Uscire dal buio

L’ultima raccolta di poesie edite di Vittorio Campanella è Uscire dal Buio, 2001;  questa è stata estrapolata dalle migliaia di poesie inedite.uscire dal buio

La scelta è stata fatta in modo da segnare una strada che intende riassumere il percorso umano di Vittorio e la sua concezione di poesia. Dalla FUGA CIECA da una realtà che si considera alienante, verso una ricerca di rigenerazione per restituire all’uomo un senso originario del suo essere. È la natura rivissuta nella sua primeva incontaminata freschezza (DOVE SEI PRIMOGENITO PURO?, IL CIELO DI MARZO, L’INTATTO MATTINO DELL’ANIMA). Questa fuga verso la rinascita non rappresenta un distacco dalla realtà ma un forte anelito a spezzare le catene. I miti dell’età ellenica indicano la riconquista dell’integrità (L’AURIGA DI DELFI) che ci può dare la forza di arrivare ad una liberazione planetaria. (INCANTESIMO PASSO)

La prefazione di Rodolfo Funari descrive in modo mirabile il significato del libro.

Poesia Oggi

Nel 1989 Vittorio aveva scritto un saggio critico, inedito, intitolato Poesia Oggi che ripercorre la poesia e l’arte del XX secolo. 

Punto di partenza sono due NO: il NO di Montale che ci ha accompagnato dal periodo fascista ad oggi, non facilmente comprensibile nel dopo guerra, controcorrente; il NO di Elsa Morante in Aracoeli degli anni ’80,  un no incompreso più radicale, non solo al sistema politico sociale ed esistenziale ma che toccava anche tratti più intimi fino alla negazione della storia.

Il testo di Vittorio si svolge attraverso continue domande, a cui le risposte sono sempre aperte; attraverso questo dialogo si evidenziano certe caratteristiche peculiari del nostro tempo:

  • il MERCATO in generale, che diventa sempre di più mercato dell’arte, della poesia e degli esseri umani. “il mercato come ideologia, come filosofia, come scienza”; “il mercato è il referente esclusivo di tutto, il termine valutativo e conoscitivo di ogni proposta pragmatica e progettuale di opere, di fondazioni, di istituzioni e di programmi”; “la sua legge è assoluto”.
  • l’INVOLUZIONE, “soprattutto oggi esorbitando dal cerchio dl falso benessere e delle tragiche antinomie sociali, di natura economica, politica e culturale”.

Altre domande riguardano l’arte, la poesia in questo contesto: Che funzione può avere la poesia? Che possa rompere questa macchina opprimente che invade tutto? Come recuperare il messaggio? Messaggio che consiste nel colloquio tra l’autore e “il fruitore” che porta qualcosa di nuovo?

Il messaggio deve far scaturire una risposta rivoluzionaria, perché nuova, altrimenti non è arrivato.

 Da qui l’importanza per l’uomo di uscire “all’aperto, sulle piazze e sulle vie del suo dramma quotidiano”. 

Le avanguardie se non attingono al dramma quotidiano sono solo sperimentazioni sterili, sosteneva Vittorio. Ora si rischia in tutto il mondo, dove pur ci sono state poesie di strada, l’appiattimento completo e agnostico.

Oggi bisogna capire che il NO di Montale e il NO di Aracoeli che non hanno risposta, sono un grido di battaglia per fare della poesia una cosa viva.

Anche il concetto di FRUIZIONE rimanda al Mercato, al nostro rapporto mercificato con tutto quello che riguarda il quotidiano. “Vivere una vita autentica vuol dire fare un lavoro non mercificato”.

E in questo Vittorio non smise mai di essere rivoluzionario. Naturalmente il saggio dice molto di più ma ci contentiamo di questa piccola escursione. 

Poesia aperta

Vittorio lungo il percorso della sua scrittura ha sempre tenuto presente il discorso sulla funzione della poesia, trattato in diversi saggi inediti. Al tempo del realismo socialista sosteneva che la letteratura, sia nelle forme della narrazione che in quella poetica, non può mai essere realistica nel senso fotografico della realtà: già la parola “vaso” suggerisce idee diverse ad ognuno di noi a secondo delle esperienze personali, sociali, storiche e geografiche. Il realismo al tempo era un concetto imposto dall’alto, una visione convenzionale della realtà che molti critici e autori rifiutavano. 

