La mia collezione di due di picche

Confesso: sono una tontolona. È fin troppo facile farmela sotto il naso. Alcuni potrebbero dire “cogliona”, io in linea di massima preferisco “ingenua”: mi piace di più il suono della parola, mettiamola così. Sta di fatto che credo a tutto, o se non altro posso impegnarmi a farlo. Larghissime vedute, forse anche per via della mia proverbiale miopia: tra non vedere un cazzo e vedere tutto il passo è molto più breve di quanto possa sembrare. L’unica cosa che non sono disposta a credere è che al mondo esista qualcuno che non ha mai mai mai dato né ricevuto un due di picche. Impossibile, matematicamente impossibile.

Due_di_piccheIl due di picche, in molti giochi, è una carta bastardissima. Non vale niente, ma se te la trovi contro ti rovina la vita. Una inutile buccia di banana per cui nessuno sarebbe disposto a sganciare neppure 10 centesimi, ma se presa nel modo sbagliato può tranquillamente portare a una qualche settimana di prognosi riservata. Figuriamoci se viene tirata in ballo in quel campo minato che sono le relazioni umane. Un disastro.

Quando sentite qualcuno pronunciare le frasi: «Ma no, in effetti anche per me non era importante», «Hai ragione, anche io preferisco stare a casa stasera», «Per fortuna non è stata con me, altrimenti a quest’ora chissà come sarei ridotto», guardatelo da dietro: quasi sicuramente ha un due di picche conficcato nella schiena, proprio sotto la scapola sinistra. Les jeux sont faits, rien ne va plus, c’est la vie. E sticazzi.

Io studio l’argomento – per puri fini scientifico-divulgativi, sia chiaro – da parecchi anni, e devo dire che la sorte con me è stata benigna: di due di picche ne ho dati ma soprattutto presi parecchi. Tralasciando quelli più banali («Ti lascio perché ti amo troppo», «Preferisco che restiamo amici», «Sei fantastica e io non ti merito»), frutto di un’evidente carenza di fantasia che, quando tocca certi livelli, a mio avviso dovrebbe essere perseguibile per legge, mi permetto di stilare la mia personalissima classifica. Ce ne sono di miei, di amici e di gente dietro cui spasimavo ma che, come si suol dire, m’ha rimbalzata. Ma io mica me la prendo. No no. Io capisco e supero. Una bella risata e passa tutto. In fondo, meglio così. Ma ora bando alle ciance e andiamo avanti, anche perché sento un qualcosa di fastidioso che mi punge la schiena…

7. «Vieni a fare un aperitivo con noi stasera?» «Non posso: mi aspettano a casa per insegnarmi a fare la mozzarella in carrozza». Che poi io neanche la digerisco, la mozzarella in carrozza. E comunque non ho ancora imparato a farla.

6. «Ti va di uscire con noi domani?» «Mannaggia, non ce la faccio: vado a vedere il filmato del record mondiale di apnea». Io lì per lì l’avevo presa bene, mi sembrava un impegno serio. Il record mondiale di apnea, mica cazzi. Poi l’ho confessato a un’amica. Questa è scoppiata a ridere e, quando s’è riavuta, ha commentato: «Ma babba, t’ha presa per il culo, dai! Il record mondiale di apnea quanto durerà secondo te? Mai più di 10 minuti!». Minchia. È vero.

5. «Ti prego, fermati a cena da me stasera» «No, devo andare a casa a finire di scrivere un album di figurine». Scrivere. Vuol dire che è una roba seria, di lavoro. Fosse stato “devo andare a casa ad attaccare le figurine all’album”, a 30 e passa anni, allora sì che ci si poteva incazzare. Ma così no, bisogna star zitti, fare la faccia ammirata e basta.

4. «Venite alla mia festa di compleanno? Posto bellissimo, un sacco di gente, musica, c’è da bere… Dai che ci divertiamo!» «Eh no, non possiamo: quella sera c’è la tombolata di Natale». A onor del vero devo riconoscere che poi invece sono venute. Dopo la tombolata. Massimo rispetto.

3. «Esci con me domani sera?» «Scusa, ho troppa confusione in testa, non riesco a risponderti ora. Posso farlo dopo la meditazione di questa sera?». Salvo poi sparire dalla circolazione per tre settimane tre. Io non m’intendo tanto di discipline orientali, ma mica pensavo che fossero una roba così approfondita, le meditazioni.

2. «Oggi pomeriggio ho la casa libera, vuoi venire da me?» «Mi piacerebbe ma non posso, devo tornare a casa mia per preparare una torta al cioccolato». La vera finezza però è stata passare da casa mia (sotto e non dentro, per la cronaca) il giorno successivo, per portarmi un assaggio di torta al cioccolato. Credo fosse pure buona, ma non posso garantirlo: la mia memoria ha optato, a questo punto, per un sereno blackout.

1. «Pensavo, visto che devi venire a Milano… non è che vuoi stare da me? Offro un sacco di spazio, cucina ottima, beveraggi e altro. Che ne dici?» «Ciaoooooo :)». Proprio così. “Ciaoooooo :)” e basta. Hai vinto.

Informazioni su Manu

Romagnola (molto romagnola), ho vissuto dodici anni a Milano e, da gennaio 2017, mi sono trasferita a Berlino – anche se, come giustamente mi fanno notare, non ho mai passato tanto tempo in Italia come ora che sto in Germania. Comunque. Dal 2004 lavoro nel settore dell’editoria, con varie mansioni. Mi occupo di correzione bozze, editing, assistenza agli autori, progettazione volumi e collane, ghostwriting. Sono autrice (ho scritto, fra l’altro, di libri, cinema, TV, sport, cucina) ed enigmista (creo giochi per bambini-bambini e bambini-quelli grandi). A marzo 2016 è uscito il mio primo romanzo, Il colore dei papaveri, per i tipi di Piemme. Attualmente sto facendo del mio meglio per far sì che non sia anche l’ultimo.
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Una risposta a La mia collezione di due di picche

  1. Fabrizio ha detto:

    L’elogio del due di picche nella comunicazione con i consimili che si contrappone al grido di una sofferenza inspiegata e inspiegabile di un “NO” secco o, peggio ancora, di un deciso “ma vaffan…”. Leggo, sghignazzo e penso al due di picche, spettro e salvezza di tutti noi. 🙂

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