Palermo

Vampe di San Giuseppe, quei giovani senza orizzonti nelle periferie abbandonate

Vampe di San Giuseppe, quei giovani senza orizzonti nelle periferie abbandonate
Ricordo l’eccitazione di noi bambini nel raccogliere, su precise indicazioni degli adolescenti, il legname necessario...
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Ho avuto la ventura per la mia formazione personale e professionale, prima di accedere in magistratura, di vivere e crescere in una delle più complesse periferie palermitane. Mi permetto quindi di formulare delle valutazioni in relazione alle recenti, ripetute, gravi aggressioni ai vigili del fuoco e alle forze dell’ordine verificatesi in occasione dell’accensione delle “vampe di San Giuseppe”. È un fenomeno che si ripete, ormai da tempo, ogni anno alla vigilia della festa di San Giuseppe e interessa più quartieri della città. Senza volere giustificare alcun atto di violenza, ritengo che delle riflessioni vadano fatte, evitando di replicare quell’atteggiamento tipicamente “snobista” di certa intellighenzia nostrana.

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Parto dalle memorie di infanzia: ricordo l’eccitazione di noi bambini nel raccogliere, su precise indicazioni degli adolescenti più grandi, il legname necessario che collocavamo nel luogo deputato alla “vampa”. Era una raccolta febbrile che veniva fatta nelle settimane precedenti la festa del Santo e ricordo come fra i vari quartieri della città vi fosse una sana competizione per chi riusciva a realizzare la “vampa” più alta, più forte, più visibile.

Ricordo, altresì, e lo dico con la massima franchezza, che “taluni” adulti, dove “taluni” si riferisce alla sospetta collocazione criminale degli stessi, controllavano compiaciuti che tutto si svolgesse nel massimo ordine. E perfino il parroco del quartiere guardava al fenomeno con una certa indulgenza. Nessuna idea o volontà antistatuale era presente nelle manifestazioni che, nei rari casi in cui si verificavano situazioni di criticità, venivano gestite con reciproca comprensione fra le parti.

Viene quindi da domandarsi perché un evento folcloristico, che attinge ai sentimenti religiosi più popolari, si sia trasformato negli anni in una occasione di manifestazione violenta e con accentuati profili antistatuali.

Premetto che le analisi di fenomeni di tipo populistico e qualunquista sono di complesso inquadramento. Ciò nonostante non ci si può sottrarre ad una loro complessa valutazione.

Intanto sorge spontanea la domanda su chi siano questi giovani, o meno giovani, che si avventano contro le forze dell’ordine. Occorre poi vedere se queste manifestazioni godano della compiacenza degli uomini d’onore del quartiere che in qualche modo, in un’ottica di affermazione del controllo del territorio, possono incoraggiare questo tipo di derive violente.

Sembrerebbe, analizzando frettolosamente, di poter liquidare il fenomeno come una storia minore di delinquenza giovanile a fronte di ben più gravi fatti criminali che affliggono la città.

Tuttavia questo inquadramento del fenomeno non ci soddisfa. Occorre, infatti, volgere uno sguardo attento alle condizioni delle nostre periferie e dei nostri quartieri più problematici.

La violenza sempre più diffusa in città appare allora indice di un sostanziale abbandono delle periferie da parte delle istituzioni ai vari livelli. Ci si chiede chi operi nelle periferie per contrastare l’antistato mafioso, chi offra ai giovani una alternativa di vita e di valori, chi operi una attività di educazione alla legalità, chi si preoccupi di rimuovere le disuguaglianze, sempre crescenti fra la “Palermo bene” e la Palermo delle periferie.

In altre sedi ho dichiarato come si avverta in questi luoghi l’assenza di un’opera come quella di don Pino Puglisi e ciò nonostante la presenza di tante associazioni di volontariato attive nei quartieri. Il lavoro delle associazioni, però, senza un raccordo forte e continuo con lo Stato rischia di essere continuamente vanificato.

Questo credo sia il nodo da affrontare e per farlo serve quanto mai un confronto serio e non superficiale ormai non più rinviabile.?

L’autore è procuratore generale

a Cagliari

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