Negli anni ’60 anche in reazione al contenutismo della critica letteraria emerse il gruppo dei Poeti del ’63 con una pubblicazione di Einaudi, “I Novissimi “. Questo gruppo irrompeva provocatoriamente nel panorama letterario italiano rivendicando la specificità della parola poetica e la sua indipendenza dall’asservimento alle ragioni politico e sociali. È un’occasione per interrogare se stessi di fronte al proprio tempo. Vittorio non condivideva la teoria strutturalista perché tendeva, secondo lui, a rendere la poesia una cosa asettica che debba essere osservata nella sua struttura come una farfalla da collezione, che si neghi che abbia un messaggio da dare, che sia un ambito di nicchia per specialisti. Lui era per una poesia diretta, ingenua che abbia le radici nelle nostre più profonde esperienze e in quelle dell’umanità. Perché c’è una radice dell’oggi e tante radici perenni. Condivideva con il Fubini che la poesia debba essere intesa come aggettivo piuttosto che sostantivo ossia come una componente logico culturale e di una fase sociale di civiltà. Anche una teoria scientifica può essere poesia in questo senso. Funzione sociale dell’arte sarà allora non il ridurla a veicolo – strumento ma il dilatarla fino a che venga completamente riassorbita nella circolazione della vita. Non ci si può proporre una finalità estetica come forma pura perché l’artisticità è azione. Sono poesia i Beatles, i Cantautori perché recuperano la funzione antica della poesia come al tempo dei rapsodi, degli aedi, dei trovatori, degli improvvisatori poetici. In questo senso va anche la critica letteraria contemporanea che si deve cimentare oggi con gli ipertesti. Il messaggio della poesia si completa soltanto attraverso il lettore – fruitore. Per Vittorio non esisteva un territorio privilegiato o emarginato per la poesia perché l’arte è dentro tutto quello che ci impegna sostanzialmente: la guerra e la pace, la rivoluzione e la realtà economica; la poesia nello stesso tempo recupera il momento mitico dell’umanità.

Per Vittorio la sua autorità di scrittore, il suo diritto come tale, si riconosceva nel confronto con gli altri e avrebbe apprezzato oggi lo scardinamento del diritto d’autore in senso lato dato, dai mezzi tecnologici di oggi che permettono interazioni continue. Anche se in questo Mare Magnum si rischia di disperdere i messaggi importanti e di non renderli efficaci. 

 

Il mito di Alfeo

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Alfeo e Aretusa a Siracusa

Come tutte le opere poetiche anche L’attesa del raggio verde si può leggere a vari livelli: storico, sociologico, autobiografico ma anche mitologico e antropologico. A cominciare dal nome del protagonista Alfeo. Alfeo: il fiume greco, in parte sotterraneo, innamorato della ninfa Aretusa, trasformata nella sorgente omonima, che continua a inseguirla per sempre immettendo le sue acque nel mare e mescolandole con la sorgente. È anche quella di Alfeo una ricerca innamorata, che non desiste di fronte all’ostilità dell’ambiente esterno e ai dubbi interiori e non finisce mai, come è incompiuto il racconto. Come in un percorso misterico le tappe del viaggio sono scandite da figure simboliche da messaggeri e da guide, verso un fine di liberazione che non è individuale, come nei misteri eleusini, ma deve avere uno sbocco collettivo, l’incontro con un nucleo di persone: i “suoi”, preludio di una società non più basata sulla prevaricazione e sul possesso ma sul riconoscimento dell’altro. Le figure che l’accompagnano sono figure mitiche: la Grande Madre Flora, l’organizzatrice del tempo e dello spazio, che scandisce con la festa, il teatro, la musica, la danza e si sovrappone a Letizia, la madre perduta; Giovanna, la Dea dell’Arte e dell’Amore e dell’Armonia e della Bellezza; i Ragazzi, figure di gioventù perenne che si prendono la rivincita verso una società che vuole sommergerli. E una moltitudine di Emarginati con il compito di Messaggeri del Male di Vivere in una società malata, ma anche portatore della speranza e della gioia. 

