‘L’avventura’ (1960), di Michelangelo Antonioni. Un’analisi.

di Roberta Lamonica

Alain Resnais ebbe a dire di Antonioni che era un ipnotizzatore geniale e che gli aveva comunicato la passione e l’ossessione per l’immagine, che ‘componeva’ con una cura straordinaria. Federico Fellini era legato da amicizia e stima sincere nei confronti di Antonioni, cui riconosceva grande coerenza di visione ed eccelso spirito innovativo in un grande rigore formale. Antonioni e Fellini trassero entrambi l’ispirazione dal neorealismo di Rossellini ma poi se ne distaccarono entrambi, prendendo strade molto diverse, e nel caso di Antonioni profondamente coerenti per tutto l’arco della carriera cinematografica. Egli sviluppò una sua idea di cinema in chiave simbolista, mentre Fellini si spinse su percorsi più decisamente surrealisti.

L’avventura viene inserito con La notte e L’eclisse in una sorta di ‘trilogia esistenziale’ in cui assenza e incapacità di ‘spiegare’ la propria interiorità diventano cifra distintiva e nucleo tematico.

Dopo una burrascosa fase di produzione, Antonioni presentò a Cannes, nel 1960, il suo L’avventura. Alla proiezione, il film provocò reazioni estreme, perché ci fu chi non riuscì a comprendere la straordinaria innovazione del linguaggio cinematografico di Antonioni. Di certo, L’avventura consegnò il maestro ferrarese alla definitiva attenzione della critica internazionale, prima fra tutte quella francese, che definì il suo cinema come ‘neorealismo interiore’.

Il mondo che Antonioni analizza ne L’avventura è un mondo borghese, quello sorto e prosperato dopo la ricostruzione e ormai dimentico di un medesimo passato collettivo di dolore e fatica. Un mondo annoiato che sembra voler aspirare a ristabilire una gerarchia conservatrice, secondo la quale chi ha, può anche non lavorare.

La trama è semplice: Anna (Lea Massari) è fidanzata con un architetto, Sandro (Gabriele Ferzetti). Mentre è in barca alle Isole Eolie con Sandro, i loro ricchi amici Patrizia, Raimondo, Corrado, Giulia e la sua migliore amica, Claudia (Monica Vitti), Anna sparisce misteriosamente. Sandro e Claudia uniranno gli sforzi per cercarla.

Il film si può dividere in tre parti: un’introduzione, in cui i tre personaggi chiave della storia vengono introdotti; una parte eoliana, in cui Anna scompare, e una terza parte ‘on the road’: il viaggio di Claudia e Sandro in Sicilia alla ricerca di Anna, che si rivela però essere molto più un viaggio negli abissi della loro anima.

Il primo personaggio a essere introdotto è quello che per primo uscirà di scena. Anna incede nei giardini della villa di famiglia, tradendo immediatamente la sua provenienza altoborghese: elegante, andatura da dea, integrata e a proprio agio nell’architettura della propria casa, ‘una povera villa’ soffocata dalla modernità che avanza. Lo sguardo diritto e sprezzante, vacuo e impenetrabile, Anna è la presenza ossessiva del film proprio in virtù della sua precoce assenza. Lei è l’unica a scegliere davvero: sceglie di partire per una vacanza nonostante il parere contrario del genitore; sceglie di non sposare Sandro; sceglie di fare l’amore con lui, quando ne sente il desiderio; sceglie di sottrarsi alla storia, definendone così lo sviluppo successivo.

È proprio nel prologo romano che vengono presentati tutti gli elementi costitutivi del film e ne vengono anticipati i temi fondamentali. La Roma del boom economico, della costruzione selvaggia; quella cattolica del senso di colpa, della vergogna, del nascosto, della segretezza, delle apparenze. E in questa Roma si muovono inizialmente, a disagio, i personaggi principali. Anna volitiva, indipendente, altera, ricca.

Claudia mite, di estrazione più umile, remissiva, subalterna, riflessiva, complice, concreta, bisognosa di contatto con la materia, con ciò che fa da cornice e definisce le cose e gli spazi. Sandro, maschio, sensuale, sorridente, agìto, rampante. L’amicizia che lega Anna e Claudia è sincera, fatta di complicità e confidenza, di accettazione e affetto.

