che i figli sono di Dio".

      Gli scrutini, i passaggi, le redditio e i "momenti forti", non si chiamano confessioni pubbliche, certo.
      Però lo sono.
      Non sono affatto ripresi dal catecumenato e nemmeno dal RICA, che stabilisce siano massimo 3 oppure 2 e si facciano davanti alla Chiesa locale preferibilmente in 3 domeniche di quaresima durante la Messa. Per gravi motivi se ne può anche essere dispensati.
      Nel Cammino, che non è nemmeno per non battezzati, non se ne può essere dispensati MAI.
      E li fanno i laici. Non, come nel RICA, sacerdoti e diaconi.
      Senza contare le visite dei catechisti con relativi interrogatori a tutti o a random.

      Quindi rimando a te la frase dell'Aquinate per quanto riguarda la comprensione della vera fede cattolica.
      Ma forse non è nemmeno questione di comprensione, non la conoscete proprio.
      Marco

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    18. Ha ragione chi ha detto che, al di là delle domande fatte dai catechisti, si crea proprio una mentalità di "spogliarsi", mettersi a nudo, fare "verità" sulla propria vita.
      Così gli ingenui (i furbi no, mai) non si sentono a posto se non si denudano totalmente.

      Accadde nella mia comunità, moltissimi anni or sono, che un marito confessò durante uno scrutinio un tradimento avvenuto molti anni prima, senza averne parlato prima con la moglie.
      Questa donna era psicologicamente fragile da sempre e alla notizia, appresa così brutalmente, cadde in uno stato di profonda depressione che la portò a fare cose estreme.
      Poi si ammalò e morì, senza aver mai recuperato né il matrimonio, né la salute psicologica.

      Il marito era anche un brav'uomo, che nella malattia l'accudì fino alla fine, ma fu un ingenuo, plagiato dalla mentalità che bisogna mettere in piazza tutto, altrimenti non "si fa verità".
      Non si curò della moglie, del dolore che le poteva arrecare confessando questa cosa per la prima volta davanti a tutti. Del suo stato psicologico.
      Era la smania del "sono peggiore di tutti" e ve lo devo dimostrare.

      E così altre storie, dove questa smania di violare la propria intimità col Signore ha provocato seri danni.

      Però sono le parole dei catechisti, le catechesi e gli scrutini, che formano questa mentalità distorta da cui i furbi si sottraggono non esponendosi.

      Infatti il Cammino è per gli ipocriti.
      Marco

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    19. Appunto Fav: vi date del "fratello" tra di voi, non con altri, pur cattolici e credenti, dimostrando così che vi sentite membri di una chiesa a sè, di cui gli altri cattolici non fanno parte: non sono vostri fratelli.
      Ti conveniva non insistere su questo punto, già Eros/Pedro ecc., questa volta dell'anonimato, aveva commesso il suo passo falso quotidiano. Ma una delle caratteristiche dei gruppi chiusi e faziosi è proprio l'incapacità di vedersi dall'esterno e la ripetizione quindi degli stessi errori, perché si è incapaci di vederli come tali, di anticiparli e di correggerli.

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    20. scusate ma sinceramente con i cristiani della domenica pantofolai abbiamo ben poco da chiamarci fratelli... al massimo cugini, ma di secondo grado.

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    21. Bravo, Anonimo delle 17:58, un'altra conferma. Chi offre di più?

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    22. @valentina, tu vedi passi falsi e complotti dappertutto. Che il cammino Neocatecumenale si segue nella piccola comunità non è un segreto, sta scritto anche nello statuto e non c'è niente di strano. Così come è risaputo che anche le prime comunità cristiane erano gruppi chiusi, ma questo non vuol dire che erano parte di una Chiesa a sé. Erano tutti cristiani, ma erano divisi in piccole comunità e tra di loro si chiamavano fratelli, così come noi facciamo parte della Chiesa, ma siamo suddivisi in piccole comunità. Dai che piano piano riuscirete a capirlo sto benedetto cammino Neocatecumenale...
      Fallacio Asino Vinicio

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    23. Ma noi vi abbiamo capito Fav, abbiamo capito che vi siete convinti d'essere dei veri cristiani (non cattolici, cristiani) ed è per questo che tra voi vi considerate fratelli, e con tutti gli altri cattolici no.

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    24. FAV non scrivere...................

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    25. Nel campo della storia del cristianesimo non sei molto ferrato, FAV.

      Che le prime comunità cristiane fossero piccoli gruppi non sta in una decisione di qualcuno, per giunta un laico digiuno di fede fino a pochi anni prima che divenisse "fondatore" di gruppi cristiani divisi dal gruppo più grande parrocchiale.
      Le comunità erano piccole perché c'erano poche persone, agli inizi. Il cristianesimo stava nascendo.
      Laddove gli Apostoli portavano la Buona Novella, nascevano piccoli nuclei, distanti anche fisicamente l'uno dall'altro.
      Infatti, anche prima di Costantino, si era sentita la necessità di raggrupparsi, passando dalle antiche e superate domus ecclesiae alle basiliche.
      Raggupparsi, non dividersi.

      Quanto a far parte di una "chiesa a sé", agli albori del cristianesimo, non se ne poteva neanche parlare, perché la Chiesa, Una, Cattolica e Apostolica, stava appena iniziando a nascere e quindi si chiamavano "chiese" tutti i luoghi in cui si radicava l'annuncio cristiano. Erano "a sé" solo geograficamente, ma erano Una.