Il valore storico e antropologico della Parabola, come l’autore ha sottotitolato il racconto, è evidente nella distinzione tra “nomadi e stanziali” un passaggio fondamentale nella storia dell’Uomo, una rottura che deve essere superata. I nomadi sono rimasti sconfitti e proprio per questo hanno conservato tutte le forze ancestrali più positive, non dogmatiche, “vive”, di riconciliazione tra SACRO e PROFANO. E solo loro, forse il nostro futuro, possono accompagnare Alfeo nel BOSCO SACRO del Convento francescano dove il patto NATURA – UOMO – DIO può essere sancito.

Un viaggio iniziatico che compie il suo giro in vista della Madre Grecia da dove tutto è partito.  

Questa strofa della poesia Plenilunio a Corfù tratta dalla raccolta di poesie Uscire dal Buio, ci sembra che esprima questo senso di riconciliazione che suscita il mito nell’animo dell’autore.

… Il riflesso remoto

della favola egea

è davvero un respiro

un balsamico risorgere

della tua perduta serenità,

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Corfù

che scioglie

nella mattina antelucana

il tuo viluppo

di stordimenti pazzi

senza colore

senza forma?

L’attesa del raggio verde

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Il romanzo di Vittorio L’attesa del raggio verde scritto fino all’ultimo giorno, non è un libro fatto per essere spiegato con un discorso breve. È un viaggio che evidentemente si svolge nel momento storico attuale, un momento in cui l’individuo perde i punti di riferimento consolidati e prova il “rischio della perdita” come dice De Martino ne “Il mondo Magico”. È la storia di Alfeo e del suo viaggio alla ricerca di quel raggio verde che rappresenta il momento culminante della scoperta di sè all’interno di un’umanità corale.

Alfeo è un giovane all’ingresso della maturità che ha perso la madre, la sua comunità adolescenziale e ha rinnegato il padre padrone, rappresentante di un mondo basato sul denaro e la violenza, il mondo del “TU DEVI” entro l’involucro sociale di chi conta e di chi con qualche ruolo “rappresenta il progresso”. Ha visto il disgregarsi di una struttura economica, politica e sociale fino al suo completo dissolvimento.

Per Alfeo inizia il cammino che non ha una direzione precisa, “un andare a caso non importa dove”, ma con l’obiettivo di cercare e ritrovare un mondo con l’armonia passata da compiere nel futuro.

Ma per questa rivelazione ci vuole l’incontro, la comunicazione, il ritrovarsi con i “Suoi” divenuto simbolo di una rinnovata comunità umana “credente ma capace ancora del dubbio”.

Tutto il cammino di Alfeo ha un andamento musicale, come nella musica la sua ricerca è un susseguirsi di fughe e ritorni, di crescendo e diminuendo, di apertura alla gioia e sprofondamento nella solitudine.

I vari temi ritornano continuamente variati d’intensità e ritmo.

Tutto questo intreccio a volte labile a volte intenso, è condotto con pacata ma sotterraneamente intensa passione. Ed è questa la cifra stilistica della scrittura del romanzo.

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Alla presentazione de L’attesa del raggio verde: Gabriella Macucci relatrice, Luca Biagini e Barbara Lo Gaglio lettori

L’ultima donna ne L’attesa del raggio verde

Nell’ultimo romanzo scritto L’attesa del raggio verde compare una donna diversa dalle altre protagoniste: Giovanna. Giovanna è un’amica-amore d’infanzia e di adolescenza che accompagna Alfeo in tutto il suo viaggio, facendo da filo conduttore nel suo cammino alla ricerca di sé in mezzo agli altri in una società desertificata. È un cammino che non può avere una direzione precisa, ma la direzione è necessaria e Giovanna ne è guida spirituale. Questa donna appare in tutte le diverse tappe del viaggio e porta in sé il senso della vita. Giovanna è anche figura viva della musica, della poesia e dell’arte, annunciata sempre da “arcane sonorità” con “fruscii di ali”, “arpeggi flebili”, dal “misterioso rumore di acqua nel torrente che si avvicina a poco a poco”, “un bisbiglio lieve e argentino”, un “ronzio lontano di api”, che aprono la strada all’esplosione gioiosa e sicura del clarinetto che lei suona. Vittorio la vede in tutte le cose sonore corali della natura.

Giovanna è incitamento e consolazione e solo lei può annunciare la riconciliazione fra il sacro e il profano, tra la natura e l’uomo e accompagnare i “nomadi”, gli “uomini veri” nel loro viaggio di testimonianza.

Alla fine del romanzo, testamento definitivo dell’autore, Giovanna arriva su una imbarcazione silenziosa, in una visione tra sogno e realtà, insieme ai suoi ragazzi, di Alfeo, sparsi per il mondo.

Ma ecco: dalla piccola nave scendono tutti insieme a quella improvvisata darsena selvaggia “i ragazzi”.

Li rivede come li ha sempre veduti, ma diventati grandi come Giovanna e come lui.

– Alfeo, ci siamo dati alla poesia un po’ tutti sai…

–Poeti?…perché? –chiede incuriosito…

– Per rinforzare di un’armatura solida quelle tue fantasie, che erano e sono anche le nostre, Alfeo ….

Giovanna ha portato i ragazzi a dare il saluto finale al maestro di vita, perchè è la donna che è anche Gea, madre terra, salvatrice. atena-suona-laulos-taranto-375-350-a-c

L’orso di roccia: un viaggio verso l’utopia

Epigrafe da “Maestrale” di Montale

… né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:

“più in là”

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Nel gennaio del 2007 venne pubblicato L’orso di roccia dalle Edizioni dell’Istituto di Cultura di Napoli come vincitore del Primo Premio al concorso internazionale indetto dall’Istituto. Scritto negli anni ottanta e rielaborato nel tempo, anche questo romanzo racconta di un viaggio verso una meta sconosciuta, che via via diventa un viaggio di speranza per la costruzione di una coscienza e di una società diversa. 

Venne presentato il 14 Dicembre 2009 .

volantino_campanella-5Liliana Valentini che lo conosceva ha scritto su L’orso di roccia un contributo così ampio,profondo e commovente che abbiamo deciso di riportarlo integralmente per non togliere niente al suo significato.  

su “L’ Orso di roccia” di Vittorio Campanella

PICCOLO LETTORE SENESE RACCONTA-

( Impressioni sul romanzo “ L’orso di roccia” di Vittorio Campanella )

Sai, a volte in internet, si cerca di dare ad un’e-mail un titolo vivace o ironico, per attirare l’attenzione o per sdrammatizzare.Così anch’io, quella volta,cercavo un oggetto che alludesse al gioco.

Decisi di scrivere “Piccolo lettore senese”, parafrasando il titolo di un celebre racconto e volendo evidenziare lo scambio di ruolo fra lettore e scrittore, che si era creato, tra Vittorio Campanella e me, da quando avevamo cominciato a regalarci reciprocamente i libri, a incontrarci di persona e a mandarci osservazioni via e-mail.

Inoltre la parola “piccolo” mi serviva a stabilire una gerarchia di valore, poichè ero (e sono) ben consapevole di non possedere strumenti adeguati per fare un serio discorso di inquadramento critico, come il lavoro letterario di Vittorio meriterebbe. Inoltre, anche se ho letto un discreto numero delle sue opere, ( benché quasi niente in confronto alla sua produzione letteraria, che spazia tra poesie, saggi e una ventina di romanzi ), è proprio la qualità del suo lavoro che lascia con il senso che ci sia ancora qualche aspetto da considerare, qualche motivo da approfondire.

Ad ogni modo, superando le mie titubanze e timidezze, gli spedii queste impressioni sul suo romanzo da poco pubblicato, ” L’orso di roccia”.

“ Ci sono dei momenti di più intima commozione, magari mentre guardi l’ultimo orizzonte; magari mentre ti senti confuso con quella luce che stai fissando.

A volte, ne scaturiscono parole, che poi ti aiutano a ricordare, a calarti di nuovo in quell’ atteggiamento. E’ come vivere in un’altra dimensione. Scatta la certezza di ritrovare la parte più autentica di se stessi; e anche la convinzione che questa autenticità, di sicuro, in un simile atteggiamento, anche altri la possano sperimentare.

Allora, questi sono anche i momenti di più vasta comunicazione. Quando ti senti parte di quell’aria che respiri e che poi diventa una componente del tuo stesso corpo. Ma non è un travalicare negando la propria situazione.

Anzi lo slancio parte proprio da lì, da dove noi siamo, con tutti i limiti e bisogni, sentendo che proprio dalla nostra situazione, nasce l’impegno a trovare ( creare? ) un mondo che dia soluzione positiva (giusta) a tutte le tensioni.

In questo atteggiamento, ricco e complesso, dialettico, scorre il viaggio del veliero del romanzo (“ un qualsiasi veliero, strumento di un qualsiasi potere).”