Il disagio di Anna è evidente fin da subito. Sembra un disagio relativo al suo rapporto con Sandro ma in realtà è un malessere interiore profondo, legato al bisogno di sentire un legame con la propria natura e identità. “Quando uno è lì, davanti a te, è tutto lì”, dice, a proposito dei rapporti intimi con Sandro. Viene subito introdotto così uno dei temi ricorrenti nel film: lo svilimento del sesso come medium per riempire un vuoto esistenziale. Anna cerca nel sesso il senso della sua relazione e della sua vita. Anna guarda Sandro e non lo riconosce, apre la finestra come per respirare o cambiare aria. Il sesso nel film viene vissuto sempre come forma di fuga. La sessualità non implica alcuna emozione. Tutti sembrano incapaci di essere felici nella loro vita. Anche quando l’atmosfera sembra carica di tensione sessuale, c’è sempre qualcosa che distacca, dissocia. Ci sono linee orizzontali che separano i personaggi come nella scena dell’appartamento tra Anna e Sandro e in seguito tra Claudia e Sandro sul campanile a Noto. Le donne nel film sembrano essere concepite come oggetti da essere consumati sessualmente. Eppure finiscono sempre per agire le situazioni e le vicende. L’avventura fu accusato di indecenza e oscenità, eppure l’unica scena che Antonioni reputa indecente è quella che vede protagonista una prostituta d’alto bordo americana, di cui mostra un capezzolo. Di nessun altro è mostrata mai apertamente alcuna parte del corpo.

Dunque Anna si determina subito come presenza importante sia per Claudia che per Sandro e, con la sua scomparsa, si rivela anche essere l’unica presenza di senso nel film.

E Anna scompare durante una gita alle Eolie, nel sole abbacinante e accecante del Mediterraneo. La natura dell’isola, aspra e impenetrabile, imperturbabile ed eterna, si impone imperiosa sui confini ben tracciati dei primi piani dei personaggi del film, soli e smarriti di fronte all’inaspettato. Il mare rende i sentimenti tumultuosi dei protagonisti e i loro cambiamenti.

In un ribaltamento di ruoli Anna, donna di società diventa donna di natura e Claudia, donna di natura, diventa donna di società. Quando Sandro fa un riferimento squallido all’intimità del giorno precedente, Anna ha la certezza della loro incompatibilità.  La vacuità e superficialità dei rapporti è evidente nello scherno di Corrado, nella noia di Anna, nel fastidio di Raimondo e nel regale distacco di Patrizia. I volti sono vuoti simulacri e la verità delle protagoniste è nascosta allo spettatore: la loro schiena è il confine di ciò che Antonioni può mostrare in un processo di non svelamento che risulta in questa fase del film quanto mai interessante. I corpi sono oggetto di soddisfacimento debosciato, abulico, indolente. Claudia assiste alle avances di tutti gli altri personaggi e quando sarà lei stessa oggetto delle stesse tenterà di opporvisi, ma sarà già in qualche modo ‘corrotta’.

Il passaggio del tempo è segnato da ellissi cronologiche, e il tempo atmosferico segna i cambiamenti emotivi dei protagonisti: la sparizione di Anna, l’esasperazione di Giulia, lo smarrimento di Claudia e l’imperturbabilità di Patrizia. Sandro non ha capito Anna, non ha capito il peso del malessere di Anna: “Queste sono le cose di Anna che non capisco”. In realtà non ha capito proprio nulla, di lei.

Nano nella Natura che reclama nel film un posto da assoluta protagonista, opponendosi all’uomo in quanto rappresentante della civiltà, Claudia si siede su uno scoglio e cerca di raddrizzare due fili d’erba secchi, della stessa altezza. Eppure uno si erge dritto contro gli elementi e l’altro è piegato, e Claudia non riesce a farlo ritornare in posizione eretta. Quei due fili rappresentano le due amiche uguali e differenti, vicine ma lontane, indissolubilmente legate nonostante il diverso destino. Solo che lo stelo dritto è Anna, che è rimasta fedele a se stessa e quello piegato è preludio al cambiamento di Claudia. La borghesia annoiata, che fa da contorno alla vicenda, vive la scomparsa di Anna come un capriccio e ne è infastidita, in quanto genera un imprevisto nella routine anestetizzante che vive. Il quadretto che li vede tutti da una parte con le braccia conserte, nient’affatto preoccupati per la loro amica quanto per il fastidioso contrattempo che ha causato, rende perfettamente l’infantilismo da cui sono caratterizzati e lo sprezzo di Antonioni nei loro confronti.

