Enzo Carra, solo poco prima di morire ha visto la copertina del suo libro su «L'ultima Repubblica»

diPaolo Franchi 

Da uomo della Prima Repubblica, ingiustamente additato a simbolo vivente delle nequizie della medesima, ha provato a ricostruire dall’interno i perché e i come della caduta dell’Antico Regime, rievocandone grandezze e miserie

Del suo ultimo desiderio non mi aveva mai parlato esplicitamente, Enzo Carra, nonostante fossimo amici più che fraterni. Ma ci giurerei su lo stesso. Sperava di vivere abbastanza a lungo – sto parlando di mesi, di settimane, di giorni – per vedere pubblicato il suo ultimo libro, e godersi il dibattito pubblico (lui lo avrebbe voluto impietoso e serrato) che avrebbe suscitato. Ci aveva lavorato per anni, scrivendo, correggendo, tagliando, e poi riscrivendo, ricorreggendo e ritagliando ancora. Poi, finalmente, si era convinto di aver portato a compimento il lavoro. 

In non so più quale convegno sui rapporti tra politica e magistratura aveva conosciuto Gherardo Colombo. Non posso dire che cosa l’ex Pm di Mani Pulite pensasse e pensi di Carra, l’ex portavoce di Arnaldo Forlani arrestato e trascinato in aula con gli schiavettoni ai polsi a dimostrazione che un’intera classe politica era stata sgominata dai magistrati: penso che ne abbia stima. Ma so per innumerevoli testimonianze dirette che, per Enzo, Colombo era stato una scoperta politica, intellettuale e soprattutto umana. Si erano visti e sentiti molte volte, in pubblico e in privato. E da questa frequentazione era nata l’idea di far precedere il testo del libro da un dialogo tra i due, fitto, ricco e, per quanto è soprattutto sereno. L’idea si è realizzata, l’ultimo desiderio di Carra no: Enzo ha fatto appena in tempo ieri, poche ore prima di andarsene, a farsi passare dal figlio Giorgio il cellulare per vedere la copertina del libro, che sta per arrivare in libreria, pubblicato da Eurilink, e ha per titolo «L’ultima Repubblica». È già qualcosa, ma l’autore avrebbe meritato di più. 

Non capita spesso (anzi, per essere più precisi, fin qui non è capitato mai) che un uomo della Prima Repubblica, a suo tempo sbrigativamente e del tutto ingiustamente additato a simbolo vivente delle nequizie della medesima, provi sulla scorta della sua esperienza non solo a ricostruire dall’interno i perché e i come della caduta dell’Antico Regime, rievocandone grandezze e miserie, ma pure i perché e i come del disastro cui il Nuovo ha consegnato, nel trentennio successivo, il Paese. Carra ci ha provato, secondo me con successo, restando uomo di parte anche quando la sua parte non c’era più, ma senza cedere per questo all’indulgenza e all’autoindulgenza: di questo, credo, gli va dato atto e merito. 

Carra è stato un giornalista raffinato e colto, i suoi primi passi nel mestiere li ha fatti occupandosi di cinema e di teatro, ma non è mai stato, come si dice, «prestato alla politica». La politica, quella interna come quella internazionale, sono stati da sempre, ben prima di entrarvi in primissima persona, e ben oltre il momento in cui la ha lasciata, o è stato costretto a lasciarla, il suo pane quotidiano. Della politica (quella vecchia e, sempre che sia mai esistita, quella nuova) conosceva a menadito la scena e i retroscena, i piani alti i piani bassi e pure i sottoscala, anche perché li aveva praticati tutti. Senza politica (politica fatta, non solo pensata) non sapeva stare, o almeno stava molto male. 

Finché gli fu possibile, appena gli si presentò l’occasione continuò a farla, prima nella Margherita, poi nel Pd e infine, per qualche tempo, nell’Udc. E coltivò pensiero politico senza disdegnare, anzi, la cosiddetta politique politicienne. Dei tempi antichi ricordo un verbo, «accarrarsi», coniato da noi giovani cronisti parlamentari che gli chiedevamo lumi sulle manovre interne alla Dc, e ne avevamo in cambio oscure metafore e dotte citazioni. Di tempi più recenti l’amicizia con Francesco Cossiga. Dei tempi nostri, la cena quasi settimanale con Olga e Gabriella. E un’infinità di interminabili telefonate, zeppe di chiacchiere giornalistiche, politiche e calcistiche (era un uomo di stadio come me, Enzo, ma tutto all’opposto di me di incrollabile fede laziale). Già mi mancano, e ancora più mi mancheranno nei giorni a venire.

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2 febbraio 2023 2023