Questa piccola nota era proprio dettata dalla commozione in cui restavo avvolta, alla fine della lettura ( la prima, perché ci sono ritornata più volte). Ricevetti questa risposta, frutto ancora della generosità:

“ Cara Liliana, non avrei mai creduto con mia grande soddisfazione che una persona che abbia letto quel mio libro potesse centrarne il punto essenziale e il vero significato. Ebbene proprio tu sei quella persona, Liliana, e mi compiaccio con te e un pochino anche con me che tu abbia capito.”

La generosità è grande, perché Vittorio valuta al massimo l’attività del lettore e appena la sua grande capacità di accompagnare il lettore, insomma le sue doti umane e di comunicazione.

In verità, qui si aprirebbero seri problemi, perché con queste mie convinzioni, continuo a domandarmi, con una molta perplessità, perché i suoi lettori siano stati scarsi ( per ora)…

In seguito gli avevo mandato questa piccola nota:

“ Mi pare che per Vittorio, nella ricerca del “porto franco dell’umanità”, nella spinta verso la liberazione, ci sia come caratteristica indispensabile, l’aria da respirare liberamente. Questo mi pare interessante e vero, non solo come metafora. Infatti nella vita quotidiana, la condizione dell’ansia agisce spesso proprio come una disfunzione del respiro, con tutti i conseguenti limiti e difficoltà. Molte sono le situazioni ansiogene e forse qualcuno sceglie intenzionalmente di propagare l’ansia, per esercitare un controllo sugli altri.”

Poi avevo spedito per e-mail ancora questa impressione:

“ Una pagina de “L’ Orso di roccia” mi ha spinto a rileggere la parte finale della poesia “Le due navi” di Vittorio.

 “Forse solo ci resta

una trepida modulazione

di cetra.”

Questi versi, in me, si collegano ad un’espressione del romanzo che mi ha molto colpito: “polline di saggezza”. Secondo Vittorio, gli antichi rapsodi si dedicavano appunto a diffondere il polline di saggezza, come fa anche il personaggio del suo romanzo. Viene dunque da riflettere che proprio Vittorio abbia fatto un grande lavoro di raccolta e di propagazione di polline di saggezza,nella sua vita, sia come educatore, sia come scrittore. Questi messaggi, diciamo, estemporanei sono stati scambiati nel breve tempo intercorso tra la pubblicazione del libro e la morte di Vittorio Campanella ( aprile 2007). A questo punto dovrei darti informazioni più obbiettive sul romanzo. Avevo anche pensato di compilare una scheda, ma per un lavoro ben strutturato, occorrerebbe più tempo e più capacità. Ad ogni modo, questo è il mio tentativo, la mia richiesta di attenzione per l’opera di un vero umanista.

L’orso di roccia è il romanzo di Vittorio Campanella, pubblicato nel gennaio 2007 dalle Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli ( I. C. I.). Non si tratta, ad ogni modo, dell’ultimo suo scritto. Infatti Vittorio trascorreva il tempo di attesa della pubblicazione e varie traversie, sostenendosi con la scrittura di un racconto che aveva intitolato” L’attesa del raggio verde”. ( Qui troverei la riconferma dell’intuizione di “oggetto transizionale “ di Winnicot, ma per ora evitiamo di approfondire ). Vittorio, per trovare una collocazione adeguata alla sua opera non aveva disdegnato di affrontare il giudizio della giuria di un concorso letterario e in seguito, la fatica del viaggio per partecipare alla Premiazione. Infatti “L’orso di roccia”aveva vinto il primo premio di narrativa inedita al Premio Letterario Internazionale Nuove Lettere, indetto dall’ Istituto Italiano di Cultura di Napoli e patrocinato dall’ UNESCO. Da questo riconoscimento era derivata la possibilità di pubblicazione nella collana ” La Bellezza” iniziata da Giorgio Saviane.

L’Orso di roccia è la narrazione di un viaggio di ricerca che si svolge con la complessità e le stratificazioni proprie di ogni opera di vera poesia; ma riconoscibili anche nella realtà della vita, quando la si guarda con atteggiamento poetico. Racconta il viaggio di un veliero, in un mare che ha tempeste e bonacce, con un ruvido ed enigmatico capitano, con una ciurma che tenta l’ammutinamento e con personaggi ricchi di esperienze travagliate e diverse qualità interiori, impegnati in una variegata e coordinata danza di distanza ed avvicinamento, sia tra sé che rispetto alla meta individuale, che si tenta di far divenire comune: “il porto franco dell’umanità”, “l’orso di roccia”. Specialmente “il lupacchiotto dei Carpazi” si adopera in questa non facile impresa . Non per sé, ma per gli altri, impegna fantasia e abilità comunicative . Ma il viaggio è altresì un percorso metaforico che solca il più insondabile dei mari: l’animo umano.