      Dai, che pian piano si rivela a tutti che vi chiamate "fratelli" solo fra di voi suddivisi in piccole comunità neocatecumenali e non col resto di tutti i cattolici.
      Nessuno mai può aver sentito dire "sono andato a cena con un fratello parrocchiano", ma solo "sono andato a cena con un fratello della mia comunità, o della III comunità... ecc..."
      Questi siete voi.
      Anacronistici e controcorrente.
      Marco

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  9. "La «confessione pubblica» è una delle pratiche in uso nelle sette per raggiungere la piena sottomissione degli adepti e cementare lo spirito di gruppo."
    Ricordo quegli adolescenti di una diocesi statunitense indotti dal sacerdote, durante la Messa, a confessare peccati sessuali di cui ci ha parlato il blog The American Way.
    La confessione pubblica nel Cammino è una pratica comunissima e fondante, per la quale ci sono "allenamenti" bisettimanali, le risonanze, che se da un lato servono a cementare il gruppo e a confermare in modo continuo la convinzione che tanto più si progredisce spiritualmente quanto peggiori e continuate sono le mancanze confessare, dall'altro preparano per gli scrutini operati dai catechisti, e gli scrutini sono a loro volta uno schema di ciò che deve essere confessato pubblicamente; cosicché quella che dovrebbe essere una confessione di fede sia in realtà una esposizione della propria e altrui intimità (perché spesso si rivelano peccati coniugali e familiari ed anche di terze persone, per arricchire il racconto).
    Questa prassi che è fortemente identitaria nel Cammino, al punto che, se venisse tolta, esso cambierebbe completamente fisionomia, è deprecata con forza.
    "Indurre i membri di una comunità o di un gruppo a confessare pubblicamente le proprie colpe o accusarsi davanti a tutti è da considerare una prassi deprecabile perché lede il diritto della persona a salvaguardare la propria intimità (cf. can. 220 dei Codice di diritto canonico), soprattutto se tale prassi è riproposta con una certa frequenza e se la confessione pubblica riguarda anche aspetti di vita che solo l'interessato conosce."

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    1. "Nei conventi e nei monasteri, un tempo esisteva effettivamente il «capitolo delle colpe»: si trattava di un'usanza secondo la quale ogni religioso si accusava davanti alla comunità riunita in capitolo o davanti a una parte di essa (novizi, professi anziani, ecc.) di mancanze contro la regola, come ad esempio aver rotto il silenzio o essere arrivato in ritardo in coro. Il superiore o l’abate comminavano la pena che in genere era lieve, come ad esempio recitare una preghiera, dato che le colpe più gravi e segrete non venivano manifestate in capitolo, ma nel confessionale".
      È interessante il confronto con gli scrutini del Cammino: nel capitolo delle colpe si ammettevano spontaneamente delle infrazioni alla regola monastica, non c'erano interrogatori né tentativi di direzione spirituale davanti ai confratelli e tutto si concludeva con una penitenza, una preghiera che sanava ogni cosa. Era una pratica di umiltà che spronava tutti alla perfezione nella vita monastica, quindi elevava, non deprimeva.

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  10. Le sette sorelle era un termine coniato da Enrico Mattei ai tempi dell'Eni. Non sapevamo che il Cammino è un Agip 2.0.

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    1. @Anonimo18 maggio 2023 alle ore 18:34
      Scusa, potresti illuminarmi sul senso logico, ammessoche ci sia,
      su quanto hai scritto?
      Ruben.
      ---

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    2. È semplice : avete parlato di sette sorelle che erano quei gruppi petroliferi ai tempi di Mattei é un'associazione di idee

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    3. Ma è esattamente questo il motivo per cui li chiamo "asini". Vengono qui a ragliare, cioè a disturbare le discussioni, perché in fondo in fondo lo sanno bene che il Cammino è imbottito di errori e di eresie, e che i suoi capi sono eretici e arroganti, e che tutti i paroloni altisonanti (e spesso estratti dal gergo cattolico) servono solo a fregare meglio gli altri adepti della setta.

      Lo sanno benissimo di essere in grande errore. Per questo non avvertono alcun bisogno di discutere, di spiegare, di chiarire. Hanno solo una fretta del diavolo a inquinare le discussioni, mettere a tacere chi non loda il Vitello d'Oro di Categoria Superiore, tentando di estenuarci, intimidirci, bullizzarci, azzittirci, insultarci. Non vogliono convincere noi, vogliono solo convincere sé stessi di aver fatto bene ad aderire al Cammino e di averci infognato i propri cari.

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    4. E aggiungo pure che la cosa che fa più imbufalire i kikolatri non è il libro di padre Zoffoli o quello di don Ariel o lo sperduto blog dove si discute delle magagne del Cammino e dei suoi capicosca, ma è il venire a conoscenza di persone che uscendo dal Cammino hanno vissuto più intensamente la fede, la vita familiare, affetti, studi, lavoro, amicizie, rapporti sociali, tutto.

      Dopo che per tutta una vita i kikolatri si son detti che fuori dal Cammino c'è solo la perdizione, che chi esce dal Cammino si mette in braccio al demonio, ecc., il solo sapere che qualche ex fratello abbandonando la setta ha recuperato la serenità, il suo rapporto personale col Signore, l'equilibrio interiore e pure esteriore, diventano belve, sia perché il demonio non è affatto contento che qualcuno torni a una vita serena, sia perché cominciano a sentirsi veramente truffati dalla setta. E perciò ragliano, ragliano fortissimo, come asini che non vogliono ascoltare neppure i propri pensieri.

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