È proprio nel momento della scomparsa che Claudia inizia a pensare di poter essere Anna. Indossa la camicia che era nella sua borsa, raggiunge Sandro e cambia atteggiamento nei suoi confronti. Quando il padre di Anna poi le vede addosso la camicia della figlia, l’abbraccia (quando nella prima scena l’aveva ignorata), favorendo così il processo di identificazione di Claudia con Anna. E quando questo ha inizio, la posizione di Claudia è quasi sempre più in alto rispetto a quella di Sandro.

Claudia prova a resistere e ad opporsi all’attrazione per Sandro, e cerca di andar via, ma lei è ben consapevole che lui la seguirà. In quel “Ti prego, và via!”, c’è tutto l’invito del mondo a restare. Sandro non vuole sacrificarsi. Non sa sacrificarsi. In tre giorni è già pronto a fare follie per un’altra. “E’ possibile che basti così poco per dimenticare?”, chiede Claudia. “Basta molto meno”.

Un’altra ellissi temporale segna un momento simbolico molto forte del film. Sandro, in cerca di notizie sulla scomparsa di Anna, si trova in mezzo a una calca di maschi in delirio per un’aspirante attrice/scrittrice americana. Uno strappo sul vestito della stessa anticipa un’evoluzione successiva essenziale nell’economia dell’intero film.

Intanto, a casa di Patrizia, Claudia si trova coinvolta in un’ennesima conversazione vuota, in cui i numeri contano più del valore della vita. Eppure, la sua identificazione con Anna si definisce sempre più. In una scena indossa una parrucca e si vede diversa. Ma la sua identità è già in profonda trasformazione. Lei è già un’altra. Ed è sedotta da ciò che vede.

Nel film è sempre molto forte la presenza della Chiesa come elemento censorio e giudicante: le suore a Roma, il frate a Troina, i catechisti a Noto. Ciò contribuisce a rafforzare il senso di colpa in Claudia, come forse lo stesso era alla base dell’inquietudine e della ribellione di Anna (il padre associa la lettura della Bibbia all’impossibilità di un suicidio).

Nei pressi di un villaggio abbandonato e squallido si consuma il primo rapporto intimo tra Claudia e Sandro, un’architettura anonima e senz’anima, simbolo del vuoto emotivo alla base della loro relazione. Il villaggio è vuoto come i loro cuori, i loro sentimenti.  Sembra un cimitero. Claudia sente che tutto è sbagliato e vuole allontanarsi da quel luogo e quindi dall’angoscia che leggere dentro di sé le procura. I due amanti si dirigono così a Noto. Mentre Sandro chiede informazioni su Anna, Claudia subisce le stesse attenzioni moleste della scrittrice americana: un’altra similitudine e un altro presagio. L’architettura di Noto è scenografica, libera, creativa. Sandro avverte chiaramente di essere strumento di chi definisce la bellezza su ordinazione. “Le cose prima avevano secoli. Ora al massimo 10 o 20 anni”.

A Noto la natura di Sandro esce definitivamente allo scoperto. Il suo rovesciare di proposito l’inchiostro sul disegno di un giovane architetto o il bisogno di uscire dalla camera che condivide con Anna ne mettono in evidenza superficialità e invidia. E con la stessa superficialità con cui vive la vita le chiede di sposarla. Il bisogno di riempire una esistenza che non sente piena. Claudia inizia ad avere le stesse perplessità di Anna. Un malessere profondo che Sandro non capisce. “Ma sei sicuro di voler sposare proprio me?” “Se te lo chiedo…” “Quando penso che le stesse cose le avrai dette ad Anna chissà quante volte…” “Ammettiamo pure che le abbia dette: ero sincero con lei, come lo sono con te”. In realtà non è sincero con nessuna delle due. O meglio non ha la profondità di comprenderlo.

Nella loro camera d’albergo, Claudia prova a reagire al senso di vuoto che l‘attanaglia. Canta euforicamente e ha un atteggiamento sopra le righe che non la rappresenta. Tutto ciò nasconde un bisogno disperato di credere che ciò che sta vivendo sia vero. Abbia senso. Claudia è un riflesso, un’ombra su un muro. E lei se ne rende conto. “Devi dirmi che mi ami”. “Lo sai. Perché devo dirtelo?” “Già”.

Quando Sandro vuole fare l’amore con lei, Claudia non vuole. “Mi sembra di non conoscerti”. “E non sei contenta? Hai un’avventura nuova”. “Ma cosa dici?” “Scherzavo! Non si può mai scherzare con te”.

E così, ulteriormente svuotati, ritornano nel mondo anestetizzato dei loro amici altolocati. Impegnati in vite senza senso, in cui le lingue diverse non portano pluralità di significati ma solo impossibilità di comunicazione, per l’ennesima volta Claudia sperimenta una sensazione di straniamento. Il suo sguardo è sempre più perso nel vuoto, quasi a trascendere la realtà.

In realtà sia Claudia che Sandro sono outsider nel mondo in cui si muovono e al quale vorrebbero appartenere. E più si rendono conto di ciò, più cercano appigli per sentirsene parte integrante. Claudia cerca il contatto con la valigia, il senso di quel viaggio, di quell’avventura e agogna un sonno con cui obnubilare la mente, per non vedere ciò che è davanti ai suoi occhi. In una scena che sembra riprendere le fila del thriller che erano state recise alla scomparsa di Anna, Claudia si sveglia nel cuore della notte, ansiosa. Non trova Sandro a letto. Stringe la sua camicia, l’annusa. Esce a cercarlo. Il corridoio lunghissimo, la ricerca tra gli amici, il ritrovamento e la scoperta del tradimento.

Claudia dice di aver paura che sia tornata Anna. In realtà Claudia E’ Anna e sta sperimentando tutte le angosce che avevano portato Anna a sparire. ‘Tutto sta diventando maledettamente facile, persino privarsi di un dolore’.

Mentre va alla ricerca di Sandro, foglie morte, rami secchi. Estate finita. Sogni infranti. Avventura finita.

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E in quella mano che prova a resistere ma che affonda nei capelli di Sandro che piange non di dispiacere e vergogna ma di debolezza e frustrazione, c’è il fallimento e l’abdicazione alla rivendicazione della propria dignità e la rassegnazione a una vita in cui l’assenza sarà la vera protagonista. Un Etna innevato sullo sfondo dà il benvenuto all’inverno dei sentimenti e delle speranze per Claudia e Sandro.

I motivi ricorrenti del cinema di Antonioni: il vedere attraverso la finestra, i personaggi incorniciati in stipiti di porte, coppie perse in fantastici paesaggi, la composizione geometrica delle inquadrature con linee verticali, diagonali, convergenti, composizioni a triangolo, sono tutti presenti in questo film meraviglioso in cui il rigore formale è necessario per poter sostenere l’assoluta incostanza, inconsistenza ed esitazione degli esseri umani che lo affollano.

La colonna sonora di Giovanni Fusco, è anch’essa molto interessante. Siamo nel 1960 ma sembra di essere in pieno negli anni ’70. Il tema è una combinazione di suggestioni diverse, un sound quasi pop, un ritmo da poliziottesco anni ’70 alla Tarantino, ma anche mandolini e melodie mediterranee.

Un cinema coerente e millimetricamente costruito, anche nella pluralità dei linguaggi espressivi, dunque, quello di Antonioni. Proprio per questo l’incoerenza e la vacuità del mondo che racconta è ancora più dolorosa e inappellabile. Capolavoro.

 

13 risposte a "‘L’avventura’ (1960), di Michelangelo Antonioni. Un’analisi."

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    1. Interessante l’articolo su Marotta. Ciononostante trovo che sia molto ingeneroso nei confronti di un maestro assoluto del nostro cinema.
      Il linguaggio svuotato e i lunghi passaggi quasi a vuoto di molto del suo cinema sono assolutamente funzionali a veicolare un senso di insoddisfazione e disillusione nei confronti dell’uomo contemporaneo in un’operazione che potrebbe essere accostata ad alcuni passaggi dell’opera di T. S. Eliot. Chiaramente il gusto è sovrano ma il fatto che non mi piaccia l’arte di Pollock non mi impedisce di riconoscerne la grandezza.

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  1. Non l’ho visto. La tua recensione mi spinge a guardare questo film. La notte che tu citi, è un capolavoro, e dato che fai anche una citazione di Fellini, con un fugace raffronto tra i due, a mio avviso La notte è di gran lunga superiore a La dolce vita. So che rischio la cittadinanza italiana con questa affermazione.

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    1. Fritz, non c’è reato di opinione, finora… Io adoro Fellini ma sento Antonioni più belle mie corde. La sua sensibilità, la sua ricerca di senso, il suo assumersi coerentemente le responsabilità del suo discorso poetico… Infinito Maestro. 🎬🔝

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