Alcune righe extrapolate dalla introduzione al volume antologico ” Poesia del Novecento in Italia e in Europa” a cura di Edoardo Esposito, mi sembrano adatte a sintetizzare ciò che questo romanzo rappresenta e ciò che la figura dell’orso di roccia rappresenta nel romanzo: “ricerca di un paese innocente che esiste e resiste in ciascuno di noi, nonostante il disastro dell’esistenza”.

In questa frase sono individuati i motivi fondamentali della poesia ; ma questi sono anche i motivi di fondo del romanzo, che dunque si qualifica come opera di poesia , sebbene nella forma narrativa.

Vi si intrecciano, a livelli di grande profondità e in forme complesse, aliene da superficialità o retorica, molti motivi portanti: il cammino di ricerca; l’anelito all’innocenza, oggettivata in un paese che esiste per ciascuno di noi, solo quando crediamo di poterlo raggiungere; la resistenza della fiducia, nonostante le disfatte della vita; la rinascita della speranza, dalla sconfitta e dalla delusione. Tutto questo nella convinzione che il paese innocente di ciascuno di noi, tanto più si lascia avvicinare, quanto più diviene il paese di tutti. Dunque, la narrazione ha la voce chiara e forte, costituita dalla coralità di tante voci, impegnate nel comune lavoro di costruire una condivisibile speranza.

Alla mia lettura, “ L’Orso di roccia “ si è posto come una continuativa richiesta di impegno, di attenzione alle sue problematiche, di disponibilità a restare sospesi tra i suoi personaggi, in quelle visioni sconfinate e in quell’atmosfera di purezza. Dalla prima lettura è stato come iniziare un percorso nel mondo poetico dell’autore, che generosamente ci accompagna a guardare, della vita, gli aspetti più innocenti, puri e veri;a ricercare l’armonia tra l’uomo e la natura, avendo a disposizione un vasto patrimonio di strumenti culturali, grandi doti di umanità, grande finezza e nobiltà di sentimenti. Forse per la ricchezza d’animo dell’autore, questo scoglio in forma di animale, continuava a riaffiorare alla mia coscienza , in mezzo alla chiarità di cielo e mare, che i personaggi continuavano a scrutare. Ma per la scarsità di strumenti del lettore, tornavano con sempre nuove domande. L’Orso di roccia, è la poesia? E’ la creatività? E’ la proiezione di ogni umano anelito verso il bene e verso il bello? E’ il frutto dell’atteggiamento maieutico della generazione adulta che si adopera per favorire la generazione giovane, nel suo cammino verso la crescita e la libertà?

“ perché tu, e lei dietro di te, siete il riflesso segreto di me, l’alone esterno dell’arcobaleno! Ecco perché insisto a proporti di credere che quel che i tuoi occhi vedranno da un giorno all’altro sarà la tua sponda! … Credici anche tu come ci credo io! ”

Così, tornare su quelle pagine, era approfondimento e adeguamento della comprensione. Era soffermarsi su frasi ricche di verità.

L’ Orso di roccia “ è il confine fra la storia dell’uomo prigioniero e la storia della natura, dove l’uomo recupera se stesso! fra la storia artificiale e la storia vera, fisica, che si snoda nel tempo serena e burrascosa, dietro l’orma delle leggi della natura. L’animale foggiato dal vento e dalla pioggia sulla roccia è una figura di due prospettive opposte…… è l’idea che l’uomo ha della natura… ed è la natura che si ferma al limite dell’uomo, cioè l’accordo pieno con lui!…” 

“ Sarà la vostra sponda, il porto franco dove sperate di sbarcare…”

Immergersi nella lettura era ritrovare un mondo amico, restando nel paese innocente che Vittorio continuamente e in molte forme ha ricreato. Era riconoscere che per i veri poeti, la comunione dell’ umanità è una realtà di fatto e che voci libere di persone che non si sono mai incontrate fisicamente, possono ugualmente risuonare all’unisono.

