Nesso causale e criterio di verosimiglianza nella colpa del Medico di Pronto Soccorso: il criterio di verosimiglianza è estraneo alla dimostrazione dell’incidenza causale. (Cassazione Penale, Sez. IV, 1 Sentenza n. 46147 depositata il. 17/12/2021)

Nesso causale e criterio di verosimiglianza: annullata la decisione della Corte d’Appello di Milano che si basava sulla verosimiglianza della condotta colposa ascritta al Medico.

La Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Milano, ha dichiarato il Medico responsabile del reato di lesioni colpose nei confronti della paziente.

Si addebita all’imputato, quale medico di guardia presso il Pronto Soccorso di avere omesso un’adeguata valutazione ed esplorazione della ferita da taglio del terzo dito della mano sinistra patita dalla persona offesa, non rilevando e non provvedendo alla tempestiva riparazione della lesione completa del tendine flessorio profondo, così determinando una ritardata diagnosi, un intervento riparatorio secondario ed un conseguente danno iatrogeno, consistente in una riduzione dell’efficienza psicofisica della paziente ed un danno biologico del 3%.

Secondo la Corte territoriale, la presenza di forti dolori e la frequenza con cui le lesioni profonde da taglio ad un dito comportano anche la lesione di un tendine, avrebbero dovuto indurre il medico a fare una esplorazione della ferita o, comunque, un’ecografia che avrebbe evidenziato la lesione del tendine flessore profondo e avrebbe consentito di riparare utilmente il tendine, limitando il danno.

Il Medico impugna la decisione e ricorre in Cassazione.

I) Vizio di motivazione in punto di responsabilità, avendo la Corte territoriale proceduto alla riforma della sentenza assolutoria di primo grado, dando esclusiva rilevanza alle argomentazioni della consulenza tecnica della parte civile e al contenuto della querela, senza considerare che dagli atti era emerso come al momento delle visite effettuate dal ricorrente si riscontrava ferita a livello della falange intermedia del terzo dito della mano sinistra, assenza di corpi estranei, sensibilità dei segmenti a valle conservata, così come era conservata motilità dei segmenti a valle in flesso-estensione.

II) Violazione di legge in punto di violazione delle norme disciplinanti l’elemento soggettivo del delitto di lesioni colpose, avendo la sentenza impugnata affermato che in caso di ferita da taglio è sempre obbligatoria l’esplorazione della ferita o la predisposizione di esami strumentali, mentre ciò è subordinato all’apprezzamento del medico e alle risultanze dell’esame obiettivo e dei test per valutare la flesso-estensione delle dita.

III) Violazione di legge processuale.

IV) Vizio di motivazione in relazione alla quantificazione del danno biologico e dell’inabilità temporanea, avendo la Corte di merito affermato un danno biologico di gran lunga superiore (6, 7%) a quello contestato in imputazione (3%), senza aver considerato l’obiettiva incertezza della quantificazione dell’entità sia del danno biologico sia dell’inabilità temporanea, esclusivamente basato sulle conclusioni del consulente tecnico di parte civile.

Gli Ermellini ritengono fondati e assorbenti i primi due motivi di ricorso.

La totale riforma della sentenza di primo grado impone al Giudice di appello di raffrontare il proprio decisum, non solo con le censure dell’appellante, ma anche con il giudizio espresso dal primo giudice, che si compone sia della ricostruzione del fatto che della valutazione complessiva degli elementi probatori, nel loro valore intrinseco e nelle connessioni tra essi esistenti.

Sul tema, la giurisprudenza ha elaborato il concetto di “motivazione rafforzata”, per esprimere il più intenso obbligo di diligenza richiesto al Giudice di secondo grado, nel caso di pronuncia di condanna in seguito ad assoluzione pronunciata dal primo giudice.

La sentenza impugnata, nel ribaltare il giudizio assolutorio di primo grado, ha violato il principio di motivazione rafforzata, incorrendo anche in vizi logico-giuridici.

La sentenza di primo grado, non è stata specificamente confutata dalla sentenza di appello, la quale si è sostanzialmente limitata a fondare la propria decisione sulla base di una diversa valutazione delle prove, pur rinnovate in sede di istruttoria dibattimentale, senza evidenziare le lacune o incongruenze della sentenza assolutoria, ma limitandosi a sovrapporre una diversa e opposta valutazione, non necessariamente dotata di maggiore forza persuasiva, ed anzi viziata sia sotto il profilo logico che giuridico.

La Corte di appello ha ribaltato la prospettiva del Tribunale, senza dare conto della norma cautelare o linea-guida in ipotesi violata dal medico, basando il suo argomentare sulla essenziale considerazione che la circostanza che la paziente piegasse il dito nel corso delle prime due visite non poteva essere intesa dall’imputato come prova certa dell’integrità del tendine flessore, per cui una corretta prassi medica (non meglio precisata) avrebbe imposto di svolgere ulteriori approfondimenti diagnostici.

E’ noto, che l’indagine sulla colpa va effettuata con valutazione ex ante, atteso che l’individuazione della regola cautelare non scritta eventualmente violata non deve essere frutto di una elaborazione creativa, fondata su una valutazione ricavata “ex post” ad evento avvenuto e in maniera del tutto astratta e svincolata dal caso concreto, ma deve discendere da un processo ricognitivo che individui i tratti tipici dell’evento, per poi procedere formulando l’interrogativo se questo fosse prevedibile ed evitabile “ex ante”, con il rispetto della regola cautelare in oggetto, alla luce delle conoscenze tecnico – scientifiche e delle massime di esperienza.

In tale ottica coglie nel segno la doglianza del ricorrente, che evidenzia come la Corte territoriale – in tema di nesso causale e criterio di verosimiglianza – abbia indebitamente omesso di tenere in considerazione l’incertezza diagnostica che caratterizzava il caso concreto in sede di valutazione dell’elemento soggettivo del reato e della condotta esigibile dal medico; ciò in quanto, essendo incontroverso che la funzionalità del dito non risultava compromessa nel corso delle due visite, sulla base di una valutazione “ex ante” non si poneva un problema, nell’immediato, di necessario approfondimento diagnostico tramite esplorazione della ferita o espletamento di una ecografia del dito.

Ebbene, con riferimento ai profili di colpa professionale del sanitario, la motivazione deve individuare in maniera puntuale la regola cautelare dell’ars medica che sarebbe stata violata, precisando se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, appurando se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata dalle stesse.

La sentenza impugnata, sviluppa un iter argomentativo che non soddisfa i canoni di giudizio necessari, limitandosi a “considerazioni apodittiche e congetturali in tema di nesso causale, fondate su pareri esperienziali privi di un oggettivo supporto scientifico, ma basati su criteri di verosimiglianza, estranei a quell’elevato grado di credibilità razionale che, solo, può fornire dimostrazione dell’incidenza causale del comportamento colposo omesso, e quindi della responsabilità dell’accusato “oltre ogni ragionevole dubbio”.

La sentenza impugnata viene annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

La redazione giuridica

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