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A guardarlo così, adagiato sul tavolo sgombro, come su una bacheca di un museo, si direbbe che questo biglietto da concerto abbia passato una tormenta di troppo. Combinato peggio di Anakin Skywalker dopo la batosta subita dal suo ex mentore Obi Wan Kenobi. Tanto per cominciare, è tagliato in due pezzi e le estremità sono tenute insieme da una clip, così che uno dei due lembi non andasse perduto tra le sabbie del tempo. Unico gesto di cura di una mano irrispettosa: la mia.

Oggi sono qui a dare il giusto tributo a un oggetto che ha da dire molto più di quello che può sembrare esteriormente, uscito da una vecchia scatola di cianfrusaglie. Come si chiama quel principio secondo cui trovi una cosa che non stai cercando, cercandone qualcun’altra? Serendipità? Ora è qui che sembra una foto “bruciata”, come se avesse preso troppa luce quando sarebbe dovuta restare in camera oscura. Sbaglio o sembra accusarmi di incuria? Non si legge quasi niente sopra, ed è colpa mia.

A quei tempi – parliamo di 20 anni fa – si usava andare ai concerti con pantaloni dotati di un sacco di tasche. Ci si andava anche a fare gli esami, a ben vedere. Diciamo che il numero di tasche con le quali uno studente si presentava era indirettamente proporzionale alle ore di studio fatte. Probabilmente è così anche adesso, e forse a me ora bastano solo quattro tasche perché non ho più cose da metterci. Si andava ai concerti con tante di quelle cavità e posti nascosti che le cose si perdevano tra una e l’altra, ricomparendo misteriosamente anni dopo come in uno spettacolo di bassa lega di un mago dispettoso. Fatto sta che questo pezzo di carta che una volta è stato magnifico, colorato, carico di un vagone di sogni e aspettative per un ragazzo che stava scoprendo le gioie e i dolori della vita, è finito dentro una lavatrice. Da lì è uscito sbiadito, trasparente, “come burro spalmato su troppo pane” direbbe Bilbo Baggins.

Vi dirò l’anno: 2000. E il posto: Bologna, Arena Parco Nord, che ora si chiama Arena Joe Strummer, così chi di voi è abbastanza vecchio potrà andare nel posto dove vengono riposti tutti i ricordi. C’è chi ha dei database infallibili, ordinati, moderni, con dei motori di ricerca turbo. Io ho una specie di discarica, gestita da un nano deforme con le sembianze di Gogol di Labyrinth che su richiesta comincia a rovistare borbottando e maledicendomi in maniera plateale, senza quasi mai riuscire se non dopo lungo tempo. Insomma, se trovate il cassetto giusto, o cassonetto, ricorderete.

Quel biglietto consumato - Un racconto boomer

Eccola l’immagine della nebbia di terra che si alzava, il ricordo del particolare uso delle mani. Era diverso, allora non reggevi nulla tra le dita. Avevamo le tasche, ricordate? Con i bigliettini per copiare agli esami, e il biglietto che sarebbe finito dentro la lavatrice. Chiavi, telefonini senza fotocamera, con in pancia una Summer Card. Le mani le usavi per giocare con l’aria, per sentire lo spazio intorno a te e condividerlo con gli altri. Spingevi, attiravi a te afferrando le spalline degli zaini che capitavano a tiro. La folla si dotava di una specie di autocoscienza, le regole della logica svanivano ed entravano in gioco quelle del caos, di cui si vantava tanto il matematico Ian Malcolm e che lo han salvato dall’essere sbranato dai dinosauri. La folla ti cullava, si stringeva attorno a te e poi si rilassava come un budello o un utero materno, ti buttava a terra e a volte ti tirava su di nuovo in piedi. A volte non cadevi, ma comunque il tuo corpo raggiungeva delle pendenze che ti facevano sentire Michael Jackson on the dance floor.

Ricordi di vari momenti che si alternavano come capitoli di una storia fantastica, istantanee a quattro dimensioni. All’inizio il caldo asfissiante, tanto caldo che le cose sembravano sciogliersi come quegli strani orologi nei quadri di Dalì. L’odore dei bagni mentre si era in coda, odori che si mescolavano ai discorsi delle persone che avevi intorno, anime condivise che chissà ora dove sono, sagome scrutate e valutate per un istante e poi perdute per sempre, nel lezzo di piscio chimico.

Poi veniva una specie di fresco da calma prima della tempesta, quando il sole decideva di aver fatto abbastanza danni per quella giornata e si ritirava, probabilmente perché i gruppi più importanti del festival non gli interessavano. Mi viene da pensare che il Sole fosse il vero indie della situazione. Il buio arrivava con i pezzi da novanta, e quella volta, potete credermi, successe di tutto. Persino una sassaiola contro gli headliner. La folla che diventa un animale ruggente e indomabile durante i gruppi nu metal. Ragazzi che uscivano dal pogo come dalle macerie di un qualche disastro, questa volta buono, costruttivo. Con gli occhi allucinati, alcuni sanguinanti, tutti statue di polvere solcate da rivoli di sudore, saliva, lacrime. Sembravano dei Bruce Willis masticati e sputati dal loro inferno di cristallo.

Questo biglietto mi sembra così delicato, fragile. Ha dei ricordi dentro e i ricordi sono una cosa potente. Un certo Bastian ci ha costruito una Storia Infinita con i suoi. Non nomi e date, quelli sono sbiaditi dal lavaggio del tempo e sono quasi perduti, delle sagome in allontanamento che perdono i contorni. Come un Vaso di Pandora, avete presente? Roba da mitologia. Una volta scoperchiato tutto il male del mondo viene fuori, e non c’è modo di chiuderlo. Come quando quel maledetto assessore all’ambiente newyorkese fece collassare il contenitore dei fantasmi dei Ghostbuster e la città si riempì di spettri che si misero a terrorizzare i cittadini. E se piove merda, chi chiamerai?

Quel biglietto consumato - Un racconto boomer

Molti di quei gruppi che allora erano delle divinità oggi sono rigettati. Il nu metal è stato bandito come qualcosa di imbarazzante, di cui vorresti liberarti ma continui a rimandare. Come il nome della tua mail creata al liceo e che oggi capeggia le tue missive di lavoro con quel nome frivolo e ben poco professionale che non ricordi proprio perché a quei tempi rappresentasse così tanto per te. Eh già, e allora? “Guilty pleasure” li chiamano, cose che ti danno piacere pur nella consapevolezza del loro attrito con l’estetica vigente. Come un crimine preterintenzionale. L’udienza è tolta, nessuna libertà vigilata e nessuna possibilità di uscita su cauzione, pur qualora ci fosse qualcuno disposto a pagarla. Allora viene quasi istintivo nasconderli, oscurarli nelle nostre playlist. Ma ora questo biglietto malandato mi fa pensare che i ricordi sono ricchezza pura, Santo Graal di vita eterna, e che senza siamo come il galeone senza equipaggio che si allontana dalla baia alla fine dei Goonies con dentro Willie L’Orbo e tutta la sua ciurma morta stecchita. Come le lacrime nella pioggia di un replicante arrivato alla fine della sua esistenza.

Quel periodo era contraddizione, sì. Un errore di programmazione di Matrix. Esteticamente discutibile come la seconda trilogia di Star Wars, ma un viaggio che ci ha cambiato e resi migliori, come Indy uscito dalle miniere del Tempio Maledetto. Quella musica ti sconquassava, ti prendeva e ti rigirava sottosopra, era abrasiva e ti lasciava consumato, svuotato e ridotto a brandelli come un biglietto dimenticato in tasca e lavato da tua mamma in lavatrice. Brutto da vedere, ma con tante avventure da raccontare.

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