E penso ancora a Vittorio mentre leggo gli ultimi versi di una poesia di Agostino Neto, dall’antologia “ Poeti Africani Anti- Apartheid”:

“ Per noi la terra verde di SAN TOME

Sarà anche l’isola dell’amore ”

Penso a Vittorio, che si congeda dal suo lavoro con l’immagine dell’uccello di mare in volo:

“ è un chiarore vicino

che si apre per te di domani.

E nell’aria spaziosa tu solo

rimani l’invincibile re … ”

Si congeda con l’osservazione del suo personaggio:

“Jablani mormorò per conto suo:- – Anche i falchetti credenti sono come l’uccello di mare!…”

Pochi giorni dopo la morte di Vittorio, avevo tentato di dare forma alle tante e complesse emozioni che l’incontro mi aveva suscitato:

POIESIS

Sciamano nel vento

immagini di poesia.

Di roccia o d’aria,

l’amore le modellò,

sempre in forma

di pura verità.

Volano ora

e attendono

d’essere raccolte

e amate.

Oggi confermo che proprio di essere amate meritano le sue opere. Spero che molti riconoscano che la visione di Vittorio ( di profondo

spessore, per conoscenza e riferimenti storici e di notevole

estensione, per considerazione di molteplici problematiche e dei

loro rapporti) è proprio un mondo da amare e da costruire.

Liliana Valentini

La frammentazione dell’Io

L’Io come tentatore, il solitario, lo sbandato, l’uomo dello specchio, l’altro, qualcuno, l’apolide, lo straniero, il diverso, nessuno.

Riportiamo le considerazioni finali di Pino Sebastiani a proposito di Mephisto.

Percorrendo lungo la lettura del romanzo Mephisto di Vittorio Campanella tutte le sfaccettature della personalità del protagonista sono rimasto a lungo in sospeso: praticamente sino all’ultimo capitolo che chiude il racconto. Lo chiude come un brano musicale chiude col finale ogni gioco melodico mantenuto teso e vivo per tutta la melodia; qualcosa che è regola per ogni brano musicale tradizionale… ma che è spesso portato all’estremo in molte composizioni di J. S. Bach.

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Ritratto di Marie-Therese, Pablo Picasso

Non dico nulla di nuovo se ricordo che la storia del pensiero moderno abbia riferimenti che sembrano antichi come certe ipotesi filosofico-scientifiche di Kant, Kant – Laplace, Newton, Freud, Marx, Galileo Galilei, Stevenson, con le personalità multiple di Mr. Hyde e Dr. Jeckyll e tanti altri.

Quello che è comune a tutte le teorie e fatti dell’evo moderno è una continua perdita di un centro (un centro che era nato come pura metafisica e non certo scienza!), sia nel modello di sistema solare, sia nel modello di universo ed infine anche nel concetto di “Io psichico”.

A livello di principio perde senso un “Io sono buono”, “Io sono cattivo” e persino “Io sono”… Tutto quanto ho citato esplicitamente e implicitamente riguardo al periodo storico del’Evo moderno conduce anche a questo; in particolare su questa perdita “del vecchio Io ( l’Io non è morto: c’è ancora ma più completo, più complesso e decisamente meno meccanico come l’Io metafisico medievale) Merita che io riciti Freud, Marx e Stevenson.

Più sopra ho accennato a Bach; un parallelo con Mephisto che trovo centrato tanto quanto trovo centrato un paragone tra Mephisto e un quadro di Pablo Picasso.

… Si, Picasso… pittore in cui visi e cose ci sono tutte ma smembrate come da mille “punti di vista diversi” che nella mente di chi osserva si ricongiungono ottenendo tramite codesto sforzo partecipativo, un profondo legame emotivo tra immagine e osservatore. 

Vittorio Campanella in Mephisto adotta proprio questo tipo di approccio; un approccio in cui i diversi lati (nascosti o palesi) della personalità del protagonista si scindono e dialogano tra loro, a volte anche in modo conflittuale. E’ il conflitto tipico dell'”Io moderno”, quell’Io che a volte sfugge e a volte riappare in un continuo processo evolutivo.

… E’ anche l’Io del protagonista di Mephisto… inutile dire che quel protagonista si chiama Vittorio Campanella perchè l’autore ha descritto se stesso…