giovedì 28 gennaio 2016

Coprire le vergogne: una vecchia nuova moda, da Michelangelo a Renzi passando per il Concilio di Trento

Non è certamente nello stile e nella cultura degli sciiti la richiesta di coprire i nudi dei Musei Capitolini, come il leader iraniano Hassan Rouhani ha confermato nella conferenza stampa di oggi. La prima delle interpretazioni starnazzate dalla stampa italiana, che si trattasse cioè di un ossequio servile richiesto dall'entourage di  Rouhani, è destituita quindi da ogni fondamento. Gli iraniani sono, per chi lo avesse dimenticato, il popolo delle Mille e una notte, il librò che ispirò a Pasolini il Fiore delle Mille e una notte. Chi ha letto il libro o visto il film sa bene che la fobia per il nudo non trova spazio nella cultura iraniana. La cupidigia di servilismo, di cui Vittorio Emanuele Orlando accusò De Gasperi durante il dibattito parlamentare sulla ratifica del trattato di pace nel 1947, è un antico vizio italiano, ma in questo caso può essere una spiegazione accettabile soltanto se accompagnata da una adeguata dose di ignoranza.
Una spiegazione alternativa, e assai più leggera, per il gesto degli italiani tuttavia l'avrei. Potrebbe essere soltanto un fatto di moda, meglio, di un'antica moda tutta italiana che forse adesso sta tornando in auge. Come tutti sanno, fino a qualche anno fa, era assai diffusa in Italia l'usanza di ricoprire le vergogne nei dipinti con opportuni panneggi. Mi viene in mente un aneddoto che vide, come vittima illustrissima di quella moda, nientedimeno che Michelangelo Buonarroti, l'opera colpita fu quello che forse è considerato il più grande capolavoro del Rinascimento italiano, il Giudizio universale, l'immenso affresco che ricopre una parete della Cappella sistina.  L'opera, commissionata da Papa Clemente VII e confermata da Paolo III, fu realizzata tra il 1536 ed il 1541, e iniziò a suscitare polemiche prima ancora di essere ultimata. Come racconta Giorgio Vasari (1511-1574) nella sua Vita di Michelangelo:

Aveva già condotto Michelagnolo a fine più di tre quarti dell'opera, quando andando papa Paulo [Paolo III] a vederla; perché messer Biagio da Cesena, maestro delle cerimonie e persona scrupolosa, che era in cappella col papa, dimandato quel che gliene paressi, disse essere cosa disonestissima in un luogo tanto onorato avervi fatto tanti ignudi, che sì disonestamente mostrano le lor vergogne, e che non era opera da cappella di papa, ma da stufe e d'osterie; dispiacendo questo a Michelagnolo, e volendosi vendicare, subito che fu partito, lo ritrasse di naturale, senza averlo altrimenti innanzi, nello inferno nella figura di Minos, con una gran serpe avvolta alle gambe fra un monte di diavoli. Né bastò il raccomandarsi di messer Biagio al papa ed a Michelagnolo che lo levassi, che pure ve lo lassò per quella memoria, dove ancor si vede!




Oltre che l'antipatia di Biagio da Cesena, Michelangelo si guadagnò quella del ben più influente cardinale Gian Pietro Carafa, che iniziò a sostenere che i dipinti di Michelangelo fossero osceni e dovessero essere rimossi. Con l'apertura del Concilio di Trento (1545), la morte di Paolo III (1549) e l'ascesa al soglio pontificio del cardinal Carafa come papa Paolo IV (1555) il clima culturale e politico di Roma cambiò, così nel 1565 il papa ordinò interventi censori sull'opera di Michelangelo.

In figura, a sinistra un particolare del celebrato Giudizio universale di Michelangelo Buonarroti (1475-1564), così come oggi appare nella Cappella Sistina in Roma, dopo il restauro del 1994. Il particolare raffigura i santi Biagio e Caterina d'Alessandria con gli "strumenti" dei rispettivi martiri, i pettini e la ruota. A destra, una copia dello stesso particolare eseguita da Marcello Venusti nel 1549 e conservata nel museo di Capodimonte a Napoli. Le differenze tra i due dettagli risalgono all'intervento eseguito nel 1565, subito dopo la morte di Michelangelo, da Daniele da Volterra detto il Braghettone, che, su incarico del papa, ricoprì con drappeggi i genitali esposti nel capolavoro michelangiolesco. Un intervento censorio più profondo si rese necessario per la scena con i santi Biagio e Caterina, le cui posizioni suggerirebbero un coito. Per questa ragione, il Braghettone, non si limitò a coprire le pudenda dei due santi incriminati, ma fu costretto a ridipingere del tutto S. Biagio, mettendolo in posizione eretta e facendolo volgere a sinistra verso l'alto, mentre S. Caterina è posta alla sua destra in basso.

Se, come sospetto, la copertura dei Musei Capitolini non fosse altro che un revival di quella moda che volle censurare Michelangelo, visto che ci diamo da fare per coprire le nostre vergogne, sommessamente proporrei che Renzi indossasse d'ora in avanti il burqa. A scanzo di equivoci: il burqua è di moda presso alcune donne sunnite afgane e non è per nulla usato dalle donne sciite iraniane.

Nessun commento: