Il tempo della crisi: schiaffo o carezza dello Spirito?

di Stefano Bucci

Dopo il Coronavirus che cosa cambierà nel nostro modo di essere Chiesa?
Come è possibile “vincere in operosità evangelica” in momenti come questi?

Queste domande rilanciano alcune questioni che da tempo occupano la riflessione ecclesiale, riguardanti l’esperienza di fede e il senso cristiano della comunità.

Chiesa in crisi

Oggi il tentativo di formulare una risposta compiuta a questi interrogativi può risultare ancora precoce, ma è certo che la Chiesa attualmente sta vivendo una profonda crisi che tocca le sue fondamenta e che il Coronavirus sta solo rendendo più evidente.

Se è vero che attualmente non è possibile formulare risposte compiute ai quesiti accennati, è altrettanto vero che la riflessione sulla crisi ecclesiale si rende oggi necessaria: solo così si potrà cogliere la direzione dello Spirito, si potranno intuire le forme di nuovi paradigmi e modelli ecclesiali, ridefinendo una narrazione della fede adeguata e una nuova grammatica della vita comunitaria.

Cosa è la crisi?

La crisi è il luogo in cui si incontrano due realtà: una che muore e una che nasce (o rinasce). È un’esperienza che pone di fronte ad un bivio e, infatti, il termine “crisi” originariamente significava “decisione”. Oggi invece la crisi viene percepita e narrata come esperienza di “indecisione”, condizione di non senso e di disorientamento correlata ad un cambiamento in atto. Persino quando persone o comunità cristiane sperimentano una crisi si corre il rischio di cadere nella tentazione del percepire quella situazione come uno “schiaffo” di Dio. Così la crisi, che si percepisce come qualcosa di negativo, deve essere eliminata nel minor tempo possibile. Tutto deve ritornare come prima. Per chi matura questa percezione negativa della crisi, ogni cambiamento si presenta sempre come una minaccia: si rischia così di restare invischiati in vecchi modelli di pensiero e di azione, anzi spesso si rafforzano irrigidendosi. Si entra in un loop da cui diviene praticamente impossibile uscire. Sia chiara una cosa: nel parlare di “crisi” non ci si riferisce qui a quelle condizioni che la generano. Ad esempio, nel caso attuale, per crisi non si intende l’evolversi della drammatica vicenda del Coronavirus, ma che le modalità con cui i cristiani e le comunità cristiane vivono questo tempo denotano la latenza di una crisi già presente e non sempre vissuta come opportunità. Come già accennato infatti, la pandemia attuale non ha avuto altro ruolo se non quello di acceleratore di una crisi profonda già in atto nel tessuto ecclesiale.

In realtà la crisi non è altro che la possibilità di decidere di fronte ad un cambiamento in atto – come dice l’etimologia del suo originario significato – un’esperienza di libertà che diviene via attraverso cui cogliere nuove opportunità: in sostanza la crisi è un’opportunità!!!

La crisi alla luce della fede

Se si assume uno sguardo di fede, la crisi prospetta l’opportunità di vivere un’“esperienza di risurrezione”, che trasfigura il presente con una nuova luce: dal punto di vista teologico, infatti, essa è la categoria esistenziale più vicina alla Pasqua. Questo è il punto: la crisi può divenire per una persona o per una comunità un tempo di grazia attraverso il quale entrare in un serio discernimento e cogliere quella nuova direzione che lo Spirito suggerisce.

La crisi “abita” nelle tensioni del cambiamento. Si pensi ad esempio a quella dialettica “caos” e “cosmo” descritta nelle prime pagine del testo biblico: nell’atto creativo Dio, attraverso il suo Spirito che aleggia sulle acque del caos, dà vita al cosmo compiendo un’azione rigeneratrice che preannuncia la dinamica della Pasqua. Dove c’è disordine, mancanza di senso, tensione insita nella realtà in movimento, lì lo Spirito agisce generando il cosmo a partire dal caos.

L’azione dello Spirito che “aleggia” sulle acque caotiche e crea il nuovo cosmo rivela l’azione della creatività. Essa, dunque, come diceva Albert Einstein “nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura” (non a caso il primo atto creativo divino è “fare luce”). Perciò la crisi è luogo fecondo di creatività. Lasciare agire nel presente la dinamica vitale della creatività significa guardare la realtà sotto una nuova luce (quella dello Spirito): la creatività non è ciò che mi aiuta a modificare la realtà a mio piacimento, ma è il cambiamento di uno sguardo che mi permette di abitare il presente in modo profetico, come via di rigenerazione.

Gli ambiti della crisi

Dal punto di vista antropologico gli ambiti in cui solitamente una crisi si manifesta sono quattro. Un primo ambito si identifica nella dimensione relazionale: quando le relazioni si logorano o subiscono rotture si verifica una crisi personale o comunitaria. Un altro ambito di crisi è insito nella dimensione della crescita: una persona vive una crisi di questo tipo nel momento in cui soffre per una malattia, oppure quando il suo sistema valoriale viene stravolto da eventi non previsti, che cambiano la percezione della realtà. Ancora, la crisi può toccare la dimensione della bellezza: si entra in crisi quando qualcosa di bello viene deturpato o se la percezione di una determinata realtà si rivela inaspettatamente priva di bontà o di verità. Infine, la crisi si manifesta nelle situazioni di chiusura: questo accade quando non si riesce a cogliere con sufficiente lucidità quali siano le proprie esigenze o priorità; si crea così un blocco, che toglie la libertà e provoca un esodo dal presente mortifero (uscire da una trappola).

Una “carezza” dello Spirito

Nel capitolo 21 del Vangelo di Luca i discepoli interpellano Gesù sulla fine del tempo: come possono essi cogliere l’avvicendarsi del momento in cui il mondo finirà? Quale il segno che manifesterà questo passaggio? Gesù risponde loro: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). Potremmo dire che ogni volta che finisce “un mondo” o “il mio mondo” e inizia uno scenario inedito e inaspettato ci si trovi di fronte alla fine di un “tempo”. La crisi è fine di un “tempo” e inizio di un “tempo nuovo”, opportunità di grazia in cui fare nostre le indicazioni del Maestro: alzare lo sguardo, guardare al futuro con fiducia, in quanto sta per avvenire una liberazione, cioè una Pasqua.

Se i credenti e le comunità ecclesiali desiderano vivere questo tempo di crisi con creatività, il primo passo da compiere sarà quello di considerare il manifestarsi della crisi pastorale, già latente prima degli eventi di questi giorni, come “carezza” dello Spirito che può orientare lo sguardo della sua Chiesa verso una liberante novità.